Causa climatica contro Eni: la Cassazione stabilirà se è procedibile

Il Tribunale ordinario di Roma ha sospeso il processo e rinviato alla Suprema Corte la decisione sulla procedibilità, come chiesto da ReCommon e Greenpeace Italia.

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Per la prima volta, la Corte di Cassazione deciderà se in Italia è possibile intentare una “causa climatica” contro le aziende.

Lo riporta una nota pubblicata ieri (17 luglio) da ReCommon, associazione ambientalista che promuove la transizione energetica pulita contrastando i poteri delle lobby fossili.

La stessa ReCommon, insieme a Greenpeace Italia e 12 cittadini e cittadine del nostro Paese, lo scorso maggio 2023 ha intentato un processo civile nei confronti di Eni e dei suoi azionisti (ministero dell’Economia, Cassa depositi e prestiti), “ritenuti responsabili di danni alla salute, all’incolumità e alle proprietà” a causa delle conseguenze del cambiamento climatico, cui Eni avrebbe contribuito con le sue attività nel settore oil&gas.

È il primo contenzioso legale climatico che coinvolge direttamente una società di diritto privato in Italia; ricordiamo che pochi mesi dopo, a luglio 2023, Eni ha fatto causa a ReCommon e Greenpeace Italia chiedendo un risarcimento danni per diffamazione, in seguito alla loro campagna stampa e sui social media per promuovere la “giusta causa” contro il cane a sei zampe.

Ora la seconda Sezione civile del Tribunale ordinario di Roma, evidenzia ReCommon, ha sospeso il processo ordinario e rinviato alla Corte di Cassazione la decisione sulla sua procedibilità.

Eni, infatti, si spiega, aveva eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del Giudice ordinario adito”, di fatto contestando la possibilità di procedere con una causa climatica davanti a una corte ordinaria. A quel punto, le due associazioni hanno deciso di ricorrere in Cassazione chiedendo di pronunciarsi in merito.

“Nei prossimi mesi finalmente sapremo se anche in Italia, come già succede all’estero, è possibile intentare una causa climatica che accerti le responsabilità delle aziende o, al contrario, se nel nostro Paese, a differenza per esempio dei Paesi Bassi, dove la potentissima Shell è stata condannata in primo grado per gli effetti negativi delle sue attività sul clima, gli interessi delle grandi multinazionali fossili contano più della salute e dell’ambiente”, dichiarano ReCommon e Greenpeace Italia.

Intanto, si ricorda, le cause climatiche sono in costante aumento in tutto il mondo: già alla fine del 2022 le Nazioni Unite ne avevano mappate 2.180 in 65 Paesi.

Tra queste citiamo a titolo di esempio l’azione legale promossa da Friends of the Earth Netherlands (Milieudefensie) insieme a Greenpeace Netherlands, diverse altre organizzazioni e 17.379 singoli co-ricorrenti: a maggio 2021 ha indotto un tribunale dei Paesi Bassi a stabilire che Shell è responsabile di aver danneggiato il clima del Pianeta, imponendo alla compagnia britannica di ridurre le proprie emissioni di CO2. La sentenza è stata appellata da Shell.

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