Cattura e stoccaggio della CO2: “non funziona e non è una soluzione per il clima”

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I risultati di uno studio americano, secondo cui la tecnologia CCS non contribuirà a raggiungere lo zero netto delle emissioni entro il 2050, anzi ha emissioni dirette e indirette.

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La cattura e lo stoccaggio del carbonio “non è una soluzione per il clima”, hanno dichiarato gli autori di un nuovo rapporto su questa tecnologia, che molti governi e organizzazioni internazionali ancora considerano centrale per i propri obiettivi di decarbonizzazione.

I progetti di cattura  e stoccaggio del carbonio (CCS) caratterizzati da scarsi risultati sono nettamente più numerosi di quelli che hanno avuto un maggiore successo, hanno sottolineato dall’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA), un centro studi americano senza scopi di lucro.

Dei 13 progetti esaminati per lo studio – che rappresentano circa il 55% dell’attuale capacità operativa a livello mondiale – sette hanno registrato risultati insufficienti, due sono falliti e uno è stato messo in naftalina.

Inoltre, circa tre quarti della CO2 catturata dai progetti esistenti viene venduta alle compagnie petrolifere per il recupero potenziato del petrolio (Enhanced Oil Recovery o EOR), compromettendo così i benefici ambientali che la cattura del carbonio dovrebbe fornire, si legge nel rapporto, intitolato “The Carbon Capture Crux – Lessons Learned” e consultabile dal link in fondo a questo articolo.

“Molti organismi internazionali e governi nazionali sperano nella cattura dell’anidride carbonica nel settore dei combustibili fossili per raggiungere lo zero netto [delle emissioni entro il 2050], ma semplicemente non funzionerà“, nonostante sia da 50 anni che questa tecnologia viene studiata, testata e applicata sul campo, ha dichiarato Bruce Robertson, autore del rapporto della IEEFA.

Il recupero potenziato del petrolio attira circa il 73% della CO2 catturata ogni anno a livello globale. Circa 28 milioni di tonnellate delle 39 milioni di tonnellate sequestrate a livello globale, secondo le stime, vengono reiniettate nei giacimenti petroliferi per spingere più facilmente il petrolio fuori dal terreno.

“L’EOR in sé comporta emissioni di CO2 sia dirette che indirette“, si legge nel rapporto.

“L’impatto diretto è rappresentato dalle emissioni del carburante utilizzato per comprimere e pompare la CO2 in profondità nel terreno. L’impatto indiretto è rappresentato dalle emissioni derivanti dalla combustione degli idrocarburi che non sarebbero potuti uscire senza l’EOR”.

Un’ulteriore problema è quella di trovare siti di stoccaggio adeguati per il sequestro del carbonio, dove il gas non verrà utilizzato semplicemente per estrarre altro petrolio. Secondo il rapporto, la CO2 intrappolata dovrà essere monitorata per secoli per garantire che non si disperda nell’atmosfera, aumentando il rischio che tale responsabilità ricada sulle spalle dei contribuenti del futuro, molti anni dopo che le società petrolifere hanno ormai estratto i loro profitti.

Il rischio è inoltre quello che la tecnologia CCS venga utilizzata per prolungare la vita delle infrastrutture per i combustibili fossili ben oltre il limite necessario a mantenere il carbonio nell’atmosfera a livelli meno che catastrofici, indica il rapporto.

“Sebbene ci sia qualche indicazione che potrebbe avere un ruolo da svolgere in settori difficili da abbattere come il cemento, i fertilizzanti e l’acciaio, i risultati complessivi indicano un quadro finanziario, tecnico e di riduzione delle emissioni che continua a sovrastimare e a sottoperformare“, ha detto Robertson.

Tuttavia, “come soluzione per affrontare l’aumento catastrofico delle emissioni nel suo quadro attuale, la CCS non è una soluzione climatica”, ha aggiunto.

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