Gli investimenti nella transizione ecologica nell’Unione europea sono frenati dalla mancanza di lavoratori qualificati.
Se la cosa è evidente guardando anche solo al fotovoltaico italiano, che fatica a trovare installatori, progettisti e altre figure professionali, la conferma arriva ora da un sondaggio della Bei, la Banca europea degli investimenti, e pubblicato nel recente report Investment Report 2022/2023 (documento in basso).
Seconda la rilevazione Bei, condotta nel 2022 su oltre 12.500 imprese e 685 autorità locali, più dell’85% delle aziende e il 60% delle autorità locali intervistate hanno una carenza di competenze, in particolare nei settori dell’ingegneria e del digitale, che sta impedendo la realizzazione di progetti che dovrebbero frenare il cambiamento climatico.
Altro grande handicap del vecchio continente rispetto a competitor internazionali è che le imprese europee investono molto meno in ricerca e sviluppo: circa tre quinti di quanto stanziano le aziende di nazioni come Usa e Giappone.
“Gli investimenti per contrastare il cambiamento climatico stanno aumentando, ma sono ancora molto al di sotto di quanto necessario per raggiungere l’obiettivo europeo di zero emissioni nette entro il 2050”, si legge nel rapporto della Bei, che fa da sfondo efficace al piano che l’Ue sta preparando per recuperare il terreno sulle tecnologie verdi nella competizione internazionale.
Nell’Unione europea, secondo la Banca, sono necessari investimenti per 1.000 miliardi di euro all’anno per ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030. Si tratta, cioè, di 356 miliardi in più all’anno rispetto al periodo 2010-2020.
“La leadership nella tecnologia verde sarà fondamentale per la competitività futura, ma la preminenza dell’Ue in questo settore è minacciata”, prosegue il report, che sottolinea che “livelli relativamente bassi di investimenti in innovazione, macchinari e attrezzature rischiano di compromettere la capacità dell’Europa di competere a lungo termine.”
Se escludiamo quelli nell’edilizia abitativa, i dati Bei mostrano che, dopo la crisi finanziaria globale, si è aperto tra Europa e Stati Uniti un ampio divario negli investimenti produttivi compreso tra 1,5 e 2 punti percentuali del Pil, gap che tuttora persiste.
Questo è determinato dai maggiori investimenti statunitensi in macchinari, attrezzature e innovazione, in particolare nelle apparecchiature per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (nel settore dei servizi) e nella proprietà intellettuale (nei settori pubblico e della difesa).
Anche la spesa aziendale in ricerca e sviluppo, come anticipato, è bassa nell’Unione europea rispetto ai concorrenti internazionali: 1,5% del Pil nell’Ue nel 2020 contro il 2,6% negli Stati Uniti e in Giappone.
In questo contesto, avverte la Bei, l’Inflation Reduction Act Usa, che dovrebbe fornire quasi 369 miliardi di dollari per progetti energetici e sul cambiamento climatico, “rafforzerà la sfida competitiva delle aziende statunitensi e ha il potenziale per incoraggiare le aziende internazionali a spostare le industrie verdi innovative negli Stati Uniti”.
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