Batterie domestiche: degrado, durata e fine vita

Fattori di degrado di un sistema di accumulo per un piccolo impianto fotovoltaico e come allungargli la vita. Nuove iniziative imprenditoriali per il riciclo e il recupero del litio e dei metalli che compongono la batteria.

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Le batterie domestiche stanno diventando un accessorio comune per chi installa impianti fotovoltaici.

A fine 2022 in Italia erano in funzione 1.140.000 impianti FV di piccole dimensioni, sotto ai 20 kW, e nello stesso anno erano stati installati 227.477 accumuli domestici per una capacità totale di 2,7 GWh.

Potremmo dire allora che circa un sesto degli impianti FV esistenti è stato dotato di accumulo.

Il boom del 2022 (circa 152mila accumuli connessi) è dovuto soprattutto al bonus 110%, che nel mix degli interventi volti a rendere le abitazioni energeticamente più efficienti, finanziava anche gli accumuli domestici.

Senza questa agevolazione fiscale, probabilmente, le cifre sarebbero state molto minori. Tuttavia, indicano che un accessorio di nicchia, usato qualche anno fa da pochissimi pionieri, sta diventando un componente importante di molti impianti residenziali, per la sua capacità di incrementare l’autoconsumo dell’energia prodotta dal 20-30% all’80-90%, accelerando il recupero dell’investimento.

Visto però che fra i tre componenti principali di un sistema FV, pannelli, inverter e batteria, quest’ultima è ancora la più costosa (una batteria da 10 kWh di capacità può costare sui 6.000 €), ed è il componente più delicato e meno conosciuto, è utile per gli utenti sapere quanto ci si deve aspettare che duri e cosa fare per evitare che la sua vita si accorci inutilmente.

Fattori di degrado della batteria e come allungargli la vita

Un primo dato lo si ricava facilmente considerando per quanti anni (o cicli di carica-scarica) una batteria è garantita dal produttore: in genere la garanzia che l’accumulatore mantenga almeno il 75% della sua capacità iniziale è di 7-10 anni, con una durata media effettiva stimata sugli 8 anni, anche se non mancano casi di batterie che hanno raggiunto i 15 anni con discrete prestazioni.

Alcuni produttori, come Tesla, garantiscono le batterie non in base agli anni, ma per cicli di ricarica, in genere 7.300; in teoria, calcolando un solo ciclo al giorno, farebbero sperare in una ventina di anni di vita utile, che poi in realtà si traduce in circa una decina di anni di uso effettivo.

La durata di una batteria, poi, è direttamente proporzionale alla sua capacità: in genere più è grande e più è longeva.

Ma anche il tipo di batterie influisce: le litio-ferro-fosfato sono quelle con la vita più lunga, non solo rispetto a quelle al piombo, che durano la metà, ma anche a quelle al nickel-cobalto-manganese, peraltro anche più inclini a surriscaldarsi e per questo a degradarsi, se non addirittura a prendere fuoco. Per il primo acquisto, al momento, meglio puntare su batterie della prima tipologia.

Naturalmente anche il modo in cui viene installata e usata una batteria va a modificare la durata della sua vita, come spiega in un articolo la ricercatrice Beatrice Browning del Faraday Institute.

Un errore importante da evitare è di posizionarla in un luogo soggetto ad alte temperature, per esempio in un punto soleggiato d’estate, o anche in un ambiente chiuso e angusto, senza adeguata ventilazione, che porta il calore ad accumularsi.

Il calore è infatti il fattore di degrado più rapido per una batteria al litio, e aumenta anche il rischio di guasti e incendi, poiché altera l’elettrolita organico contenuto fra gli elettrodi, ostacolando la mobilità degli ioni litio.

Il freddo non estremo, invece, non ne accorcia la vita, anche se può rallentare e poi fermare il funzionamento della batteria, fino quando la temperatura non risale.

Il range di temperatura di funzionamento per una batteria domestica normalmente va da -5 °C e +35 °C, con l’optimum intorno ai 25 °C.

Il secondo fattore più importante è il modo in cui la batteria viene usata, qualcosa che spesso è al di là delle concrete possibilità di intervento dell’utente, visto che la gestione del sistema è affidata a un software (BMS) del produttore.

Una procedura molto dannosa è insistere nella carica quando è già al 100%, surriscaldandola, un evento che comunque non dovrebbe più accadere, visto che è proprio il BMS ad evitarlo.

Ma anche portare la batteria al di sotto del 50% della capacità massima non è molto salutare, perché aumentano le possibilità che gli ioni litio si disperdano fuori dagli elettrodi o si combinino con altri componenti dell’accumulatore, diminuendone il numero di cariche disponibile in futuro.

Insomma, si vuole che una batteria duri a lungo, sarebbe meglio evitare di spremerla ogni giorno al massimo (il BMS, in genere, ferma la scarica al 10% della capacità, proprio per ridurre i danni).

Nella pratica questo vuol dire scegliere un impianto di accumulo con una capacità più abbondante rispetto ai consumi medi giornalieri previsti quando il FV non è in funzione, in modo da rendere occasionali le scariche estreme della batteria.

Dannoso è anche il comportamento opposto: scaricarla di pochi punti percentuali sotto al 100% e poi ricaricarla subito, la cosiddetta trickle charging (ricarica a rivolo), tipica, per esempio, quando si lascia un telefonino attaccato tutta la notte al caricatore.

La ragione è che gli ultimi punti di riempimento della capacità sono anche quelli che scaldano di più la batteria, e se questa carica finale viene ripetuta troppo spesso, l’accumulatore finisce per danneggiarsi.

Anche in questo, in genere, i BMS degli impianti di accumulo domestici evitano il trickle charging, scaricando pian piano la batteria al 100% durante il giorno, senza ricaricarla a meno che non scenda sotto al 90%.

Per quanto la si tratti bene, comunque, una batteria al litio con ogni probabilità, finirà i suoi giorni prima dell’impianto FV a cui è collegata.

Tutti questi fattori vanno tenuti ben in conto quando si fanno i calcoli sulla loro convenienza economica, anche se, come per il FV, per le batterie si applica il bonus del 50% per l’efficientamento energetico oppure il superbonus al 90%, se le condizioni permettono di chiederlo.

Riciclare e recuperare

La vita relativamente breve delle batterie al litio, comunque, oltre a qualche scrupolo economico, può comportarne anche alcuni di carattere ecologico.

Ci si chiede: che fine faranno tutti quegli accumulatori, con il loro prezioso carico di metalli, ma anche di sostanze chimiche tossiche? Intaseranno le discariche e inquineranno fiumi e mari, come sostengono gli scettici della transizione energetica?

Non è così. Già adesso le batterie al litio vengono smaltite in appositi impianti, come tutti gli altri rifiuti elettronici, da cui si ricavano le materie prime riutilizzabili che contengono.

Il problema è che finora non si era riusciti a recuperare in modo efficiente ed economico il loro contenuto di litio.

Ma, come c’era da aspettarsi, era solo questione di tempo prima che qualcuno ideasse il sistema per mettere le mani su quella materia prima-seconda tanto ricercata.

C’è riuscita l’americana Dragonfly Energy che ha messo in commercio celle per batterie costruite con idrossido di litio ricavato da vecchi accumulatori.

Il processo per l’estrazione e la purificazione del litio lo ha messo a punto la Aqua Metals, che, come dice il nome, usa processi chimici in soluzioni acquose acide o alcaline, invece che la fusione ad alta temperatura, così da estrarre uno dopo l’altro rame, cobalto, nickel, manganese e, naturalmente, litio, dalle batterie rottamate.

La produzione mondiale di batterie al litio crescerà ad un tasso annuale del 22% fino al 2030. Alimentare questa enorme filiera solo con il litio estratto da miniere vorrebbe dire provocare un notevole impatto ambientale e anche possibili “ricatti” dei fornitori, un po’ come avvenuto con il petrolio.

Il petrolio, però, non lo si può riciclare, mentre il litio e tutti gli altri metalli che compongono una batteria, sì. Lo ha spiegato il Ceo di Dragonfly Energy, Denis Phare: “Con il primo impianto che realizzeremo in Nevada, dove produrremo solo celle con metalli derivati da batterie a fine vita, dimostreremo che una filiera a ciclo chiuso per gli accumuli è possibile”.

Una buona notizia, perché, ce lo diciamo sempre, la transizione energetica non deve ripetere gli errori del vecchio sistema.

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