Le valutazioni di impatto ambientale per i progetti di upstream fossile non possono considerare soltanto le emissioni prodotte nel sito di perforazione, ma devono includere anche quelle derivanti dalla successiva combustione del petrolio e del gas estratti, ovunque essa avvenga.
È il principio affermato con una sentenza del 21 maggio dall’Efta Court, cioè la Corte dell’Associazione europea di libero scambio, chiamata a dare un’interpretazione della direttiva europea sulla Via (2011/92/Ue).
Occorre premettere che la Corte ha giurisdizione in Islanda, Liechtenstein e Norvegia, ma la pronuncia di ieri ha “una grande rilevanza nello scenario del diritto ambientale europeo”, data la sua “autorità interpretativa molto forte”, come commenta su Linkedin Paola Brambilla, coordinatrice della sottocommissione Via al Mase.
Il caso norvegese e la pronuncia della Corte Efta
La Corte Efta è stata chiamata in causa dalla Corte d’Appello norvegese (Borgarting lagmannsrett), nell’ambito di una controversia tra il ministero dell’Energia del Paese scandinavo e le organizzazioni ambientaliste Greenpeace Nordic e Nature and Youth Norway.
L’oggetto della vicenda è l’approvazione di tre progetti offshore nel Mare del Nord (Breidablikk, Tyrving e Yggdrasil), avvenuta senza valutare l’impatto climatico delle emissioni derivanti dalla futura combustione del petrolio e del gas naturale estratti e venduti a terzi.
Questa esclusione, dunque, non è corretta secondo l’interpretazione data dalla Corte all’articolo 3, comma 1, della direttiva Via.
A valle di ciò, si legge nella pronuncia, “un giudice nazionale è tenuto, nella misura consentita dal diritto del suo Paese, a eliminare le conseguenze illegittime della mancata esecuzione di una completa valutazione dell’impatto ambientale prevista dalla direttiva Via. Ne consegue che un giudice non può esonerare retroattivamente dall’obbligo di valutare tali effetti”.
Per la Corte, dunque, “non sarebbe possibile sanare retroattivamente la mancata valutazione degli impatti climatici se viene violata la partecipazione pubblica e una protezione ambientale effettiva”, precisa Paola Brambilla. “La sentenza chiarisce l’obbligo degli Stati Efta di considerare l’intero ciclo di vita degli idrocarburi nell’autorizzazione di progetti energetici e riafferma l’importanza della Via come strumento di prevenzione e trasparenza”.
Non una questione del solo nord Europa, visto che “in Gran Bretagna, ora fuori dall’Ue, ci sono già precedenti simili” e in Italia “pendono ancora alcuni ricorsi nello stesso senso, che dovrebbero giungere presto a sentenza”.
Anche Frode Pleym, responsabile Greenpeace Norvegia, segnala un certo orientamento della giurisprudenza internazionale, visto che la decisione dei giudici lussemburghesi “è pienamente in linea con i recenti sviluppi giuridici in materia. Lo abbiamo visto nel Regno Unito, nei tribunali locali norvegesi, negli Stati Uniti, in Guyana e ora, per la prima volta, anche in una corte sovranazionale. Il Governo norvegese non può più ignorare che il petrolio e il gas danneggiano le persone e il pianeta una volta estratti”.
Ora, secondo l’associazione ambientalista, “questa sentenza potrebbe aprire la strada a valutazioni climatiche più rigorose dei progetti sui combustibili fossili in tutta Europa e potrebbe costituire un precedente anche per altri tribunali nazionali”.
- La sentenza (pdf)