Anche la Cina alle prese con il caro energia: come uscirne?

La Iea ha pubblicato una roadmap per supportare Pechino nell'uscita dal carbone e nella riduzione delle emissioni.

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La tempesta perfetta del caro energia sta colpendo anche la Cina: aumento dei consumi elettrici, nuovi obiettivi ambientali, prezzi in crescita di gas e carbone, forniture a singhiozzo, necessità di interrompere la produzione nelle fabbriche, black out in alcune città.

La ripresa economica post-Covid, si legge in una analisi di Bloomberg, ha spinto in alto la domanda di energia, mentre i minori investimenti nelle attività minerarie e nel settore oil & gas hanno limitato la produzione nazionale di combustibili fossili.

E questo è un enorme problema in un paese che ancora dipende in massima parte dalle risorse energetiche tradizionali. Ad esempio, nel settore elettrico, il carbone vale oltre il 60% della generazione complessiva, tanto che la Cina è il principale emettitore di CO2 nel mondo, essendo responsabile di circa un terzo delle emissioni globali di anidride carbonica.

Ci sono delle strade per uscire da questa dipendenza?

La Iea (International energy agency) ha appena pubblicato uno studio su come la Cina potrebbe trasformare il suo mix economico-energetico nei prossimi decenni, intitolato An Energy Sector Roadmap to Carbon Neutrality in China (link in basso).

A settembre 2020, infatti, il presidente cinese, Xi Jinping, aveva annunciato che Pechino si sarebbe impegnata a raggiungere il picco delle emissioni prima del 2030 e poi la neutralità carbonica (azzeramente delle emissioni nette di CO2) nel 2060.

Più di recente, alla 76esima assemblea generale delle Nazioni Unite, Jinping ha affermato che la Cina smetterà di finanziare la costruzione di nuove centrali a carbone in paesi esteri, ma senza fornire maggiori dettagli su tempi e modi di questa decisione.

E soprattutto senza menzionare il carbone domestico.

Il punto è che senza un impegno vincolante a eliminare questa fonte fossile dal mix energetico interno, attraverso una politica di coal phase-out al pari di molti paesi europei, la Cina non potrà acquisire una piena credibilità nella lotta contro i cambiamenti climatici.

La situazione resta complessa: la Cina deve tagliare le emissioni e utilizzare meno carbone, ma con meno carbone (e meno gas) la sua economia fa fatica, come conferma il power crunch di questi giorni.

Così la Cina, spiega la Iea, non potrà contare solamente sullo sviluppo delle rinnovabili e sulla diffusione delle auto elettriche, per centrare i suoi traguardi ambientali.

Dovrà anche applicare tecnologie e soluzioni volte a ridurre le emissioni della sua mole esistente di impianti e infrastrutture alimentate da combustibili fossili, dalle centrali elettriche ai cementifici, passando per le acciaierie, gli stabilimenti petrolchimici e gli altri settori industriali e manifatturieri energivori.

La Iea parla, ad esempio, di una forte crescita dopo il 2030 di tecnologie innovative per la produzione di idrogeno e per la cattura della CO2 con sistemi CCS (Carbon Capture and Storage).

Certo le rinnovabili avranno un ruolo fondamentale: nel 2060 il mix di generazione elettrica vedrà le rinnovabili al top (80% del totale), con il resto fatto da nucleare e fonti fossili con CCS, si veda il grafico seguente, tratto dalla roadmap.

In questo scenario, il destino del carbone è segnato. Secondo la Iea, infatti, la potenza totale installata nel carbone nel 2060 dovrà essere scesa a meno di 360 GW (oggi: circa 1030 GW), di cui 190 GW con sistemi CCS e gli altri 170 GW a disposizione come capacità standby di riserva.

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