America Latina, un grande potenziale per una rapida transizione energetica

Un’enorme disponibilità di energia rinnovabile e ampie risorse di minerali strategici, ma le politiche non accompagnano questo potenziale. Uno sguardo sui Paesi dell’America Latina e dei Caraibi in un report dell'International Energy Agency.

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Se gli impegni annunciati dai Paesi dell’America Latina e dei Caraibi in termini di sostenibilità venissero rispettati, la regione sarebbe in teoria in grado di soddisfare l’intera crescita della domanda di energia attraverso le fonti rinnovabili già entro questo decennio.

Ma nonostante 16 delle 33 nazioni coinvolte (Antigua e Barbuda, Argentina, Barbados, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Dominica, Repubblica Dominicana, Grenada, Guyana, Giamaica, Panama, Perù, Suriname e Uruguay) abbiano formalmente aderito agli obiettivi net zero 2050 e la maggior parte di loro abbia presentato contributi ancora più ambiziosi determinati a livello nazionale e legati all’Accordo di Parigi del 2015, con le politiche attuali si prevede che questa regione continuerà a utilizzare combustibili fossili per coprire gran parte del proprio fabbisogno energetico, in particolare per il trasporto stradale.

È quanto emerge dal “Latin America Energy Outlook“, la prima analisi approfondita e completa della regione curata dall’International energy agency (Iea) (allegata in basso).

Secondo il report l’America Latina e i Caraibi vantano già uno dei settori elettrici più puliti al mondo. Le Fer generano il 60% dell’elettricità della regione, il doppio della media globale.

Alcune delle migliori risorse eoliche e solari del pianeta si trovano proprio in Paesi come Brasile, Messico, Cile e Argentina, mentre l’energia idroelettrica, da decenni alla base della fornitura di corrente nella regione, fornisce oggi la maggior parte dell’elettricità in Brasile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Panama, Paraguay e Venezuela.

Un potenziale che potrebbe consentire all’area di avere un ruolo sempre più influente nel settore energetico globale. Le fonti rinnovabili, sempre più competitive, di cui dispone favorirebbero anche la produzione di idrogeno a basso costo e a basse emissioni, che potrebbe contribuire alla decarbonizzazione dell’industria pesante e del trasporto merci non soltanto a livello locale, ma anche su scala internazionale.

La fornitura di elettricità derivante da rinnovabili potrebbe attivare inoltre un circolo virtuoso che consentirebbe di estrarre e lavorare in maniera sostenibile alcuni minerali molto utilizzati nelle attuali tecnologie energetiche pulite in rapida crescita: l’area dell’America Latina e dei Caraibi detiene metà delle riserve globali di litio e più di un terzo delle riserve di rame e argento.

Sono materiali con mercato globale molto florido: basti pensare che i ricavi derivanti dalla produzione di minerali critici (grafite, bauxite, nichel, zinco, litio, rame e neodimio) ammontavano a circa 100 miliardi di dollari nel 2022.

“Con incredibili risorse naturali e un impegno di lunga data a favore delle energie rinnovabili, i paesi della regione hanno già un vantaggio su una transizione sicura e sostenibile verso l’energia pulita. Verrebbe stimolata la crescita delle economie locali e il sistema energetico mondiale avrebbe basi più sicure”, ha affermato il direttore esecutivo della Iea Fatih Birol.

“Il nostro rapporto – ha aggiunto – mostra che l’elaborazione di politiche di sostegno e la cooperazione internazionale sono essenziali per garantire che la regione possa sfruttare appieno il suo notevole potenziale energetico”.

Ad oggi l’America Latina pesa solo per il 5% delle emissioni cumulative globali di gas serra legate all’energia, come riflesso anche di una dipendenza di lunga data del settore elettrico dall’energia idroelettrica.

Eppure i combustibili fossili hanno ancora un ruolo preponderante. Il petrolio rimane il combustibile dominante in molti Paesi, principalmente per l’utilizzo che se ne fa nei settori del trasporto e dell’industria. Insieme al gas e al carbone rappresenta i due terzi del mix energetico della regione, una percentuale notevolmente inferiore alla media globale stimata all’80%.

Oltre alle emissioni di CO2, la regione può abbassare quelle di metano sostenendo il Global Meater Pledge, un’alleanza lanciata nel 2021 per ridurre le emissioni mondiali di gas di almeno il 30% in questo decennio, firmata dalla maggior parte dei Paesi. 

Sulla base degli impegni annunciati, le emissioni derivanti dall’uso del suolo e dall’agricoltura, che oggi rappresentano la metà dei gas serra legati all’economia nella regione, verrebbero ridotte entro la fine del decennio fino a raggiungere lo zero netto.

Poiché ci si aspetta che la domanda totale di energia superi nei prossimi anni la crescita dei combustibili fossili, la loro quota scenderà dall’attuale 67% al 63% nel 2030 e al 54% nel 2050. Questo percorso andrà ad appianare anche le divergenze sociali molto marcate della regione, spiega la Iea.

L’America Latina e i Caraibi hanno uno dei più alti livelli di disuguaglianza di reddito al mondo, con il 10% più ricco della popolazione che incide per il 40% sulle emissioni totali dell’area. 

Circa 17 milioni di persone non hanno accesso all’elettricità e per questo avere energia a prezzi accessibili sarà una delle sfide principali nell’immediato futuro: una transizione più rapida verso l’energia pulita potrebbe ridurre i costi energetici per le famiglie e determinare la fine dei sussidi ai combustibili fossili, ancora molto elevati in questa parte del mondo.

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