Accumulo a idrogeno per andare offgrid, la proposta di una startup italiana

Un'azienda italiana propone un sistema di accumulo stagionale per piccole utenze che usa l’idrogeno prodotto in situ con fonti rinnovabili. Ne parliamo con il suo general manager.

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Abbiamo pubblicato recentemente un articolo su alcune ambiziose proposte tedesche di impianti a idrogeno per rendere off grid abitazioni o piccoli condomini (L’audace idea dell’idrogeno per l’off-grid domestico).

Si immagazzina l’eccesso di energia rinnovabile prodotta nel corso di una stagione (per esempio, da solare FV in estate) in forma di idrogeno per ottenere e usare energia elettrica e calore nella stagione in cui la fonte rinnovabile non è sufficiente.

Benché oggi esistano soluzioni pronte e molto più economiche per coprire in parte i consumi energetici domestici con fonti rinnovabili, gli aspetti interessanti di questa applicazione sono soprattutto due: 1) non ci sono al momento alternative per fare accumulo stagionale su piccola scala; 2) usando per i fini domestici elettricità e calore prodotto come scarto nelle varie fasi del ciclo con questo tipo di accumulo si riesce ad ottenere un’ottima efficienza complessiva.

Torniamo su questa applicazione anche perché QualEnergia.it ha scovato un’altra azienda, questa volta italiana, che propone un sistema di accumulo innovativo stagionale che usa l’idrogeno, l’H2homeplus.

Abbiamo intervistato Daniele Verardo (foto in basso), general manager della start up del gruppo Clean Technology System Hydrogen (CTS H2) per capire meglio funzionamento e costi del sistema proposto.

Verardo, intanto perché avete deciso di puntare all’idrogeno?

Il nostro gruppo si occupa da decenni di sistemi tecnologici che utilizzano l’idrogeno come vettore energetico. L’uso di idrogeno verde prodotto da un surplus di energia rinnovabile consente di portare queste tecnologie un passo più avanti, permettendo di auto prodursi in loco il combustibile per le proprie esigenze energetiche, isolandosi in maniera più o meno completa dal sempre più volatile mercato dell’energia. E va detto che anche l’Ue sta puntando molto sull’idrogeno, con nuovi bonus, bandi, incentivi e facilitazioni per lo sviluppo e acquisto di questi sistemi.

In cosa consiste la vostra proposta e a chi è destinata?

Sintetizzando al massimo, il nostro sistema consiste in un elettrolizzatore per produrre idrogeno, bombole per accumularlo, cella a combustibile per riconvertirlo in elettricità, oltre a scambiatori per il recupero del calore nelle varie fasi, pompe, serbatoi e altri componenti. L’impianto include alcune nostre innovazioni brevettate per aumentare l’efficienza complessiva e ridurre il costo dell’idrogeno verde. Serve naturalmente anche un sistema di produzione da rinnovabili, in genere un impianto fotovoltaico dimensionato in modo che il suo eccesso stagionale di produzione sia sufficiente a coprire i consumi per tutto l’anno. Il sistema viene supervisionato da un nostro hardware e software predittivo per far interagire il tutto al meglio. L’offerta viene personalizzata per la taglia e le esigenze del cliente, includendo, se è interessato, anche la possibilità di usare l’idrogeno come carburante per la mobilità.

Vediamo allora il primo passaggio, l’elettrolisi per ottenere idrogeno dall’acqua…

Usiamo celle elettrolitiche anioniche derivate da quelle della italiana Acta, che hanno il vantaggio di non usare metalli rari come catalizzatore e di poter impiegare anche acqua piovana. Le abbiamo perfezionate in modo che il gas venga prodotto già ad alta pressione, risparmiando sull’energia necessaria al compressore.

Un compressore che spinge l’idrogeno in un gruppo di bombole a 300 bar. C’è però chi usa l’assorbimento del gas in idruri metallici che avviene a bassa pressione e si dice sia più sicuro in quanto a rischio di perdite…

Le bombole sono più economiche, leggere e non richiedono idrogeno purissimo. Inoltre, dagli idruri il rilascio del gas avviene per riscaldamento, il che comporta un ulteriore consumo energetico. È vero che serve la compressione del gas, ma non tanto, visto che è già in pressione nell’elettrolizzatore. Quanto alla sicurezza, le bombole in genere si mettono all’aperto e l’idrogeno è talmente leggero, che si disperde subito in caso di fuga; le fughe di metano e gpl sono ben più pericolose.

In Italia c’è anche il problema che l’idrogeno è un gas industriale e richiede speciali permessi.

In realtà questo è valido solo se stocchiamo più di 750 litri di gas, e a 300 bar ciò corrisponde a circa 280 kWh di energia accumulata, che non è poco. Se ne serve di più bisogna chiedere in effetti dei permessi speciali, ma non è poi molto più complicato che per un bombolone di gpl.

E veniamo all’ultima fase, la cella a combustibile, o fuel cell, che trasforma l’idrogeno in elettricità. Si tratta di un componente molto costoso. Non si potrebbe sostituire con un semplice motore a scoppio, che usi l’idrogeno per azionare un alternatore, che peraltro produrrebbe anche molto calore di scarto e ad alta temperatura, ottimo per il riscaldamento?

Si può, ma una cella a combustibile è molto più efficiente nella conversione elettrica di un motore a scoppio, oltre il 50%, contro il 30% circa. Inoltre, quest’ultimo richiede molto idrogeno, producendo anche molto calore, che poi va gestito. La fuel cell può usare l’idrogeno nella quantità che si vuole al momento, risultando molto più versatile e comunque contribuire con il suo calore residuo al riscaldamento. È vero che sono care, ma la loro produzione in serie è appena cominciata, e nei prossimi anni il prezzo è destinato a crollare.

L’impianto viene completato da serbatoi per l’acqua calda e una batteria…

Certo, perché sarebbe poco efficiente produrre con la fuel cell elettricità e calore momento per momento, rischiando di sprecare o uno o l’altro: meglio accumulare gli eccessi di entrambi, pescare fin che si può da quegli storage e far partire la fuel cell solo quando serve. Sarà il sistema digitale a valutare di volta in volta, anche ricordandosi le abitudini dell’utente, se sia meglio usare FV, idrogeno, batterie o serbatoi d’acqua calda.

Tutto quanto sembra però terribilmente complicato…

È un mondo nuovo, e capisco che possa spaventare. Ma vi assicuro che i singoli componenti non sono più complicati di un elettrodomestico; sono pensati per l’industria, quindi molto robusti, affidabili e sicuri. È necessario che chi vende questi sistemi off grid possa garantire anche un’assistenza continua in caso di problemi, altrimenti il cliente resta al buio.

Ma li avete già questi clienti?

Finora abbiamo lavorato soprattutto con centri di ricerca italiani, tedeschi e brasiliani, che volevano testare i vari aspetti dell’uso di idrogeno. Adesso cominciamo a ricevere richieste da aziende private che vogliono autoprodursi tutta o gran parte dell’energia che gli serve, per evitare di ritrovarsi con le bollette alle stelle come nei mesi scorsi. I nostri primi tre impianti dovrebbero iniziare a funzionare entro il 2024. Per ora siamo nel range delle decine di kW, ma stiamo studiando come passare ai MW: crediamo che potrebbero interessare, per esempio, le comunità energetiche, visto che l’autoconsumo, che l’idrogeno porta al 100%, è premiato con buoni incentivi per venti anni; oppure per l’agrisolare, dove l’idrogeno autoprodotto può servire anche come combustibile verde per i trasporti, anch’esso incentivato.

In effetti senza incentivi, questi impianti a idrogeno sembrano follemente cari, con spese che non si recuperano in tempi ragionevoli.

Un impianto per una famiglia media che voglia andare off grid, staccandosi dalla rete, potrebbe finire per costare fra i 90 e i 120mila euro, che non è poco. Ma, appunto, l’uso dei bonus per l’efficienza energetica, l’industria 4.0, aiuti regionali, finanziamenti del Pnrr, e bandi vari sull’economia circolare e la decarbonizzazione, possono far calare decisamente la spesa, fino a riportarla in un intervallo più ragionevole. Quando facciamo un progetto includiamo anche un piano di rientro che, usando questi aiuti, può far recuperare l’investimento in non più di 6-7 anni. E bisogna considerare che, con un’adeguata manutenzione e sostituzione delle parti soggette a degrado, un impianto a idrogeno può durare per decenni, durante i quali la fornitura energetica resterà del tutto autonoma, al riparo dai rischi di mercato e da quelli geopolitici.

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