L’audace idea dell’idrogeno per l’off-grid domestico

Due aziende tedesche hanno sviluppato sistemi per produrre e immagazzinare a casa durante l’estate abbastanza idrogeno da coprire i consumi energetici invernali. Una possibilità tecnica, ma dai costi elevatissimi.

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L’idrogeno nella transizione energetica sembra come quelle eterne promesse del calcio o del cinema, che brillano nei loro primi ruoli, ma poi, per qualche ragione, arrancano a mantenersi a galla, e spesso finiscono nell’oblio.

Così, il vettore idrogeno, ormai da decenni, viene ciclicamente proposto come “la soluzione” al problema di eliminare petrolio gas e carbone, ma poi, nonostante l’annuncio di giganteschi progetti di sviluppo o di prodotti, come le auto a idrogeno, che dovrebbero cambiare il mondo, alla fine la sua presenza nel mix energetico continua testardamente a restare marginale, mentre altre tecnologie, dal FV alle auto a batteria marciano ormai a passo di carica.

Sono note le ragioni per cui l’idrogeno sarebbe utile alla transizione energetica: può essere facilmente prodotto con elettricità (possibilmente verde) dall’acqua, e quasi altrettanto facilmente immagazzinato e riconvertito in elettricità e calore. Ciò lo rende al momento l’unica forma di accumulo energetico stagionale su grande scala a nostra disposizione.

Inoltre, nei casi in cui l’idrogeno serva come materia prima, per esempio per i fertilizzanti, o quando sono richiesta grandi quantitativi di calore ad altissima temperatura, come nei cementifici, oppure una sostanza riducente per convertire i minerali a metalli, come negli altiforni, quel gas è un’alternativa senza CO2 ai combustibili fossili.

Infine, in teoria (ma c’è chi ne dubita), l’idrogeno può usare la stessa rete di gasdotti del metano e raggiungere utenti finali che vanno dalle centrali elettriche alle caldaie domestiche, senza costringere a complessi cambi di infrastrutture.

Altrettanto note sono però le ragioni per cui molti dubitano dell’utilità dell’idrogeno: la più basica è che per ottenerlo dall’acqua bisogna “buttare via” come calore, il 20-30% dell’elettricità usata per produrlo; se poi l’idrogeno lo si riconverte in elettricità, come accadrebbe in centrali e veicoli, ecco che si perde almeno un’altra metà circa dell’energia come calore di scarto. In pratica all’utente finale arriva il 40% o meno dell’elettricità generata inizialmente.

Mentre le batterie si accontentano della rete elettrica esistente, utilizzare idrogeno richiede una nuova complicata e costosissima rete di elettrolizzatori per produrlo e di condotte e distributori specializzati per venderlo.

Come ricorda anche l’analista Max Woollard della società di consulenza Nesta, nel caso dell’uso in caldaie oggi a metano, l’idrogeno sarà sempre molto meno efficiente, e quindi proporzionalmente più costoso, delle soluzioni elettriche, che con semplici resistenze o, meglio ancora, con pompe di calore, sono in grado di sfruttare l’elettricità rinnovabile in modo molto meno “sprecone” che passando attraverso l’idrogeno.

Ammesso poi che si possa usare la rete di tubi per il metano che entrano oggi nelle case, va ricordato che l’idrogeno è un gas che tende a infiltrarsi nei metalli e a renderli fragili, richiedono anche pressioni più alte avendo meno potere calorifico.

Insomma, tutto ciò spiega perché alla fine, dopo tante promesse fantasmagoriche, molti esperti ritengono che le nicchie di utilizzo di questo gas siano ridotte. Certamente per alcuni usi industriali, probabilmente per uno storage energetico di lunga durata nelle nazioni che non hanno alternative e forse il trasporto pesante terrestre e navale.

C’è però un differente uso dell’idrogeno, a cui per ora pochi hanno pensato: servire come accumulo energetico stagionale a livello di abitazione o condominio.

Riuscire ad auto prodursi la propria energia sulla scala della singola abitazione è infatti un problema molto complicato.

Chi progetta di andare “off grid”, staccandosi del tutto dalle reti elettriche e del gas, scopre ben presto che nella stagione invernale la produzione solare latita e non è in grado di coprire i normali consumi di casa (soprattutto se si è elettrificata anche la climatizzazione), mentre d’estate la stessa produzione è più che sovrabbondante, ma senza un mezzo per accumularla per mesi non si potrà fare altro che sprecarla.

In questi casi non ci sono batterie che tengano: non solo ne servirebbero per centinaia di kWh per superare l’inverno, ma bisogna anche considerare che sul lungo periodo tendono a scaricarsi.

Problemi tanto più acuti quanto più si va verso nord, dove il sole è quasi inesistente nei mesi invernali e le temperature invernali sono particolarmente rigide.

Forse per questo motivo due compagnie tedesche Home Power Solution e Ostermeier H2ydrogen Solutions, hanno sviluppato sistemi per produrre e immagazzinare a casa durante l’estate abbastanza idrogeno da coprire i consumi invernali, riscaldamento e acqua calda compresi.

I due dispositivi, chiamati rispettivamente Picea e EcoreOne, si somigliano abbastanza anche se sono su scale diverse: il primo è destinato ad abitazioni monofamiliari, il secondo a piccoli condomini.

Il sistema comprende un grande impianto FV, un elettrolizzatore per produrre l’idrogeno dall’acqua, un compressore per comprimerlo in una serie di bombole, un sistema per riconvertirlo in elettricità (che può essere una cella a combustibile oppure un motore a scoppio), una batteria per lo stoccaggio giorno-notte e vari scambiatori di calore.

Qualcuno potrebbe chiedersi: ma non si era appena detto che queste conversioni elettricità-idrogeno e ritorno sono un disastro dal punto di vista dell’efficienza, portando a sprechi di energia e di denaro, rispetto all’uso diretto dell’elettricità?

È vero, ma solo se le varie conversioni, magari fatte a grande distanza dai punti di utilizzo finale dell’energia, comportano che il calore di scarto venga, appunto, gettato.

Ma se i dispositivi sono sistemati accanto ad una casa, che di calore ha quasi sempre bisogno, ecco che lo “scarto” di calore della conversione dell’acqua in idrogeno, fatto per lo più in estate, può essere usato per scaldare l’acqua sanitaria, mentre il calore prodotto dalla cella a combustibile (e ancora di più quello molto maggiore di un motore a scoppio) che riconverte l’idrogeno in elettricità, servirà a riscaldare il grande serbatoio dell’acqua per il riscaldamento domestico.

In questo modo dell’idrogeno non si butta via niente e la sua efficienza di utilizzo sale al 90% circa.

Si tratta di una soluzione ottimale? Sì, ma per ora, solo per chi ha un portafoglio molto ben fornito, e ha anche l’ossessione di rendersi indipendente dalla rete e azzerare la propria impronta climatica.

I prezzi di questi sistemi non sono infatti molto popolari.

“Il nostro Picea – ci rispondono dalla Home Power Solution – nella configurazione più piccola costa circa 75mila euro, oltre a circa 1.000 € di manutenzione annua. EVanno esclusi dal conto i circa 10 kWp di FV sul tetto necessari, almeno in Germania, per produrre abbastanza energia tutto l’anno. In Italia forse ne basterebbero anche meno. Per ora Picea è riservato ai clienti tedeschi, perché nel vostro paese le regole sui gas industriali rendono complicato usare dispositivi a idrogeno nelle case”.

Molto più dettagliate sono le informazioni, compresi grafici con simulazioni di consumi e produzione elettrica e di calore annuali, che si possono trovare su una brochure della Ostermeier H2ydrogen Solutions nel caso di uso del loro sistema per un piccolo condominio da 4 appartamenti.

In questo caso il FV necessario è stimato in 40 kWp, puntati esattamente a sud e con una inclinazione di 30 gradi, a cui si aggiungono una batteria da 40 kWh, un serbatoio di stoccaggio termico da 2000 litri, una pompa di calore da 20 kW (con CoP 4), una fuel cell da 8 kW, un elettrolizzatore da 10 kW (in grado di produrre circa 2 kg di idrogeno in una giornata di sole), e la bellezza di 300 bombole per idrogeno da 300 atm.

Il costo totale del sistema è di 455mila euro, di cui la parte maggiore se ne va, non sorprendentemente, per le bombole, ben 180mila euro, mentre 80mila euro le richiede l’elettrolizzatore, e 45mila la fuel cell (“solo” 30mila l’alternativa con motore a scoppio rotativo Wankel). Per la manutenzione annuale si arriva a 2700 euro; quindi, nella vita ventennale dell’impianto si porta via altri 54mila euro, facendo arrivare il costo totale a oltre 500mila euro.

Con un calcolo a spanne, i 125mila euro richiesti a ogni inquilino del teorico condominio, cioè 6.250 euro annui per i venti anni di vita dell’impianto, si giustificano solo nel caso di un estremo senso di colpa ambientale, oppure di spese fuori controllo per l’energia fossile acquistata finora.

Una semplice conclusione sembra scontata: l’idrogeno per l’off-grid domestico è un’interessante possibilità tecnica, che resterà tale se non si troverà il modo di abbassarne drasticamente i costi. Comunque, una soluzione destinata per pochissimi.

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