La mobilità elettrica sta crescendo anche in Italia (su questo fronte in ritardo rispetto ad altri Paesi) e crescerà ancora di più nei prossimi anni, con la decisione del Cite di vietare la vendita di nuove auto diesel e benzina entro il 2035.
Ma l’annuncio del Comitato interministeriale per la Transizione ecologica ha innescato le critiche da parte del mondo industriale, che teme una perdita di posti di lavoro nel settore automotive, stimata in quasi 70mila occupati in meno già nel 2025-2030.
Gli orientamenti dei consumatori
Finora il nostro Paese ha accumulato un ritardo in confronto alle nazioni che hanno adottato per prime la mobilità elettrica, tra cui leader come Cina, Svezia e Germania, evidenzia Ernst & Young (EY) nel presentare i dati più importanti del suo Electric Vehicle Country Readiness Index, il nuovo indice che misura il grado di sviluppo della e-mobility in dieci principali mercati.
Secondo EY il consumatore italiano è pronto per il passaggio alla mobilità elettrica come prossima scelta, motivato principalmente dagli incentivi governativi monetari e non monetari e da una crescente consapevolezza ambientale.
Nel 2020 le vendite di auto in Italia sono diminuite del 28% su base annua, a fronte della crescita del 232% per le immatricolazioni di veicoli elettrici BEV (Battery electric vehicle) e PHEV (Plug-in electric vehicle).
E il 54% del campione intervistato (campione di mille cittadini a settembre 2021), in procinto di cambiare auto entro i prossimi tre anni, si orienterebbe verso modelli ad alimentazione ibrida (43%) oppure elettrica (11%). Tra i motivi addotti a sostegno di questa preferenza, spiccano lo stile di vita attento ai temi ambientali (43%), la possibilità di accedere nei centri cittadini e nelle Ztl (35%), oltre al minor costo chilometrico/di manutenzione (33%) e agli incentivi economici (30%).
Chi frena sulla mobilità elettrica
Tuttavia, lo stop alla vendita di nuove auto termiche dal 2035 annunciato dal Cite ha creato un certo scompiglio.
La decisione del Cite, si legge in una nota Anfia (Associazione industriale filiera industria automobilistica), “ha sorpreso e messo in serio allarme le aziende della filiera produttiva automotive italiana” perché questa accelerazione verso la mobilità elettrica è “troppo spinta” e mette a rischio decine di migliaia di lavoratori (neretti nostri in tutte le citazioni).
Nella nota si cita un recente studio commissionato da Clepa (Associazione europea della componentistica automotive), in cui sono stati quantificati i danni, occupazionali ed economici, derivanti dalla possibile messa al bando dei motori a combustione interna al 2035 in diversi Paesi manifatturieri.
In Italia si rischiano di perdere, al 2040, circa 73.000 posti di lavoro, di cui, come anticipavamo, 67.000 già nel periodo 2025-2030.
Perdite, sostiene Anfia, “che le nuove professionalità legate all’elettrificazione dei veicoli non basteranno a compensare“.
Preoccupato anche il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che ha sottolineato il rischio di “chiudere interi pezzi di filiera”, mentre il sindacato Fim (Federazione italiana metalmeccanici aderente alla Cisl) scrive che “il countdown a cui è legato la perdita di oltre 60mila lavoratori nel nostro Paese è stato attivato” con la decisione del Cite.
Per il sindacato “la scelta verso i motori green, deve essere accompagnata con altrettanta determinazione da una scelta di politica industriale“, ma questo “nel nostro Paese non sta avvenendo”, quindi si chiede di costituire “un Fondo specifico attraverso il quale finanziare la transizione dal punto di vista industriale e sociale dei lavoratori, con risorse specifiche dedicate alla formazione professionale e ad ammortizzatori sociali per la transizione”.
Timori sono stati espressi anche dal viceministro allo Sviluppo economico, Gilberto Pichetto Fratin (Forza Italia): la decisione del Cite “è un passaggio necessario al fine di garantire un’Unione europea a impatto climatico zero, tuttavia quando si prendono decisioni a livello globale bisogna farlo non solo da un punto di vista ideologico, ma tenendo ben presenti gli interessi reali del Paese” (fonte Ansa).
Questo obiettivo, secondo Pichetto, “non può pregiudicare la sopravvivenza di un settore che dà lavoro a tante persone e crea un importante indotto diretto e indiretto”, facendo presente che sono “circa 70mila i posti a rischio” solo nella produzione, mentre non sono stimabili le conseguenze occupazionali sui rimanenti 800mila addetti delle attività connesse al settore automotive.
E lo stesso titolare del MiSE, Giancarlo Giorgetti (Lega), ha affermato all’assemblea della Confederazione nazionale degli artigiani (Cna) che “la scelta di andare verso l’auto elettrica ha sicuramente una conseguenza, già stimata e precisata: oltre la metà della manodopera che attualmente lavora nella filiera automotive, nel motore a combustione, non lavorerà più in quel settore“.