Dagli orsi polari tra blocchi di ghiaccio in scioglimento, alla balena morta un paio di giorni fa nelle acque tailandesi, dopo aver ingerito oltre 80 sacchi di plastica, ogni capitolo della lotta contro il cambiamento climatico ha le sue immagini-simbolo che fanno il giro del mondo.
La “guerra” alla plastica si sta diffondendo: la Commissione europea ha appena proposto una direttiva per bandire diversi oggetti monouso come piatti, bicchieri, cotton fioc, cannucce e così via, nell’ambito della strategia per un’economia circolare adottata lo scorso gennaio.
L’obiettivo è ridurre il consumo di plastica e, di conseguenza, l’inquinamento marino causato dall’abbandono di prodotti usa e getta, puntando sul riciclo e su una migliore progettazione degli imballaggi.
Anche le Nazioni Unite sono scese in campo, dedicando la giornata mondiale dell’ambiente di ieri alla plastica e pubblicando uno studio (allegato in basso) sui problemi dell’eccessivo utilizzo di questo materiale nel mondo, proponendo alcune soluzioni per diminuirne la fabbricazione e la vendita.
Il grafico seguente evidenzia l’aumento dei rifiuti di plastica negli ultimi decenni: siamo arrivati a 300 milioni di tonnellate nel 2015.
Quasi metà della cifra totale è riferita a imballaggi e confezioni, 141 milioni di tonnellate circa, con una quota di riciclo molto bassa a livello globale (14%).
Quanto petrolio serve?
Quanto petrolio si consuma per produrre la plastica? Con quali impatti sul carbon budget, cioè l’anidride carbonica che potremo ancora immettere nell’atmosfera prima di sforare il limite dei 2 gradi di surriscaldamento terrestre?
Per rispondere a queste domande, è utile lo studio The Circular Economy (documento completo allegato in fondo all’articolo), pubblicato di recente da Material Economics, una società di consulenza svedese specializzata nelle analisi sui diversi tipi di risorse, con particolare attenzione alla “sostenibilità” ambientale.
Il documento presenta un intero capitolo rivolto alla plastica (si parla anche di acciaio, alluminio e cemento).
Le proiezioni al 2050 dicono che la domanda complessiva di questo materiale supererà 800 milioni di tonnellate (mt), circa il doppio del livello odierno, come mostra il grafico sotto, per poi salire a più di 1.300 mt entro la fine del secolo.
Assumendo di produrre tutta quella plastica in uno scenario tecnologico business-as-usual, quindi impiegando perlopiù il combustibile fossile, lo studio stima un consumo di petrolio pari a 900 milioni di tonnellate/anno nel 2050, più di tutto l’oro nero utilizzato adesso nell’Unione europea.
L’Europa, precisa lo studio, oggi consuma circa 49 milioni di tonnellate di plastica ogni anno, circa 100 kg pro capite, con la previsione di toccare 62 mt fra una trentina d’anni.
Quanto inquina la plastica?
In media, proseguono gli esperti di Material Economics, per ogni tonnellata di plastica nuova prodotta, bisogna considerare 2,5 tonnellate di emissioni di CO2 legate ai processi industriali, oltre a 2,7 tonnellate di CO2 “incorporata” (embedded) nel materiale e che sarà rilasciata nell’atmosfera soprattutto attraverso l’incenerimento del relativo rifiuto.
Così, rimanendo in Europa, le emissioni nette di CO2 dovute alla fabbricazione e all’incenerimento della plastica potrebbero aumentare del 76% nei prossimi decenni, da 132 a 233 milioni di tonnellate ogni anno, vedi il prossimo grafico.
Secondo gli autori del documento, a livello globale, le emissioni cumulative nette di anidride carbonica, riferibili alla plastica, potrebbero raggiungere 287 miliardi di tonnellate entro il 2100, oltre un terzo dell’intero “salvadanaio” di CO2 compatibile con il tentativo di limitare a 2 gradi l’aumento medio delle temperature del nostro Pianeta.
Tornando all’esempio europeo, il quadro potrebbe cambiare come riassunto nel grafico seguente sullo scenario di economia circolare, prospettato da Material Economics, in cui le emissioni nette di CO2 sarebbero circa dimezzate nel 2050 rispetto a oggi, aumentando notevolmente il tasso di raccolta della plastica da avviare al riciclo e migliorando i procedimenti stessi di riciclo (oggi oltre il 40% della plastica collezionata non si trasforma in materiale secondario).
C’è un potenziale aggiuntivo per ridurre le emissioni inquinanti (additional potential abatement), evidenzia il medesimo grafico, dato da una serie di misure che potrebbero essere incluse nel ciclo di vita: ad esempio, utilizzare energia rinnovabile nei processi produttivi, aumentare ancora il riciclo, sostituire la plastica con altri materiali o con bio-componenti.
Per raggiungere un traguardo così ambizioso, chiude lo studio, bisognerà incentivare le industrie a impiegare sempre più plastica riciclata al posto di quella “vergine”, quindi bisognerà promuovere la qualità e così il valore del materiale raccolto-riciclato.
Una via suggerita dagli analisti di Material Economics è adottare una fiscalità ambientale, in grado di riflettere il costo “reale” della CO2 associata alla produzione e all’utilizzo della plastica.
Per approfondire: