Storage di rete, la scommessa di Musk in Australia è vinta anche tecnologicamente

Nelle scorse settimane la più grande batteria al mondo realizzata da Tesla ha messo in sicurezza già un paio di volte la rete del South Australia intervenendo in tempi rapidissimi in situazione di improvviso calo della generazione di energia. Sugli economics dell'iniziativa restano i dubbi. Elon Musk sta per partire anche con il progetto "Solar Roof".

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Elon Musk fa sul serio e sembra voler fare da battistrada mondiale su fotovoltaico e, soprattutto, batterie.

Parliamo in particolare della grande batteria al litio installata in Australia, l’Hornsdale Power Reserve (video dell’impianto): uno storage elettrochimico da record con 100 MW/129 MWh che già a novembre aveva fatto i suoi primi cicli di carica e scarica.

Ebbene, nelle scorse tre settimane la grande batteria ha messo in sicurezza la rete intervenendo almeno un paio di volte in tempi rapidissimi in situazioni di improvviso calo o di interruzione della generazione di energia, dovute anche a temperature che oscillavano intorno ai 40 °C.

La batteria di Tesla ad esempio è entrata in funzione in soli 0,14 secondi dopo che la centrale e a carbone da 953 MW nello stato di Victoria, una delle più grandi del paese, aveva ridotto improvvisamente la sua produzione.

È successo il 13 dicembre prima di mezzogiorno, quando per la prima volta l’accumulo è stato scaricato per la prima al massimo della sua capacità (100 MW), come si più vedere dal grafico.

Anche pochi giorni prima di questo evento, stavolta nel corso del picco pomeridiano, la risposta dell’accumulo ad un problema tecnico di un altro impianto energetico era stata rapidissima, meno di 4 secondi. Qualcosa di non realizzabile con altri sistemi di gestione della rete.

L’obiettivo dello mega storage di Elon Musk è di migliorare l’affidabilità e la sicurezza della rete elettrica dell’Australia meridionale, dopo i tanti blackout che hanno colpito la regione tra fine 2016 e inizio 2017. Lo scopo è anche quello di mettere a regime un piano per incrementare la capacità energetica di riserva.

Ricordiamo che nel 2016 un’interruzione di elettricità nel South Australia aveva lasciato per parecchie senza energia ore oltre 1,8 milioni di persone. Problemi di stop alle centrali sono spesso causati in estate dal grande caldo che obbliga ad un utilizzo molto intenso di sistemi per il condizionamento dell’aria. Ma anche altri eventi estremi, come tempeste e tifoni, hanno creano grossi problemi alla rete australiana.

A marzo Elon Musk sembrava l’avesse sparata grossa: realizzare in 100 giorni in Australia il più grande sistema di stoccaggio elettrochimico al mondo. E se non avesse vinto la sua scommessa tutto l’impianto sarebbe stato gratuito (valore del sistema è di circa 50 milioni di dollari)

L’accordo con il governo australiano è stato firmato a luglio e, come sappiamo, la scommessa l’ha vinta lui: il grande accumulo è entrato in funzione anche in anticipo sul termine del primo dicembre.

L’impianto di stoccaggio è alimentato da una centrale eolica da 309 MW di potenza gestista dalla società francese Neoen, che insieme a Tesla sta testando il sitema di storage.

A prescindere dall’uso come backup di emergenza, le batterie stoccano la produzione eolica eccedente e rilasciano elettricità all’occorrenza; si stima che siano in grado di fornire energia per le esigenze di circa 30mila abitazioni.

Dal punto di vista degli economics è molto improbabile che il progetto sia remunerativo per Tesla, ma la valenza tecnologica e persino politica pare indubbia.

Tesla ha messo in piedi un sistema costituito da migliaia di impianti fotovoltaici e accumuli anche per le Samoa occidentali al fine di rendere autonome diverse aree. Anche a Portorico, dopo l’uragano dello scorso ottobre che ha distrutto la rete elettrica, Musk ha in cantiere un progetto con rinnovabili e batterie, che andrebbe ad aiutare, e in parte a sostituire, la rete, per la cui completa ricostruzione servirebbero circa 5 miliardi di dollari.

In questo caso, il compito non è affatto semplice. L’isola ha consumi elettrici di tutto rispetto, circa 20 TWh all’anno e, inoltre, andranno ricercate risorse conomiche per l’iniziativa. Su quest’ultimo aspetto ci si sta muovendo anche dal basso con il crowdfunding.

Poi c’è la California, dove Tesla intende partecipare al nuovo mercato dello storage, visto che lo Stato sta imponendo alle utility di testare le batterie in progetti per un totale di 1,32 GW entro il 2020. Una capacità considerevole visto che l’intero mercato mondiale dello storage elettrochimico nel 2016 non aveva ancora superato il gigawatt.

Per rimanere in ambito Tesla, si è saputo che a dicembre con la Panasonic ha finalizzato un accordo per iniziare a costruire la “Gigafactory 2” a Buffalo, nello Stato di New York: produrrà celle e moduli fotovoltaici ad alta efficienza (ad eterogiunzione con strati ultrasottili di silicio amorfo e wafer monocristallini, denominate HIT) che non verranno usate per le installazioni su tetti. La celle hanno una raggiunto un’efficienza del 25,6%, come ha dichiarato di recente la società giapponese (sul modulo si è intorno al 23,8%).

Tuttavia quando inizierà la produzione del “Tetto Solare” di Tesla, in ritardo di diversi mesi rispetto alle attese, la società di Musk incorporerà le celle HIT nelle tegole solari che verranno fabbricate per il Solar Roof.

Ricordiamo che secondo Tesla la nuova la copertura fotovoltaica prevista per l’ambito residenziale dovrà avere un costo molto competitivo, circa 212 € al metro quadrato. Sulle criticità e i dettagli del progetto rimandiamo ad un nostro articolo dello scorso maggio (Prezzi e promesse del Solar Roof di Tesla. Le prime valutazioni).

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