Tra i molti controversi provvedimenti per incentivare le fonti fossili presi di recente da Donald Trump, c’è anche il via libera definitivo alla costruzione della “Dakota pipeline“, l’oleodotto che attraversa un’area sacra per i nativi indiani Sioux .
Lungo 1900 chilometri, è progettato per portare petrolio dal Dakota fino all’Illinois. Il suo costo si aggira sui 4 miliardi di dollari, mentre la sua portata sarebbe di 450 mila barili al giorno.
L’impatto umano e ambientale di questo progetto è devastante, poiché mette a rischio le riserve idriche di una vasta zona del Nord degli Stati Uniti e attraversa, con gravi impatti, un’area sacra per i nativi indiani Sioux. I rischi sono alti: solo nel 2016 si sono registrati oltre 200 sversamenti dagli oleodotti nel territorio statunitense e il petrolio è una delle principali cause del cambiamento climatico.
I nativi americani stanno protestando da mesi per difendere le loro terre sacre, ricevendo solidarietà e sostegno da ogni parte del mondo. Ma la loro protesta è stata contrastata con metodi brutali.
La più grande banca Italiana, Intesa Sanpaolo, fa parte del consorzio di finanziatori di questo controverso progetto.
Greenpeace ha scritto una lettera ufficiale alla banca “per chiedere se ha intenzione di continuare a finanziare la distruzione delle terre dei Sioux e di mettere a rischio l’acqua potabile di tutta quella zona, oppure se deciderà di non impegnare i soldi dei propri clienti per un progetto tanto pericoloso e controverso.”
“Intesa Sanpaolo – si legge in una nota dell’associazione – non ha ancora dato una risposta ufficiale, il tempo corre e il suo è un silenzio assordante“