Basta la concentrazione di poche truppe russe nella parte occidentale di quel Paese alla frontiera con l’Ucraina a provocare reazioni di grande preoccupazione per la sicurezza energetica dell’Europa. Numerosi politici, giornalisti, commentatori si esprimono preoccupati per la dipendenza dal metano russo che soddisfa un terzo del fabbisogno della Germania e il 40% di quello italiano. Complessivamente l’Unione Europea importa oltre la metà delle fonti energetiche per produrre calore ed energia elettrica da Paesi da considerarsi politicamente o economicamente instabili e da tempo la sicurezza è la forza più importante che spinge la politica energetica della Commissione. Con le fibrillazioni nel rapporto Russia-Ucraina, e di conseguenza Russia-Europa-USA, tutto il sistema energetico viene messo in discussione e il ministro per l’energia della Germania, Dietmar Gabriel, discute in pubblico le alternative alla dipendenza russa.
L’importazione via nave dagli Stati Uniti di metano liquefatto potrebbe essere un’alternativa. La forma di estrazione è però il micidiale fracking e, oltre questo difetto ambientale, non esiste alcun porto tedesco in cui queste immense navi cisterna potrebbero sbarcare il proprio carico. A questo punto forse si deve tagliare la testa al toro e permettere il fracking in Germania? Avrebbe alti costi in termini di consenso politico, con prevedibilmente forti resistenze dal mondo ambientalista e non solo.
Per quanto la crisi tra la Russia e l’Occidente sia reale, una sua ripercussione sulle forniture di metano è una minaccia piuttosto lontana. Anche nei tempi peggiori della guerra fredda il metano russo è arrivato puntualmente nell’Europa occidentale. Inoltre, nel caso molto improbabile di un’interruzione dell’approvvigionamento, le case non si raffredderebbero e le centrali non si fermerebbero. L’Italia ha quasi 17 miliardi di metri cubi di metano di riserva, rapportato agli abitanti più della Germania con i suoi 20. Quindi il worst case, lo scenario improbabile del caso peggiore, produrrebbe una situazione critica ma non catastrofica.
Invece, guardando la sintesi esecutiva dell’attuale rapporto del secondo gruppo di lavoro dell’IPCC su impatti, vulnerabilità e adattamento ai cambiamenti climatici, la situazione è ben diversa. Non si tratta di un’eventualità con bassa probabilità, ma di un drammatico evento in atto e le sue conseguenze catastrofiche si stanno verificando con una sicurezza che può tranquillamente rinunciare al “quasi” e diventeranno, in un prossimo futuro, più gravi, anche molto più gravi.
L’attenzione del mondo politico e del pubblico in generale? Scarsa. Obiettivi ambiziosi e vincolanti dell’Europa per il 2030 in questo momento sono lontani, e questo vale ancora di più per la politica del clima italiana. Una dissonanza cognitiva clamorosa, che in parte viene risolta ignorando le informazioni, in parte spostando le paure su altri eventi, come per esempio la crisi Russia-Europa-USA. Prendere sul serio il V rapporto dell’IPCC significherebbe una profonda trasformazione energetica e di mobilità in Europa, nel proprio Paese e nella propria casa. Da subito. Con l’efficienza energetica come prima priorità per ridurre la necessità di importare fonti energetiche da regioni lontane e presumibilmente instabili. Preoccuparsi dell’approvvigionamento del metano russo è il caso lampante di una traslazione da un problema epocale quali i cambiamenti climatici a fibrillazioni stagionali nel mercato energetico, di uno spostamento dell’attenzione dalla necessità di una svolta energetica dell’economia e della società allo spettacolo dell’alta diplomazia dove le responsabilità sono di Putin e di Obama, di Kerry e di Lavrov, della Merkel e di Renzi.
L’articolo è stato pubblicato nella rubrica Lifestyle sul numero 2, aprile-maggio 2014, della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Clima alla canna del Gas” (pdf)