Crisi ambientale ed energetica e gli effetti sull’economia, l’Italia ad un bivio

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Urge una visione di lungo periodo per la ripresa economica e la mitigazione del rischio geopolitico legato ai cambiamenti climatici. Su questi aspetti il nostro paese è senza un'agenda, afflitto da una classe politica inadeguata e incapace di prevedere strumenti per la pianificazione di politiche di adattamento e di capire la connessione tra crisi economica, ambientale ed energetica.

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Con elementi già solidi in molti sistemi economici nazionali (per esempio in Germania) e presenti anche in Italia, si fa strada un nuovo ordine socio-economico i cui cardini sono efficienza energetica, basso contenuto di carbonio e alto contenuto tecnologico della produzione e dei prodotti, energie rinnovabili, ottimizzazione d’uso delle materie prime e del ciclo integrato dei rifiuti, razionalizzazione della pianificazione del territorio e dei trasporti e così via. Questo nuovo mercato potenziale può beneficiare di un effetto amplificativo espresso dalla domanda alta di nuove spinte propulsive di costume e abitudini che caratterizza la società contemporanea.

Questa grande transizione, inesorabilmente in atto, si realizza all’interno di un cambiamento di ordine superiore che coinvolge il sistema climatico, subendone mutuamente azioni di rinforzo. Con buona pace dei cosiddetti negazionisti e degli ultraconservatori in economia, il surriscaldamento atmosferico di causa antropica è confermato dall’ultimo rapporto IPPC (WGI IPCC, The physical science basis, settembre 2013). Le evidenze scientifiche degli effetti antropogenici sul sistema climatico si sono consolidate.

Il contesto fisico e ambientale nel quale dovrà compiersi nei prossimi decenni lo sviluppo civile dei Paesi sarà con molta probabilità diverso, e per nulla favorevole. Così anche in Italia, dove le variazioni climatiche previste imporranno vincoli stringenti, perché posti da fenomeni esogeni e globali, che incideranno sui fattori economici, ambientali e di sicurezza della nazione. Urge allora interrogarsi sulla capacità del sistema Paese, in particolare del sistema politico, di gestire proficuamente questa transizione. Senza una opportuna visione strategica di lungo periodo, altrimenti, un quadro di questo tipo non potrà che condurre a effetti catastrofici.

Le indicazioni infatti non sembrano positive. La fase di crisi economica internazionale, probabilmente non ciclica, si acuisce in Italia, soprattutto nel modo in cui è percepita dalla popolazione, con effetti ancora più nefasti per la conclamata debolezza del nostro sistema politico, confermata dagli eventi drammatici degli ultimi mesi (e giorni). Oltre alle ristrettezze economiche sempre peggiori, un clima fosco pervade lo spirito delle persone e ne soffoca slanci creativi, sintesi progettuali, come anche elaborazioni di aspettative.

Era difficile venti anni fa prevedere l’irrompere di questa crisi? Probabilmente sì, anche se alcuni fattori ne prefiguravano i contorni: globalizzazione dei commerci e della finanza, estensione e accrescimento delle disuguaglianze, raggiungimento del limite di scarsità delle risorse, saturazione del ciclo dei prodotti di consumo di massa nei paesi industriali avanzati. Era arduo immaginare che la crescita di una formazione politica non adeguata, secondo i principi di una democrazia avanzata, capace di catalizzare un movimento di opinione con finalità particolaristiche e di calamitare gli elettori genericamente di destra immiserendone la rappresentatività, avrebbe provocato i guasti di cui oggi dobbiamo gestire le scorie? Certamente no.

L’Italia si trova ora nella situazione critica di dover fronteggiare estreme difficoltà, di carattere sovranazionale e di lungo periodo, la cui pericolosità è moltiplicata dalla mancanza di una struttura politica nazionale solida e autorevole (“nave senza nocchiero in gran tempesta”), anche per gravi responsabilità del maggior partito di sinistra che non ha saputo (voluto) assumere l’onere di esercitare tempisticamente le azioni di contrasto democratico dovute. È mancata una visione coerente secondo cui pianificare sugli orizzonti sociali ed economici della nazione. Si è premiato il tatticismo asfittico delle convenienze localistiche (spesso di corrente partitica).

Ma non c’è soluzione di continuità nelle vicende delle nazioni nel flusso della storia. Nei prossimi decenni le variazioni del contesto ineludibile (il contesto fisico) proporranno all’Italia problemi di peso anche maggiore. Non ci si può permettere di persistere nel piccolo cabotaggio di giornata, pena il rischio di mettere a repentaglio la stessa esistenza dello Stato per come lo abbiamo conosciuto nell’ultimo secolo e mezzo.

Gran Bretagna (Ministero della Difesa – Strategic trends programe, Global strategic trends – Out to 2040), Stati Uniti (Dipartimento della difesa e quello della sicurezza interna: National security and the threat of climate change, CNA Corporation), e altre nazioni (tra cui Germania e Francia), da anni si occupano di studiare i fattori che guideranno la transizione forzata verso un nuovo paradigma mondiale economico e ambientale, in primo luogo energetici, climatici e demografici, e gli effetti sulle rispettive società. Ne sono derivati rapporti, allo stato attuale proiettati alla metà del 21° secolo, che costituiscono gli strumenti per la pianificazione delle politiche di adattamento e di contrasto, ma anche di nuovo sviluppo nell’ambito di rinnovate condizioni.

Globalizzazione, cambiamenti climatici, disuguaglianze, innovazione, dinamica delle potenze globali, evoluzione del concetto di difesa e sicurezza, sono solo alcune delle parole chiave. Gli scenari per l’area mediterranea, per l’Italia in particolare, non sono assolutamente confortanti e presentano una situazione senza precedenti di stress ambientali (scarsità idrica e desertificazione diffuse, deficit nella produzione alimentare, aumento diffuso degli eventi atmosferici estremi), sociali e politici: incremento dei costi energetici e di mitigazione e adattamento microclimatico, aumento esponenziale della pressione migratoria ai confini meridionali (con le immani tragedie ad essa connessa, come la cronaca ci ricorda anche in queste ore), difficoltà di mantenimento dell’ordine pubblico nel Sud con rischio di tenuta dell’unità nazionale, aumento della tensione con i paesi europei confinanti a Nord con la minaccia di ridefinizione restrittiva dei confini UE.

Argomenti come questi dovrebbero colmare le agende programmatiche delle rappresentanze politiche di qualsiasi colore, con piani di intervento realistici e particolareggiati per favorire la resilienza strutturale del Paese e ricavarne anche benefici in termini di crescita economica di lungo periodo attualizzata alle dinamiche dell’innovazione. Sviluppo civile e crescita economica possibili contro i rischi di un declino rovinoso, evoluzioni probabili e pericolosamente alternative, in base le scelte fatte, su un sistema da governare ora, subito.

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