Fine conto energia, tra oneri di sistema ed effetto peak shaving

L'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas e il Ministero dello Sviluppo Economico sottolineano il rischio dell'aumento del valore unitario degli oneri di sistema per la forte crescita della produzione da fonti rinnovabili non vi è soggetta. Gli operatori chiedono invece di considerare nel computo generale anche i benefici economici apportati dalla penetrazione del fotovoltaico. Intanto le imprese sono in sofferenza. Un convegno alla Solarexpo-The Innovation Cloud di Milano.

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“Siamo arrivati in poco tempo a 30 TWh prodotti con la generazione distribuita su un totale nazionale che è di circa 300 TWh, e mi riferisco solo a dati ufficiali 2011. Questo dato comporta una esigenza regolatoria altrettanto rapida che renda sostenibile questa produzione sia a livello tecnico, cioè che garantisca la sicurezza del sistema elettrico nella sua complessità, sia a livello economico, cioè che contenga il più possibile i costi del dispacciamento”. Così ha esordito Andrea Galliani, responsabile dell’unità fonti rinnovabili dell’Autorità per l’Energia, nel corso del convegno “Il fotovoltaico in Italia oltre il conto energia” che si è svolto nella giornata di apertura di Solarexpo – The Innovation Cloud alla Fiera di Milano e che ha avuto al centro del dibattito gli strumenti, le norme e i modelli di business necessari per far superare l’impasse che si potrebbe verificare nel mercato alla fine del meccanismo incentivante, prevista entro poche settimane.

Va specificato che questa produzione distribuita non è in genere soggetta alle tariffe di trasmissione-distribuzione e agli oneri di sistema ed è riferibile ai cosiddetti RIU, SEU, Seseu e allo scambio sul posto. E questo è proprio il tema caldo del momento per operatori e istituzioni energetiche.

Dalla prospettiva dell’ente regolatorio gli strumenti di gestione di un sistema elettrico, che ha visto la massiccia entrata di fonti rinnovabili intermittenti, sono diversi. Galliani ne indica due. Il primo è un intervento di tipo infrastrutturale (accumuli, reti, ecc.) e il secondo riguarda la gestione del dispacciamento e la sua ottimizzazione. Facendo riferimento a questo secondo aspetto – spiega Galliani – manca al momento il disegno sulla rete di distribuzione, anche se è a breve verrà messo in consultazione uno studio in cui verranno presentati e confrontati diversi modelli teorici di dispacciamento sulle reti di distribuzione. Saranno modelli, anche se ancora teorici, che potranno essere un punto di partenza per una gestione attiva delle reti sia dal lato del gestore che dal lato produttore.

All’interno di un riassetto normativo molto complesso, delineato soprattutto nel documento di consultazione presentato la scorsa settimana (Qualenergia.it, L’Autorità per l’Energia all’attacco dell’autoconsumo: si paghino gli oneri) si colloca appunto la questione spinosa dell’applicazione degli oneri generali di sistema. La preoccupazione dell’Autorità, segnalata a Governo e Parlamento, è legata al fatto che più aumenta la quantità di energia elettrica esente, che secondo l’ente riceve in questo modo “un incentivo implicito”, più aumenta il valore medio unitario che gli altri utenti si trovano a dover sostenere. Poiché il valore unitario di questi oneri di sistema tende ad aumentare, non solo perché aumenta il totale degli oneri stessi, ma anche perché si viene a ridurre la base imponibile, la conseguenza è che oggi sempre più realtà cercano gli strumenti per ottenere nuove forme di esenzione.

Il rischio è che questa situazione sfugga di mano fino a creare un quadro di insostenibilità per le bollette elettriche a carico dei consumatori, siano essi famiglie o imprese. L’Autorità sembra voler proporre una trasformazione di questo “incentivo implicito”, cioè l’esenzione tariffaria, in incentivi espliciti che permetterebbero di definire un sostegno calibrato alla specifica esigenza e situazione. Quello implicito, ha spiegato Galliani, è ovviamente un incentivo più difficile da controllare e da verificare.

In sintonia con la posizione del rappresentante dell’Autorità è Luciano Barra, responsabile della segreteria tecnica del dipartimento Energia del Ministero dello Sviluppo Economico. Barra ha voluto evidenziare come gli utenti elettrici italiani paghino in media per ogni kWh circa 4,2 centesimi di euro per oneri imputabili alle rinnovabili (è la componente A3, dove però ci sono anche le fonti assimilate), di cui il 60% è costituito dal fotovoltaico. Questi 4,2 centesimi vanno confrontati con un PUN medio che si attesta su 6,5-6,7 centesimi. Ciò significa, spiega Barra, che paghiamo per oneri da attribuire alle rinnovabili (e assimilate, ndr) una quota che è di circa il 70% sul prezzo unico nazionale dell’energia elettrica, da cui si deduce che l’incentivazione del solo fotovoltaico incide per circa il 50% del PUN.

C’è poi però una ‘apertura di credito’ al fotovoltaico italiano, anche se condizionata. “Una volta che la tecnologia sarà diventata una fonte veramente conveniente dal punto di vista economico e sarà possibile la sua completa integrazione nella rete elettrica, allora potrà rappresentare una importantissima fonte nazionale, alla stregua dell’idroelettrico dei decenni passati”, ha detto. Barra ritiene che proprio per questo motivo il fotovoltaico vada favorito nel suo sviluppo, ma con un maggiore equilibrio nei costi e una crescita più ordinata e sana, aggiungendo che per capire come si evolverà la situazione e come si dovrà procedere bisognerà attendere ancora qualche settimana o mese.

Valerio Natalizia, presidente del GIFI, ha replicato con toni non proprio morbidi, e riprendendo le parole di Barra, si è detto per niente d’accordo sul fatto che si debba attendere una maggiore penetrazione del fotovoltaico solo “quando avrà la possibilità di raggiungere determinati prezzi o quando la rete sarà in grado di accogliere nuova potenza e produzione”. Per il presidente dell’associazione queste sono scelte strategiche di natura prettamente politica. “E’ una questione di volontà politica se favorire o meno gli investimenti nel settore, così come accade in altri paesi”, ha sottolineato. “Certo – ha aggiunto – nessuno vuole tornare ad un mercato che cresce in maniera anomala, un mercato da 9 GW all’anno, ma bisogna trovare rapidamente delle soluzioni, visto che siamo alla vigilia della fine degli incentivi del conto energia. Altrimenti poco ci sarà al di fuori dello scambio sul posto e delle incerte detrazioni fiscali”.

Per Natalizia e per altri relatori presenti al convegno, la posizione della Autorità sugli oneri di sistema è in parte anche condivisibile, ma in molti la vorrebbero vedere contemperata da quei benefici economici che il fotovoltaico ha apportato sui costi del sistema elettrico e che questi possano incidere sulla diminuzione delle bollette, cosa che finora non è avvenuta.

In questo contesto, Alessandro Marangoni di Althesys, nel corso del convegno, ha spiegato cos’è l’effetto peak shaving da attribuire al fotovoltaico. Nel 2012 ad esempio il fotovoltaico ha spostato i valori delle medie orarie dei prezzi e ormai oggi il picco di prezzo non coincide più con la massima domanda di energia elettrica. La stima di Marangoni è che, accanto ai minori prezzi dell’elettricità nelle ‘ore solari’, valutabili in 1.420 milioni di euro, si possono considerare anche i maggiori prezzi nelle ‘ore non solari’. Questi sono stimati in 586 milioni di euro. Ma anche facendo questo saldo, si desume che l’effetto economico netto del peak shaving fotovoltaico si attesterebbe sugli 838 milioni di euro. Un valore di non di poco conto.

Natalizia, a nome del settore, ha chiesto scelte politiche molto decise da parte del nuovo governo, perché il settore vive ormai una profonda crisi e molte aziende rischiano di scomparire. Tra le priorità indicate c’è quella di puntare subito su un “processo di semplificazione estremo”, perché questo non comporterebbe costi per la collettività e permetterebbe di abbattere inutili balzelli legati ai processi autorizzativi e alla connessione alla rete.

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