Il biometano fa bene all’Italia

I decreti attuativi per il biometano sono in grave ritardo. In un sistema energetico low carbon è indispensabile immagazzinare l’energia solare in forma chimica. Come un’azienda agricola italiana può diventare più competitiva. Oggi la filiera italiana è pronta e aspetta solo un rapido segnale. Un articolo di Stefano Bozzetto pubblicato sull'ultimo numero della rivista QualEnergia.

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Il Consorzio Italiano Biogas si è fatto promotore della costituzione di un gruppo di lavoro che riunisce un nutrito gruppo di associazioni e imprese convinte che il biometano sia un’opportunità per l’Italia. Il biometano è il metano che deriva da fonti rinnovabili. Oggi si produce a partire dalla digestione anaerobica di matrici organiche. Un domani anche dalla gassificazione delle biomasse solide ovvero dalla metanazione dell’idrogeno prodotto a partire dal vento e dal sole. Attraverso la rete del gas o via camion il biometano può essere trasportato lontano dai luoghi di produzione e utilizzato dove e quando è più conveniente: in impianti cogenerativi anche di piccola potenza, nell’autotrazione con veicoli a gas metano, in tutti i contesti in cui l’impiego del gas metano è auspicabile.

I Paesi che hanno un piano di decarbonizzazione del loro sistema energetico di medio periodo (Germania e Danimarca, per esempio) hanno immaginato nel biometano, e più nello specifico nel greening della rete del gas, strumenti indispensabili per raggiungere una maggiore indipendenza dai combustibili fossili nella produzione di energia elettrica, termica e nell’autotrazione. Infatti il biometano in quanto fonte a base carbonica è un’energia programmabile e conservabile, sia sottoforma di combustibile che, una volta immesso nella rete, stoccabile per settimane nei depositi geologici, una “batteria” già disponibile a buon mercato (6-8 TWh in Italia). Il biometano è quindi una delle opzioni tecnologiche per la conservazione dell’energia utile a favorire una maggiore penetrazione delle fonti rinnovabili intermittenti (sole e vento) contenendo gli oneri di adeguamento delle reti elettriche.

Oggi per ottenere il biometano occorre produrre il biogas mediante l’utilizzo di qualsiasi matrice organica fermentescibile: rifiuti organici, sottoprodotti delle agroindustrie, sottoprodotti agricoli, effluenti zootecnici, colture vegetali. Il gruppo di lavoro ha stimato un potenziale in Italia di oltre 8 miliardi di metri cubi all’anno, equivalente alla produzione italiana di gas naturale, ovvero alla capacità produttiva del rigassificatore di Rovigo. Ma proprio in quanto fonte a base carbonica, l’utilità della bioenergia, la sua accettabilità sociale è a volte messa in dubbio, contestata. C’è la convinzione in alcuni che non vi sia terra agricola a sufficienza per produrre cibo, foraggi ed energia nel contempo. C’è chi sostiene finanche che l’utilizzo dei prodotti agricoli a fini energetici sia eticamente sconveniente, immorale. La discussione sul tema della sostenibilità ambientale e sociale della bioenergia diventa quindi dirimente e spesso i toni apodittici finiscono con il prevalere.

Alimenti vs Biogas

In un contesto di crisi generalizzata delle produzioni agricole, il tema della competizione tra Food ed Energy è – a ben vedere – un argomento paradossale. Da sempre l’uomo ha utilizzato il terreno agricolo e forestale per produrre cibo ed energia. Per contro, ogni anno ingenti superfici di terreno agricolo vengono abbandonate anche per ragioni economiche e la produttività è lungi dall’essere uniforme nel mondo, con ampi margini di miglioramento sia in termini di rese che nella conservazione della fertilità dei suoli e nell’utilizzo delle risorse idriche. E se è auspicabile che un sistema energetico decarbonizzato ricorra in futuro in modo prevalente agli elettroni prodotti da sole e vento, è molto probabile che in quel contesto ci sarà bisogno anche di energia da biomasse; in altri termini per alcuni utilizzi l’immagazzinamento dell’energia solare in forma chimica sarà ancora indispensabile e conveniente.

E il biogas offre un’opportunità unica a riguardo rispetto alle altre filiere bioenergetiche. In quanto fonte a base carbonica, l’energia da biogas deve ricorrere a un combustibile e in prospettiva è probabilmente una fonte energetica più costosa dell’energia solare e di quella eolica, ma nel contempo proprio a ragione di ciò è in grado di interagire con il pool di carbonio in modo attivo, sia in ambito agricolo che in quello industriale. È possibile cioè realizzare già oggi filiere a biogas che sequestrano più carbonio di quanto non ne emettano: appunto delle filiere “carbon negative”.

In proposito le opportunità tecnologiche con il biometano sono innumerevoli: riduzione delle emissioni degli effluenti zootecnici, utilizzo dei fertilizzanti organici provenienti dalla digestione anaerobica in luogo dei concimi chimici, utilizzo di colture di copertura invernali per ridurre le emissioni di protossido di azoto e la lisciviazione dell’azoto nei corpi idrici, utilizzo del biometano in cogenerazione, valorizzazione industriale della CO2 ottenuta dall’upgrading del biogas a biometano, ecc. Per dare un ordine di grandezza del potenziale bastano alcune cifre: una filiera a biogas utilizza nel suo ciclo di vita biomasse aventi un contenuto in carbonio pari a circa 2-3 volte il carbonio contenuto nel metano prodotto. Quello immagazzinato nel suolo vale circa il 20-25%, il carbonio presente nella CO2 del biogas il 35-40%. Il carbonio della CO2 separato gratuitamente in fase di upgrading può essere destinato a utilizzi industriali ovvero divenire la base carbonica per la metanazione dell’idrogeno proveniente da sole e vento per produrre metano, metanolo o altri prodotti chimici rinnovabili. Recentemente l’agenzia dell’Energia tedesca (Dena) ne ha riconosciuto il potenziale e ha promosso la nascita di una piattaforma tecnologica (powertogas) cui hanno aderito importanti società tedesche tra cui AUDI.

Biogas efficiente

Il biogas rispetto alle altre filiere ha poi un altro grande pregio: è realizzabile con sistemi energeticamente efficienti anche a piccola scala, con impianti di qualche MW termico, mentre un impianto per produrre etanolo anche di seconda generazione necessita di grandi dimensioni, da 100 MW e oltre. Il biogas è quindi una tecnologia adattabile a diversi contesti agroecologici, senza richiedere il trasporto di biomasse su lunghe distanze ovvero la diffusione di monocolture in ambito locale come nel caso del biodiesel e dell’etanolo. La sua adattabilità deriva dalla grande versatilità nella tipologia di biomasse utilizzabili: non solo quelle facilmente fermentescibili come i prodotti amidacei o le oleaginose, ma anche piante intere di primo e secondo raccolto, effluenti zootecnici, sottoprodotti agricoli e agroindustriali, miscelati tra loro in codigestione. Ciò rende la filiera a biogas per definizione una filiera corta, applicabile anche a scala di impresa agricola, in grado di produrre più energia per ettaro di ogni altra filiera da biomassa: fino a otto volte l’energia prodotta da un ettaro di colza destinabile alla produzione del biodiesel, oltre tre volte quella prodotta dai biocarburanti di seconda generazione.

La ragione di questa efficienza nell’uso del suolo risiede nel largo ricorso alle biomasse di integrazione in codigestione con colture di primo raccolto. Per questo tramite sarà possibile in Italia raggiungere l’obbiettivo di 8 mrd di mc /annui di biometano con un utilizzo contenuto di terreni agricoli pari a circa 400.000 ha, una superficie analoga a quella non più destinata alla coltivazione della barbabietola da zucchero e al riposo biologico.

Pertanto il “biogas fatto bene” lungi dal rappresentare una minaccia è una grande opportunità per l’agricoltura italiana e non solo. Il ripristino del riciclo dei nutrienti in ambito aziendale con la contestuale eliminazione della fertilizzazione con concimi chimici di sintesi, un’intensificazione ecologica delle produzioni (secondi raccolti, colture perennanti, recupero dei terreni marginali principalmente al Sud d’Italia) sono alcune delle opportunità utili a incrementare la competitività delle aziende agricole. Attorno all’impianto a biogas si può riorganizzare e sviluppare non tanto un’attività agrienergetica a se stante, quanto l’insieme dei flussi energetici e dei nutrienti dell’azienda agricola (ovvero di un insieme di aziende agricole) al fine di ridurre il fabbisogno di nutrienti e di energia di origine fossile extra aziendali. In altri termini l’impianto a biogas è uno degli strumenti per realizzare un’azienda agricola italiana più competitiva nei mercati alimentare ed energetico, nel contempo migliorando la sostenibilità delle pratiche agricole.

Filiera pronta

La produzione di biometano e il greening della rete del gas sono una grande opportunità anche per il settore industriale italiano. Molteplici le industrie coinvolte: le sementiere, quelle delle macchine agricole, della componentistica del gas, della cogenerazione, delle autovetture a gas. In molti di questi settori la manifattura italiana è leader nel mondo, come nel caso dell’autotrazione in cui il mercato dei veicoli a gas naturale italiano è il maggiore in Europa, il 4°/5° nel mondo. Il biometano è pertanto una grande opportunità per l’Italia: ma la filiera per avviarsi ha bisogno urgente di segnali del Legislatore, poche regole chiare e necessariamente progressive.

Il biometano italiano deve essere accompagnato a una maggiore competitività partendo innanzitutto da condizioni di accesso alla rete che prevedano norme almeno analoghe a quelle dei competitor d’oltralpe. Infatti il biometano prodotto in Germania può giungere in Italia con costi di trasporto contenuti tramite la rete del gas, ponendo il biometano italiano immediatamente nelle condizioni di dover competere con gli altri produttori europei. La filiera poi deve essere incentivata a migliorare la sua efficienza nell’utilizzo del suolo agricolo e nella riduzione delle emissioni di gas serra. In entrambi i casi ciò concorrerà a ridurre i costi di produzione e ad accelerare il raggiungimento della grid parity.

Le proposte sinora formulate dal Legislatore per gli incentivi alla produzione elettrica da biogas non sono convincenti: una suddivisione tra sottoprodotti e prodotti è inadeguata concettualmente e non può contribuire a una significativa riduzione dei costi di produzione, poiché i sottoprodotti non sono nella disponibilità delle aziende agricole e pertanto è molto probabile che il loro costo (oggi a volte negativo) tenderà a equipararsi a quello del prodotto agricolo di riferimento, con una conseguente lievitazione artificiale dei prezzi delle biomasse e del costo del biogas. A riguardo sarebbe più efficace l’applicazione di una premialità (double counting) – peraltro già prevista dalla Direttiva 2098/28 – che favorisca un crescente ricorso a tutte le biomasse di integrazione in codigestione con colture di primo raccolto.

Analogamente la sostenibilità ambientale della filiera va favorita e in particolare promossa l’efficienza nella riduzione delle emissioni di gas serra anche oltre i limiti previsti dalla Direttiva 2098/28 per i biocarburanti di prima e seconda generazione. La riduzione progressiva delle tariffe (e l’introduzione di opportune premialità) potranno indurre le imprese per esempio a una maggiore efficienza nell’utilizzo del digestato in luogo dei fertilizzanti chimici, con benefici effetti sui costi di produzione delle biomasse, ovvero a sviluppare tecnologie di recupero e valorizzazione della CO2 del biogas anche al fine di ridurre i costi di upgrading a biometano. Il potenziale è consistente: nell’ambito della valorizzazione dell’idrogeno da fonti rinnovabili, recenti sperimentazioni attestano che esistono possibilità di raddoppio della produzione di biometano a parità di biomasse utilizzate, con conseguente riduzione dei costi di produzione del biogas e di upgrading a biometano.

Alcune di queste innovazioni tecnologiche sono peraltro già applicate anche in assenza di vincoli burocratici; gli imprenditori agricoli utilizzano il digestato in modo ottimale, incrementano l’utilizzo di effluenti zootecnici, migliorano le rotazioni, aumentano il ricorso a paglie e stocchi in quanto ciò permette loro di ridurre i costi di produzione anche negli impianti che utilizzano la tariffa omnicomprensiva. Ciò attesta il fatto che il settore, più che di regole di difficile e costosa applicazione, ha bisogno di obbiettivi chiari, sostegni tariffari decrescenti per i nuovi entranti, e di un forte contributo pubblico all’innovazione tecnologica, magari potendo utilizzare parte dei fondi previsti dal DLGS 28/11 di cui ancora oggi poco si conosce.

Biometano per il PIL

È questa la strada per il raggiungimento della grid parity del biometano italiano, conseguibile in alcuni ambiti in modo più rapido di quanto si possa immaginare; probabilmente prima del 2020 soprattutto nell’autotrazione (biocarburanti) e nella cogenerazione distribuita su piccola scala. È questa la strada per il biometano che fa bene all’Italia: una filiera a elevato potenziale di lavoro italiano, che può contribuire alla crescita del 5% del PIL dell’agricoltura e nel contempo consolidare una nuova leadership dell’industria italiana nella componentistica del gas.

Possiamo farcela, ma occorre fare in fretta. Prima che al Brennero e al Tarvisio oltre al latte, alla carne, ai tanti prodotti agricoli ed energetici che il nostro Paese importa giornalmente, incominci ad arrivare anche il biometano prodotto con i rifiuti e i prodotti agricoli di altri Paesi più rapidi a credere nelle opportunità di sviluppo della green economy e del biometano in particolare. Sarebbe una beffa che un Paese che vuole rincominciare a crescere non si può permettere.

L’articolo è stato pubblicato sul n.4/2012 della rivista bimestrale QualEnergia

 

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