Il potenziale della geotermia secondo la Iea

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Al 2050 la geotermia potrebbe crescere di un fattore 10, arrivando a fornire il 3,5% della produzione elettrica mondiale e il 4% del calore. Lo prevede un rapporto dell'International Energy Agency. Ma perché ciò avvenga c'è ancora molta strada da fare: prima di tutto serve un evoluzione nella nuova tecnologia EGS e c'è da valutare anche il rischio sismico.

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E’ una fonte rinnovabile ideale per fornire il carico elettrico di base, quello che in molti paesi è fornito dal nucleare, con il quale molti stanno decidendo di chiudere. La geotermia al momento ha un ruolo piuttosto marginale nel mix elettrico mondiale: 0,3%, ma il suo contributo nei prossimi decenni potrebbe divenire più significativo. A prevederlo l’ultima technology roadmap pubblicata dalla International Energy Agency e dedicata proprio a questa fonte (vedi allegato).


Dai circa 10 GW attuali, che danno circa 67,2 TWh l’anno (dato di fine 2009) si potrebbe arrivare –  si legge nel report – a oltre 200 GW al 2050: fornirebbero circa 1.400 TWh l’anno, cioè circa il 3,5% della produzione elettrica mondiale, evitando 800 Mt (miliardi di tonnellate) di CO2 all’anno. A questo si aggiunga il contributo in termini di calore: al 2050 si potrebbero avere 5,8 Ej (esajoules), pari a 1600 TWh di energia termica, ossia quasi il 4% del fabbisogno mondiale di calore (senza conteggiare la geotermia a bassa entalpia).



Tutto si giocherà nei prossimi decenni. Fino al 2030 l’espansione  della geotermia sarà dominata da due tecnologie. Le centrali convenzionali che funzionano con acqua ad alta temperatura (> 180 °C) sono economicamente più attraenti. Con costi dai 50 agli 80 $/MWh sono competitive ma realizzabili in poche aree. Le centrali geotermiche a bassa temperatura (acqua > 70 °C) hanno un costo del megawattora più alto (dai 60 ai 110 $/MWh a seconda della temperatura dell’acqua e di altre variabili), ma si possono fare in un maggior numero di posti.


A poter dare la spinta decisiva alla geotermia, si legge però nel report, sarà una tecnologia attualmente operativa solo in qualche progetto pilota e che entrerà in campo a livello commerciale solo dopo il 2030. Si tratta delle centrali EGS, che sta per enhanced geothermal system. Questi impianti, a differenza delle altre due tipologie, non hanno bisogno che vi sia acqua, ma possono sfruttare anche solamente le rocce calde. La stragrande maggioranza delle risorse geotermiche a portata di trivellazione (fino a 5 km di profondità) è infatti in formazioni rocciose a porosità e permeabilità bassa, che gli impianti EGS, a differenza degli altri, permetterebbero di sfruttare (vedi immagine delle risorse geotermiche).



Ovviamente il cammino che porterà la geotermia ad esprimere il suo potenziale è ancora tutto da percorrere. Diversi gli aspetti da affrontare. Prima di tutto occorre più ricerca, sia per quel che riguarda la localizzazione delle risorse sia per il loro sfruttamento. Molte le frontiere: dall’abbattimento dei costi, all’accesso a risorse finora off-limits come quelle in mare o in condizioni critiche (ad es. il maga). Poi ci sono alcuni problemi di impatto ambientale: in particolare alcuni impianti pilota con tecnologia EGS avrebbero indotto fenomeni sismici, creando comprensibile preoccupazione: e se questo aspetto non si chiarisce e si risolve, la tecnologia si potrebbe rivelare insostenibile (si veda questo studio dell’Università di Bologna, pdf). Per sfruttare appieno la risorsa poi, come per le altre rinnovabili, serve il sostegno del settore pubblico: finanziamenti alla ricerca, incentivi adeguati, ma anche procedure burocratiche più semplici e accesso al credito.

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