Crisi nucleare e conseguenze sui mercati energetici

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L’assetto dei mercati energetici internazionali è pesantemente condizionato dalla catastrofe nucleare di Fukushima. Le fonti fossili potrebbero nel breve beneficiare del deficit causato dalla probabile dismissione dei programmi nucleari. Ma nel mix energetico futuro entreranno massicciamente le rinnovabili.

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Il terremoto/tsunami e la conseguente catastrofe nucleare che hanno colpito violentemente il Giappone stanno avendo, e si prevede avranno ancora di più in futuro, pesanti ripercussioni sull’assetto dei mercati energetici internazionali. La sciagura si è abbattuta sulla terza economia e sulla quinta nazione al mondo per consumi energetici, minando alla radice un complesso di produzione e consumi alimentato da capacità di generazione elettrica e di raffinazione petrolifera pari rispettivamente a circa 160 GW, di cui il 30% da nucleare, e 4,62 milioni di barili/giorno. La stima dei danni alle infrastrutture dei trasporti e dei servizi, all’industria e al patrimonio immobiliare pubblico e privato, che potrebbe superare 300 miliardi di $ (6% del PNL), delinea la più grave sciagura naturale mai verificatasi al mondo.


Il settore energetico è stato pesantemente danneggiato nelle infrastrutture. Con 4 reattori della centrale nucleare di Fukushima-Daiichi ancora non in sicurezza secondo gli standard IAEA (IAEA Briefing on Fukushima Nuclear Accident), è prematuro calcolare gli effetti sull’ambiente della sciagura, che in ogni caso saranno di immane portata. Se ne possono però valutare le conseguenze sul sistema elettrico. Le unità di Fukushima più danneggiate, 4 su 6 che costituivano la dotazione dell’impianto, sono state poste in shutdown permanente e il deficit di potenza installata di 2.719 GW ha assunto valore strutturale. Questo deficit è però soltanto una parte di quello registrato nel periodo immediatamente successivo all’evento catastrofico, visto che va aggiunta la mancata produzione delle altre due unità di Fukushima e di altri impianti nucleari preventivamente arrestati per verifiche e controlli, che saranno peraltro ispezionati nei prossimi giorni da una commissione tecnica IAEA. Si tratta in definitiva di una quota superiore al 10% della potenza complessiva nucleare giapponese che era di circa 50 GW.


Dopo una prima risposta di razionamento dell’energia elettrica per evitare black-out sulla rete, la strategia delle autorità giapponesi e delle power companies è stata di supplire alla carenza di energia prodotta con l’incremento dell’utilizzazione di impianti alimentati da fonti fossili. Malgrado il sisma e lo tsunami abbiano gravemente compromesso anche la capacità di raffinazione e di trasporto di idrocarburi del Paese (6 raffinerie fuori uso, deficit di raffinazione pari a 1,4 milioni b/g nel breve e 550.000 b/g nel medio periodo, un terminale di rigassificazione inabilitato), è stato pianificato di sostenere la produzione da centrali a fonti fossili aumentando su scala nazionale i tassi di impiego degli impianti della filiera del petrolio non danneggiati.


Ma quali scenari si aprono per il medio periodo? Compensare il deficit di energia elettrica da nucleare con le sole fonti fossili equivarrebbe per il Giappone a una domanda aggiuntiva di 200.000 boe/g (O&GJ). Un volume di tutto rispetto che muove l’interesse del settore delle fonti fossili a vantaggio del gas, meglio adattabile alle condizioni post-sisma dell’industria e dei trasporti nipponici. In proposito si valuta che supplire al 50% della generazione nucleare perduta con LNG comporterebbe un incremento del 13% delle importazioni di gas liquefatto, parte del quale potrebbe arrivare nei prossimi 3 anni dall’Europa, in particolare dalla Germania capace di coprire il gap di forniture in gas utilizzando inizialmente carbone (O&GJ). E’ necessario però sottolineare che tali scenari non considerano il potenziale di crescita locale delle fonti rinnovabili, che è molto elevato. Nelle ultime settimane, più volte in ambito istituzionale giapponese, si è fatto riferimento all’opportunità di cogliere la tragica occasione del terremoto per rivoluzionare la politica energetica nazionale sviluppando industria ed economia low carbon (Post-Earthquake Climate Policy in Japan). E’ noto dalla letteratura scientifica che l’insieme di alcune fonti rinnovabili (geotermico, eolico, fotovoltaico) potrebbe fornire al Giappone nel 2030 circa 150 GW, ossia quasi tutta la potenza elettrica attuale installata (Assessment of Moderate- and High-Temperature Geothermal Resources, Global potential for wind-generated electricity).


Dopo Fukushima il mix energetico futuro delle principali economie rimane incerto. La Germania ha confermato di voler uscire dal nucleare. Cina e India, invece, che inizialmente avevano dichiarato lo stesso intento alimentando l’ipotesi di un rinascimento del carbone (in particolare in Cina), sembrano disposti a rivedere i propositi di dismissione dei programmi nucleari. Quanto basta per bloccare la caduta verticale del prezzo dell’uranio (Uranium to Recover as China’s Nuclear Plans Offset Fukushima). Per altro verso continuano massicci in Cina gli investimenti nelle tecnologie delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, che nel 2010 hanno superato i 50 miliardi di dollari facendo del colosso asiatico il primo Paese al mondo nella classifica di merito davanti a Germania, USA e Italia (Who’s winning the clean energy race?).

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