L’industria nucleare Usa ostenta sicurezza

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L'industria nucleare americana affronta la sfida della fiducia sull'atomo. L'obiettivo è convincere i cittadini preoccupati che quanto è successo in Giappone non potrà avvenire negli States. Intanto si riaccende il dibattito sullo stoccaggio delle scorie e sul deposito di Yucca Mountain.

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Le località vicine alle centrali nucleari americane sono in subbuglio. L’emergenza giapponese ha creato allarme tra i cittadini statunitensi che cominciano a sollevare dubbi sulla sicurezza e a chiedere controlli (mappa radiazioni Stati Uniti). Le istituzioni e l’industria nucleare, pressate da una crescente domanda di trasparenza, sono davanti a una sfida: quella della fiducia.


In realtà le misure di sicurezza degli impianti americani dovrebbero essere piuttosto sofisticate, dal momento che, dopo l’11 settembre, sono state fortemente perfezionate per prevenire catastrofiche conseguenze di eventuali attacchi terroristici. Ciò nonostante oggi i gestori delle centrali nucleari, abituati a una tradizione di criptica chiusura, si trovano costretti a elaborare iniziative di comunicazione e informazione al pubblico. Tutto nel tentativo di convincere una popolazione allarmata del fatto che gli impianti sono sicuri e che quello che è successo in Giappone non potrebbe avvenire negli Usa.


La Tennessee Valley Authority ha aperto alla stampa le porte della centrale Brown Ferry, per presentare il caso americano più simile alla centrale giapponese per tipologia, fattura e periodo di costruzione. E per sottolinearne le differenze. La Brown Ferry è entrata in funzione negli anni ‘70 e i suoi tre reattori sono stati in passato al centro di diversi incidenti. Gli edifici di contenimento che circondano i tre reattori di questa centrale sono dello stesso modello di quelli di Fukushima, ma la Tennesse Valley Authority sostiene che ci siano alcuni dettagli che possono fare la differenza e che questo impianto sia meglio preparato agli imprevisti di quanto non lo fosse il suo equivalente giapponese.


Negli ambienti che ospitano il reattore si trova un meccanismo, alimentato a batteria, che misura il livello dell’acqua all’interno del reattore stesso. Già poche ore dopo l’impatto dello tsunami, i giapponesi non erano più in grado di misurare il livello dell’acqua, probabilmente a causa di una perdita di elettricità. Un secondo ingranaggio, alimentato anche questo da una batteria, serve ad attivare delle valvole di sicurezza che, nel caso di Fukushima, hanno quasi immediatamente smesso di funzionare. “Questi meccanismi sono il sistema di riserva del sistema di riserva ed è ciò che riteniamo che i giapponesi non avessero” ha detto Keith J. Polson, vice presidente della Tennessee Valley Authority per la Brown Ferry.


Altri dettagli che secondo la Tennesse Valley Authority potrebbero essere stati cruciali nella centrale di Fukushima, sono una luce stroboscopica e una valvola munita di una manovella. Grazie alla luce gli operatori giapponesi avrebbero potuto tenere sotto controllo la pompa che gettava acqua fredda per abbassare la temperatura del reattore e con la valvola a manovella avrebbero potuto aggiustarne la velocità, evitando che la pompa esaurisse in poco tempo la carica delle sue batterie. Nonostante l’ostentata sicurezza, però, la Tennesse Valley Authorithy ha garantito che eseguirà tutti i test e le simulazioni possibili per assicurarsi che sia stata presa in considerazione “ogni possibilità umanamente immaginabile”.  


Di certo nei prossimi tempi l’industria nucleare americana dovrà sapere elaborare nuove strategie di sviluppo. Per questo in California, i legislatori, sia a livello federale che statale, stanno facendo pressioni sui due impianti operanti, entrambi situati in zone sismiche vicine alla costa pacifica, come quello di Fukushima. Le due centrali californiane, una a nord di San Diego e l’altra vicino San Luis Obispo (nel Diablo Canyon, vedi foto in alto), in funzione dagli anni ’80, dovrebbero a breve rinnovare i propri permessi. Ma il 21 marzo scorso i legislatori hanno chiesto una mappatura sismica dettagliata prima di avviare le procedure per richiedere l’estensione dell’autorizzazione dei due impianti statali. I legislatori hanno inoltre evidenziato che il terremoto giapponese è stato di un’intensità di parecchie volte superiore a quella prevista nell’elaborazione delle misure di sicurezza della centrale di Fukushima, ricordando allo stesso tempo che recenti studi geologici indicano che il rischio sismico per entrambe le centrali californiane è molto più alto di quello previsto dai progettisti. Preoccupazioni che, secondo i legislatori, si scontrano con un eccesso di sicurezza da parte degli ingegneri che operano nei due impianti.


In questo scenario l’appello di Barak Obama allo sviluppo nucleare sta facendo perdere consensi ed eventuali insistenze del presidente sul tema potrebbero portare ad una vera e propria fuga di elettori. Tra i cittadini cresce la preoccupazione e aumentano le richieste di moratorie e controlli accurati. “La gente sta iniziando a pensare a cosa il rischio nucleare potrebbe significare per loro – dice Anna Aurilia dell’associazione anti nuclearista, Environment America – dal momento che 108 milioni di americani vivono nel raggio di 50 miglia da un reattore nucleare”. Sull’onda di questa crescente preoccupazione, la scorsa settimana, su richiesta dello stesso Obama, la Nuclear Regulatory Commission ha lanciato un programma per la revisione della sicurezza dei 104 reattori nazionali.


Intanto si sta aprendo un dibattito infuocato sul fronte delle scorie. Al centro c’era il progetto per la creazione di un mega sito nazionale di stoccaggio a lungo termine per le scorie nucleari sulla Yucca Mountain, Nevada. Obama, contrario al progetto, aveva dichiarato all’inizio della sua presidenza che la sua amministrazione non considerava fattibile la realizzazione del sito, nonostante il precedente governo avesse scommesso quasi 10 miliardi di dollari su questo pezzo di terra, 150 chilometri a nord-ovest di Las Vegas. Ma ora i fatti giapponesi rimettono tutto in discussione. All’interno del Congresso non sono in pochi, sia tra i Repubblicani che tra i Democratici, a voler tenere in vita il progetto. Proprio in conseguenza degli incidenti di Fukushima, molte voci sostengono la necessità di un sito di stoccaggio a lungo termine. Il Giappone, infatti, ha dimostrato che stoccare le scorie in vasche nei pressi delle centrali nucleari stesse, presenta grossi problemi di sicurezza. Se il Congresso dovesse forzare la mano, il progetto Yucca Mountain potrebbe ripartire, ha detto il ministro dell’energia Steven Chu, specificando però che l’amministrazione preferirebbe muoversi su altre opzioni. Alternative che tuttavia al momento sembrano lontane da eventuali concreti sviluppi.


In ogni caso, se anche il governo dovesse finanziare il progetto Yucca Mountain, ci vorrebbero almeno dieci anni per realizzare il sito e probabilmente una trentina per trasportare tutte le scorie americane in Nevada. Con le conseguenti difficoltà e gli enormi rischi che il trasporto di materiale nucleare comporterebbe.

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