Il carbone sloveno e la schizofrenia dell’Europa

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Le principali banche istituzionali dell'Ue, EIB ed ERDB, finanziano una nuova centrale a carbone da 600 MW a Sostanj, in Slovenia. Condannerà il paese ad emettere troppo e ben oltre il 2050, il tutto in palese contraddizione con gli obiettivi comunitari sulla CO2.

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Con una mano traccia gli obiettivi di riduzione delle emissioni, con l’altra finanzia centrali a carbone che renderanno quasi impossibile raggiungerli. È un’ Europa schizofrenica quella che emerge dalla vicenda della centrale slovena di Sostanj, un impianto a lignite da 600 MW che se verrà realizzato incatenerà la Slovenia ad un futuro ad alta intensità di CO2. Le due grandi banche istituzionali europee, la European Investment Bank (EIB) e European Bank for Reconstruction and Development (ERBD), hanno infatti dato il loro benestare al progetto e hanno stanziato un totale di 750 milioni di euro per realizzarlo.


Solo venerdì, a Bruxelles, i leader europei riuniti per il summit sull’energia tra le altre cose hanno riconfermato l’obiettivo a lungo termine sulle emissioni necessario a contenere il riscaldamento globale entro i 2°C: tagliare la CO2 dell’80-95% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050. Arrivarci, si legge nella dichiarazione sottoscritta (vedi allegato), “richiederà una rivoluzione dei sistemi energetici che deve iniziare ora“. Quale sia la rivoluzione energetica necessaria per raggiungere l’obiettivo 2050 su queste pagine lo abbiamo visto esaminando diversi scenari l’ultimo quello elaborato dall’Oko Institut per conto dei Verdi europei (Qualenergia.it, Un’altra strada per le rinnovabili europee). Uno scenario che vede al 2050 le rinnovabili soddisfare il 94% del mix elettrico e in cui assolutamente il carbone non trova spazio, anzi viene progressivamente abbandonato.


La centrale, di proprietà pubblica, che si realizzerà a Sostanj, in Slovenia, e che costerà 1,2 miliardi di euro, dunque non è in linea con il cambiamento necessario. Anche se va a sostituire impianti meno efficienti e, dunque, comporta una riduzione relativa delle emissioni (una diminuzione delle emissioni per chilowattora del 28% secondo la EIB), costruire questa centrale da 600 MW significa legare al carbone il sistema energetico di uno Stato membro per diversi decenni e ben oltre il 2050. Per funzionare inoltre l’impianto assorbirà l’intera quota di permessi ad emettere della Slovenia nell’ambito dell’emission trading scheme europeo (EU-ETS). Infine c’è il problema della connettività: c’è una carenza di reti elettriche nella regione e puntare sulla grande centrale a carbone vorrà dire penalizzare investimenti in altre fonti come le rinnovabili.


Dubbi che però non hanno fatto desistere (seppur dopo accesi dibattiti interni) le due banche istituzionali europee, EIB e ERBD, dal concedere i prestiti a tassi agevolati per il progetto: 550 milioni la prima e 200 la seconda. Fondi messi a disposizione senza peraltro attendere che il Parlamento sloveno si pronunci sul controverso futuro dell’impianto, cosa che dovrebbe fare entro fine mese. Una fretta sospetta secondo l’ong CEE Bankwatch che sottolinea: “chiaramente il progetto è in contrasto con gli obiettivi europei e senza i prestiti agevolati (concessi dalle banche istituzionali europee) probabilmente non andrebbe avanti.” Il timore è che il semaforo verde per Sostanj apra la porta ad altre operazioni analoghe in altri paesi dell’est (dove investe per mission la ERBD) come la Polo,nia.


Per l’ong sarebbe “una beffa agli obiettivi europei sulle emissioni”. Pilatesca la posizione della Commissione, ai microfoni dell’agenzia Euractiv: “ovviamente incoraggiamo gli Stati membri a muoversi verso le tecnologie più pulite”, dichiarano dall’ufficio del commissario Janez Potonik, “ma la questione (della centrale di Sostanj, ndr) non infrange nessuna regola e dunque è competenza degli Stati membri”. La stessa Commissione d’altra parte ha stabilito che il progetto di Sostanj non infrange la direttiva sulla valutazione dell’impatto ambientale strategico.
Direttive a parte, però, a noi sembra difficile negare che qualcosa non torni in quanto a valutazione strategica, se le stesse istituzioni che dovrebbero finanziare la transizione energetica puntano ancora sul carbone, e la Commissione parla di tagliare la CO2 del 80-95%.

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