Rinnovabili 2020, per l’obiettivo servono gli strumenti

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Obiettivi quantitativamente condivisibili che rischiano però di restare sulla carta se non si agisce su reti e procedure autorizzative. Le modifiche al sistema dei certificati verdi apportate dalla manovra del Governo renderebbero il piano di pura fantasia. Un'intervista a Marco Pigni di Aper sul Piano d'Azione Nazionale per le rinnovabili al 2020.

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Da due settimane il Piano nazionale sulle rinnovabili è stato pubblicato per la consultazione, in attesa di essere trasmesso a Bruxelles. Diverse le letture e i commenti al documento (vedi allegati), che stabilisce come il nostro paese dovrà raggiungere l’obiettivo assegnatoci dall’Europa del 17% di energia da fonti rinnovabili sui consumi finali. Nel nostro giro di opinioni non potevamo mancare di parlare con Aper, l’associazione dei produttori di energia rinnovabile. Oltre a pubblicare (vedi allegato) il documento nel quale Aper analizza punto per punto il Piano (sintesi e documento completo), Qualenergia.it ha intervistato il direttore dell’associazione, Marco Pigni.

Ingegner Pigni, qual è la valutazione di Aper del Piano d’azione nazionale sulle rinnovabili che sarà presentato a Bruxelles?
Sotto l’aspetto quantitativo i numeri sono abbastanza centrati. Non abbiamo aspettative significativamente diverse. Forse è un po’ sottostimato il potenziale di alcune fonti termiche, come il biogas. Anche quel che può fare il solare a concentrazione non è ben esplicitato, visto che è considerato senza distinguerlo dal fotovoltaico, mentre sarebbe il caso di guardare con più attenzione a questa tecnologia più efficiente rispetto al fotovoltaico e che con il nuovo conto energia godrà anche di una tariffa incentivante ad hoc. Sono comunque dettagli, mentre l’ordine di grandezza dei contributi delle varie fonti presentato nel Piano è abbastanza giusto.

Alcune associazioni di categoria hanno giudicato sottostimato il potenziale del fotovoltaico, 8 GW …
Certo, alcunI hanno contestato gli obiettivi stabiliti dal Piano parlando di potenziali molto più alti per il fotovoltaico. Assosolare ad esempio parla di 18mila MW. Bisogna però dire che un’analisi accurata dell’obiettivo potenziale tecnico va bilanciata con una valutazione della sostenibilità economica del sistema di incentivazione di accompagnamento. Per cui quel potenziale di 8mila MW è forse sottostimato e potrebbero essere al limite qualche di migliaio in più, ma è chiaro che bisogna individuare gli elementi di efficientamento del sistema di sostegno che ne permetta lo sviluppo.

Se Aper non mette in discussione la parte quantitativa del Piano il documento da voi diffuso contiene però molte critiche sugli strumenti utili a raggiungere gli obiettivi, o anche la mancanza degli stessi.

Il Piano è un punto di riferimento importante per la pianificazione delle rinnovabili nel paese e un punto di partenza di quella strategia energetica complessiva che il Governo dovrebbe rendere nota al più presto. Il problema è che è piuttosto carente nel dettaglio delle azioni concrete, degli strumenti per raggiungere questi obiettivi. Sia dal punto di vista legislativo sia sotto quello dei provvedimenti di sostegno. Gli obiettivi in questo modo rischiano di restare ideali e il piano può diventare inapplicabile.

Quali sono i vostri principali suggerimenti di azioni concrete affinché il piano non resti sulla carta?
Occorre concludere innanzitutto concludere il lavoro iniziato sulla regolamentazione delle rinnovabili. Realizzare la semplificazione delle procedure autorizzative per questi impianti, far emanare subito dalla Conferenza Stato-Regioni le linee guida nazionali per il procedimento unico autorizzativo, che si attendono da 7 anni. Bisogna dare certezze sui tempi e chiarire competenze e responsabilità dei vari enti coinvolti nel procedimento. Si vedano i conflitti emersi tra Sato e Regioni in materia.
Il secondo grande problema per lo sviluppo delle rinnovabili è poi quello delle reti: andrebbero individuati strumenti efficaci ed efficienti per autorizzare e realizzare rapidamente le strutture necessarie affinché la rete elettrica si sviluppi (specialmente nel Sud Italia) coerentemente con l’aumento di energia non programmabile immessa. Altro ostacolo da rimuovere sono le difficoltà di accesso al credito, che colpisce soprattutto le imprese delle rinnovabili di media taglia. Solo se saranno fatti questi passi, soprattutto quello dell’armonizzazione della normativa, al momento ‘isterica’ e incoerente, il Piano potrà essere realizzato.

Abbiamo detto quel che si dovrebbe fare. C’è anche qualche modifica che, al contrario, non dovrebbe essere fatta per rendere possibile lo sviluppo delle fonti pulite disegnato nel Piano? Penso ad esempio alle novità in materia di incentivi contenuti nella Finanziaria in discussione.
La manovra finanziaria attuale pone molti ‘se’ e ‘ma’ sulla credibilità del Piano d’azione nazionale. In particolare quell’articolo 45 che prevede l’abolizione del sistema di ritiro dei certificati verdi eccedenti rispetto alla domanda, che è il meccanismo che mantiene l’equilibrio senza il quale l’eccesso di offerta porterebbe ad un crollo dei prezzi dei certificati verdi. Se la modifica non rientrasse il calo del valore dei certificati verdi andrebbe ad incidere sui ricavi dei business plan degli investimenti possibili e in essere. Significherebbe scoraggiare ogni nuovo investimento e precludersi totalmente non solo di raggiungere ma anche solo di avvicinarsi agli obiettivi contenuti nel Piano d’azione. Quanto andremo a comunicare a Bruxelles con il Piano, dunque, rischia di venire contraddetto da queste altre misure, rendendoci passibili di rilievi, sanzioni, procedure di infrazione. Oltre ad esporci ad una figuraccia e a una ricaduta in termini di affidabilità e rating del sistema paese. Ci dimostreremmo in controtendenza con altri paesi che hanno scelto la green economy come leva per uscire dalla crisi e non come un lusso da tagliare.

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