Un clima complicato, se visto dagli Usa

Il global warming secondo le colombe e i falchi della politica e delle lobby Usa. Per tutti l'economia interna è la priorità, ma se per i democratici una legge sui cambiamenti climatici è necessaria, sebbene complessa, per i conservatori tutta la tematica su crisi energetica e ambientale non ha ragione d'essere. Un articolo di Sergio Ferraris da Washington.

ADV
image_pdfimage_print

Cosa c’è dietro al “tradimento” di Copenaghen che per noi europei, carichi di aspettative verso Obama è stato particolarmente pungente? Quali sono le resistenze degli Stati Uniti a imboccare con forza la via della riduzione delle emissioni? E quali sono le forze che spingono e quelle che frenano?
Difficile dirlo anche se alcuni segnali si possono cogliere dalle parole di Jonathan Black, membro dello staff democratico alla Commissione dell’Energia e del Senato Usa. «Applicare un meccanismo come quello del cap and trade negli Usa è complicato e stiamo studiando un sistema di meccanismi che coinvolga in maniera diversa nella riduzione delle emissioni ogni settore a partire da quello dei trasporti. – afferma Black – Oggi bisogna capire che la priorità è l’economia interna e per questo motivo non dico che sia impossibile fare una legge sui cambiamenti climatici, ma di sicuro è complicato».

Certo che se si osserva l’azione degli Usa con la prospettiva europea dove il target di riduzione dei gas serra è del 20%, questa sembra minimale. «Non stiamo discutendo degli obiettivi in questa fase. – prosegue Black – Ora stiamo costruendo le infrastrutture per la riduzione delle emissioni».
Da questo punto vista bisogna dire che una fetta importante degli stimoli anticrisi di Obama sono andati in tecnologie verdi, ma questa prudenza in realtà potrebbe celare difficoltà più grandi. E per trovare una conferma di ciò basta fare poche centinaia di metri dal Senato e arrivare nel nido delle aquile “conservatrici”, la potente Fondazione Heritage – che significa patrimonio, ma in gergo ecclesiastico anche popolo eletto – dove di cambiamenti climatici, riduzione dei gas serra e incentivi alle rinnovabili proprio non vogliono sentire parlare. «Il problema climatico? Sopravalutato ed esagerato. Il Rapporto Stern? Una sciocchezza. Il Picco del petrolio? Se ne parla da tanto ma non lo si raggiunge mai».

È un fiume in piena David W. Kreutzer, ricercatore di economia energetica e cambiamenti climatici della Heritage, per il quale è assolutamente impensabile che si tocchi il concetto di libero mercato. «Il bilancio tra i costi e i benefici di qualsiasi sistema che imponga il pagamento, o peggio degli obbiettivi di riduzione delle emissioni, è assolutamente negativo. – afferma Kreutzer – Non ci sono alternative sul medio periodo al sistema energetico così come lo conosciamo oggi e le rinnovabili continueranno ad avere il ruolo minoritario che possiedono ora, mentre per l’efficienza energetica non sono necessari incentivi, poiché sarà introdotta dal mercato “naturalmente” mano a mano che sarà matura».

E sul banco degli imputati finisce anche l’Agenzia governativa per l’ambiente, l’Epa, rea di aver solo immaginato con una nota di inserire la CO2 tra gli inquinanti. «Si tratta dello stesso gas che emettono gli umani e che permette alle piante di vivere. – tuonano quelli di Heritage – Questo è un tentativo da parte dell’Epa di dare il via a una nuova e costosa regolazione». Se si pensa che la Heritage è una delle fondazioni più ascoltate dai conservatori statunitensi ci si può rendere conto di quanto sia difficile, con questi toni, il cammino politico della protezione del clima negli States.

Toni sicuramente più pacati al Dipartimento di Stato dove Todd Stern, incaricato speciale sui cambiamenti climatici liquida la Heritage dicendo: «non la pensiamo alla stessa maniera». «Di sicuro abbiamo dei problemi dovuti alla crisi, ma i cambiamenti climatici sono una nostra priorità. È il momento di avviare una trasformazione dell’economia verso il “green” e i 30 miliardi di dollari che abbiamo investito ne sono una prova. – ribadisce Stern che aggiunge – È chiaro, però, che la Cina è un elemento importante per qualsiasi accordo sul clima, perché al contrario delle nazioni sviluppate ha una curva delle emissioni in crescita. Anche per questa ragione stiamo lavorando su un’ipotesi di accordo che sia simmetrica».

Insomma, tra meccanismi complessi, resistenze, lobby di ogni genere e accordi internazionali sembra che Obama abbia parecchio da fare per sbrogliare la matassa del clima in patria e la partita, da ciò che si legge tra le righe, è ancora molto aperta. La strada verso la prossima Cop di Cancún se non è piena di chiodi, di sicuro è ricca di ostacoli.

Sergio Ferraris

29 aprile 2010

 

ADV
×