Detrazione del 55%, a costo nullo per lo Stato

  • 18 Dicembre 2008

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Le motivazioni contabili, economiche, industriali e ambientali per tornale alla vecchia disciplina del credito di imposta per gli interventi di efficienza energetica e fonti rinnovabili in edilizia.

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Il credito di imposta al 55% per interventi di risparmio energetico e installazioni di fonti rinnovabili applicabili all’edilizia non può essere ridimensionato come ha stabilito il governo nell’articolo 29 del decreto legge 185. E’ questa la tesi ribadita da diverse organizzazioni nel corso di una conferenza stampa ospitata ieri presso la sede dell’associazione dei consumatori Adiconsum.

Le motivazioni per tornare alla disciplina preesistente sono di natura contabile, economica, industriale e ambientale (vedi anche su Qualenergia.it qui e qui).
Se vediamo la questione dal punto di vista del bilancio dello Stato, visto che il Ministro del Tesoro ci ricorda sempre la mancanza di una copertura finanziaria del provvedimento, si può ritenere che lo sgravio fiscale per gli interventi è praticamente a costo nullo per le casse dell’erario.
In due anni si sono attivate spese per la riqualificazione energetica degli edifici (caldaie ad alto rendimento, doppi vetri, coibentazioni, sistemi solari termici, caldaie a biomasse, ecc.) per circa 3,4 miliardi di euro.
In due anni quindi l’ammontare delle mancate entrate per le casse dell’erario, cioè la detrazione del 55% sull’investimento, ammonterebbero a 1,8 miliardi di euro. Usiamo il condizionale perché questa cifra (circa 800 milioni nell’anno di competenza 2007 e 1 miliardo nel 2008) va spalmata, come dice la normativa fiscale, dai 3 ai 10 anni.
Poniamo poi che queste spese, che non sarebbe state probabilmente realizzate senza tali incentivi, vengano portate in detrazione in media nei prossimi 5 anni. Allora, stimeremmo un ammontare annuale di detrazioni che, negli anni di applicazione, va dai circa 200 milioni ai circa 700 milioni di euro.

Ma se come contropartita consideriamo le entrate immediate derivanti dall’Iva al 20% e le entrate fiscali dirette derivanti dalla vendita, l’installazione e i servizi attinenti a questi interventi già potremmo avvicinarci ad una compensazione.
A questi due fattori ne dobbiamo aggiungere altri due molto rilevanti: una quota importante di emersione di lavori in nero (emersione fiscale) e di costi evitati per il rischio di cassa integrazione, a carico dello Stato, che coinvolgerebbe anche questo settore in caso di penalizzazione degli incentivi.
Oltre a tutto questo c’è anche un elemento economico anti-ciclico che deve essere stimolato: la creazione di imprese hi-tech, di prodotti e servizi sempre più orientati all’efficienza energetica, con la creazione di un indotto (oltre 200mila addetti) che ormai in Italia potrebbe essere quantificato quasi come due Fiat. Un comparto che ha bisogno di certezze per continuare ad investire, soprattutto in questa fase di crisi economica.

Il credito di imposta in questo ambito, inoltre, sarà anche uno strumento fondamentale nel nostro futuro “piano di azione nazionale” che traccerà la strada per raggiungere gli obiettivi fissati nel pacchetto clima-energia 2020, proprio ieri approvato dal Parlamento europeo. Uno strumento già utilizzato da diversi paesi dell’Unione.
Grazie anche al credito di imposta, infatti, potremmo favorire lo sviluppo e la diffusione delle fonti rinnovabili termiche (solare, biomasse, geotermia) che oggi sono ancora marginali, ma che dovranno fornire un enorme contributo per ottenere quel 17% di fabbisogno di energia primaria (elettrico e termico) da fonti rinnovabili, che è il nostro obiettivo nazionale.
Dal punto di vista di cittadini e imprese non va dimenticato che questa tipologia di investimenti consente una bolletta energetica più leggera, dal 20 al 40%, con effetti positivi in termini di potere d’acquisto.

Questo provvedimento dovrà comunque essere rivisto per alcune sue falle. Un attento monitoraggio in questi due anni, valutando a campione alcune tipologie di intervento avrebbe consentito di avere dati più utili per la sua messa a punto. Un ruolo che sarebbe spettato all’Enea.
In questi anni non sono mancati anche casi di speculazione sul valore degli impianti. Tra produttori e fornitori si è diffusa l’abitudine a considerare le detrazioni come un’autorizzazione all’aumento dei prezzi al pubblico. Una pratica che, in concomitanza con l’esplosione della richiesta di tali impianti, ha fatto aumentare i prezzi dei listini di quasi il 10% tra il 2007 e il 2008, penalizzando gli utenti finali e lo stesso erario.

Va detto anche che ci sono stati casi di false sostituzioni (ovvero nuove installazioni mascherate con false certificazioni di smaltimento o numeri seriali di caldaie dismesse, approfittando della mancanza di un registro nazionale dei gruppi termici), causando il danno ulteriore di falsare la valutazione della riduzione dei consumi energetici nazionali e del conseguente calo delle emissioni climalteranti, oltre ad appropriarsi di fondi altrimenti dedicati alla sostituzione del parco installato.

Uno dei ritocchi dovrebbe essere quello di avere parametri più precisi e basati secondo logiche di mercato per progetti o impianti specifici: fissare, cioè, dei valori massimi per singola tecnologia, degli standard di prezzo, oltre i quali la detrazione non viene riconosciuta. Ciò potrebbe facilitare il contenimento dei prezzi, con benefici anche per l’erario. Tuttavia in questo caso occorrerebbe dare particolare attenzione alla definizione delle sottocategorie all’interno delle singole tecnologie, visto che non tutti i prodotti o componenti utilizzati hanno simili prezzi di mercato.
Un altro accorgimento potrebbe essere quello di prevedere nel tempo, meglio se dal 2010, una graduale diminuzione dell’aliquota.

Resta un punto fermo: mettere un limite di risorse alle detrazioni fiscali annuali (come quelli indicati nell’art.29 del decreto) bloccherebbe il mercato di queste tecnologie perché inibirebbe di fatto la domanda. Anche una detrazione in 10 anni del 36% non darebbe quel valore aggiunto atteso.
Ripetiamolo: questa soluzione è praticamente a costo nullo per lo Stato e soprattutto portatrice di innumerevoli benefici. Sarebbe un suicidio non prorogarla per i prossimi anni.

LB

18 dicembre 2008

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