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Taglio retroattivo e spalma-incentivi: i sei effetti perversi

Il MiSE ventila per le rinnovabili uno spalma-incentivi obbligatorio: avrebbe effetti devastanti su occupazione, entrate fiscali, sistema bancario e credibilità internazionale, oltre che esporre il Governo a cause miliardarie. Eppure per mantenere la promessa di ridurre del 10% la bolletta delle PMI altre soluzioni non mancherebbero.

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Lo scorso giovedì 24 aprile a un gruppo di rappresentanti delle banche è stato mostrato da funzionari del MiSE una bozza di provvedimento che dovrebbe essere messa in campo prima delle elezioni europee. Si tratterebbe di un taglio del 20% dei contributi alle rinnovabili a fronte di una spalmatura su 27 anni invece di 20 anni come attualmente previsto (Qualenergia.it, Nuovo spalma-incentivi rinnovabili e tagli retroattivi? Una mostruosità economica e giuridica). Una misura simile a quella già varata dall’ex ministro Zanonato, ma questa volta obbligatoria. Illustrerò in seguito gli effetti di un provvedimento del genere, ma spenderei prima qualche parola sulla sua genesi.

Sono due anni che al Ministero dello Sviluppo Economico si parla di un potenziale taglio retroattivo sulle rinnovabili sul modello spagnolo. E sono sempre due anni che gli esperti giuridici lo sconsigliano perché incostituzionale: le aziende delle rinnovabili hanno in mano un contratto ventennale firmato con il GSE, la convenzione, e rimangiarselo, farebbe la fortuna degli avvocati e esporrebbe lo Stato a ricorsi miliardari.

Non potendo toccare le tariffe incentivanti, in questi due anni il settore delle rinnovabili è stato bombardato da misure alternative.  Per fare qualche esempio: raddoppio dell’IMU; applicazione degli oneri di sbilanciamento; applicazione di una tassa ad-hoc per pagare i costi del GSE; la Robin-Hood tax del 10% addizionale sull’IRES; il dimezzamento dei prezzi del ritiro dedicato; la circolare dell’Agenzie dell’Entrate che impone l’ammortamento in 25 anni invece che in 9; la tassazione speciale del 25% per le imprese agricole; l’obbligo di ri-accatastamento e variazione della rendita per le famiglie che costruiscono un impianto fotovoltaico sul loro tetto, eccetera.

Tutte queste misure di contorno si aggiungono chiaramente, per il fotovoltaico, all’approvazione dei 5 Conti Energia che hanno via via tagliato gli incentivi fino ad azzerarli. Oggi la redditività dei progetti è fortemente depressa. Quasi dimezzata rispetto a quella originaria.

Inoltre, va ricordato che anche per effetto delle rinnovabili il prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso (PUN) è crollato dai 70 Euro a MWh del 2008 a circa 45 Euro a MWh di marzo 2014, stiamo parlando di una riduzione pari a circa il 35% del prezzo in 6 anni. Un bel contributo per l’utente elettrico che paga la bolletta ogni mese. Nella settimana di Pasqua 2014, il 50% dell’energia prodotta nella Borsa italiana era da fonte rinnovabile, e aggiungerei, pulita e rispettosa delle generazioni a venire.

In questo quadro arrivano le famose “slide” di Renzi del 12 marzo 2014. Una di quelle pagine prometteva “il taglio del costo dell’energia elettrica del 10%”. Ma non c’era nessuna strategia dietro. Infatti, questo slogan elettorale si abbatté come un fulmine a ciel sereno sui funzionari dello Sviluppo Economico e Ambiente, nonché sui funzionari dell’Economia. Tutti si saranno chiesti: “E adesso dove li prendiamo questi soldi?”.

Nel frattempo Carlo Stagnaro dell’Istituto Bruno Leoni aveva circolato via Twitter un suo paper sulla possibile manovra di ‘spalmatura’ degli incentivi alle rinnovabili su un orizzonte più lungo e ripropone l’idea del taglio retroattivo alle rinnovabili.

Il pezzo crea un aspro dibattito fra esponenti di associazioni ambientaliste, Assoelettrica ed esperti del settore. Già in quei giorni la nota di Alessandro Visalli, ripresa anche dallo stesso Stagnaro e da Jacopo Giliberto, aveva chiarito moltissimi dei gravi limiti della proposta di taglio retroattivo. Limiti, sia ben chiaro, che erano noti da anni a tutti gli addetti ai lavori. 


In questo quadro nelle settimane successive alla ‘televendita’ di Renzi, nelle stanze dei ministeri, si agitano per trovare un modo per dare concretezza alle promesse di riduzione del taglio della bolletta promessa dal Primo Ministro, nonostante le proposte per ridurre le bollette non manchino.

Ad esempio, invece, di far in modo che la grande riduzione del prezzo dell’energia all’ingrosso si scarichi sui prezzi pagati dai consumatori, e non rimanga a beneficio del margine delle società venditrici di energia (che oggi pagano l’energia 45 Euro a MWh e la rivendono ai clienti mediamente a 80 Euro a MWh, facendo un margine di quasi il 100%) o piuttosto che ridurre gli oneri impropri in bolletta (es. sconto alle FS, sconti agli energivori, costi per lo smantellamento del nucleare che ormai è fermo da un trentennio ma continuiamo ancora a pagarlo, ecc.), l’interesse dei tecnici dei ministeri dove va a cadere? Esattamente sulla criticatissima proposta dell’Istituto Bruno Leoni di cui sopra.

Qui inizia un lavoro segreto. Talvolta affiora qualche segnale inquietante di questo lavoro sotterraneo, come ad esempio quando il ministro Guidi a ‘Porta a Porta’ ricorda che entro maggio ci sarà un provvedimento importante che taglierà il costo della bolletta così come promesso dal premier.
 A questo punto, al MiSE riprendono in mano ragionamenti rifatti mille volte, i pareri degli esperti e i conti condivisi con le banche. Ci si rende conto che i problemi tecnici sono enormi, innanzitutto le banche. E’ importante ricordare che il sistema bancario italiano ha finanziato le rinnovabili con qualcosa che vale una cinquantina di miliardi di euro di finanziamenti strutturati a medio e lungo termine. Per dirla in un altro modo, se giochi con le tariffe in maniera goffa, scateni una sorta di “tsunami del credito” che con una reazione a catena spazza via il sistema bancario.


Insomma con le banche, come sempre, bisogna andare con i piedi di piombo. Per questo motivo vengono convocate in una riunione giovedì 24 aprile per anticipargli il provvedimento e tastare il polso. La loro reazione è stata negativa. Hanno spiegato che gran parte dei finanziamenti andrebbe nel cosiddetto “default tecnico, perché non rispetterebbero più molti parametri obiettivo (es. fra tutti il DSCR il rapporto fra cash flow e rata non si rispetta se si taglia la tariffa del 20%). Inoltre, va detto che molti impianti non possiedono i terreni oltre il ventesimo anno, quindi allungare gli incentivi a 27 anni è inutile perché non ci sarebbe il titolo legale per fare altri sette anni di produzione.

Un ginepraio di corrette obiezioni su problemi che nel ristretto mondo degli addetti ai lavori sono già ben noti.
 In un quadro del genere un decisore politico attento si ferma e cerca altre soluzioni.  Rilanciare la questione con un muscolare azzardo a spese della collettività, vuol dire nel nostro caso, scegliere la retorica populista del “riformismo ad ogni costo”, con scarsa lungimiranza e senza un disegno strategico complessivo.

A questo punto vanno fatte alcune considerazioni sui devastanti effetti di un simile provvedimento:

  1. Violazione del principio costituzionale di non retroattività, non rispettando unilateralmente le convenzioni GSE firmate dai titolari degli impianti ed esponendo lo Stato a una massa di ricorsi per decine di miliardi. Tralascio il calcolo del danno erariale potenziale e i costi legali per tutti i provvedimenti (stiamo parlando di decine di migliaia di impianti).
  2. Perdita di gettito per lo Stato in una misura di almeno 500 milioni di euro. Infatti il 20% di tariffa rinnovabile (1,5 miliardi di euro) è la parte dei ricavi che fa sì che le società delle rinnovabili arrivino in utile e paghino le imposte. Con il taglio queste aziende chiuderebbero tutte in perdita e lo Stato non incasserebbe più né IRES, né IRAP. Come detto si tratterebbe di un minore gettito di non meno di 500 milioni di euro all’anno. Come si finanzierebbero queste mancate entrate con nuove tasse? Ai danni si aggiungerebbero altri danni. Il risparmio per le famiglie sarebbe quindi del tutto esiguo, perché al risparmio in bolletta seguirebbe un incremento dell’imposizione fiscale per mantenere in equilibrio il bilancio dello Stato.
  3. Ennesima perdita di credibilità internazionale agli occhi degli investitori stranieri che vedrebbero il nostro paese ancora una volta come inaffidabile nel medio-lungo periodo con impatti sullo spread e sulla capacità dell’Italia di attrarre nuovi investimenti dall’estero non troppo difficili da immaginare.
  4. ‘Mazzata’ per il sistema bancario che si ritroverebbe qualcosa come 50 miliardi di crediti o in sofferenza o incagliati o, comunque, con rating abbassato. Questo costringerebbe inevitabilmente le banche a ridurre il credito nei confronti degli altri settori per poter rispettare le regole di Basilea III che prevedono che ci sia una quantità di capitale proprio allocato per ogni ammontare di crediti di bassa qualità. Quindi, il colpo alle rinnovabili si trasferirebbe al credito e dal settore finanziario si propagherebbe a domino su tutta l’economia.
  5. Gli investitori prevalentemente italiani, nonostante ciò che si legge sulla stampa, si ritroverebbero a perdere il loro capitale investito in questi ultimi 5 anni. Stiamo parlando di almeno una cinquantina di miliardi di euro che volerebbero in fumo. Vogliamo immaginare gli effetti depressivi di una simile ecatombe finanziaria? Se non vogliamo leggerla con le lenti dell’equità, perlomeno cerchiamo di essere realisti e di comprendere che sarebbe un shock altamente negativo per la nostra economia oltre che per il nostro diritto.
  6. Ultima, ma non meno importante, l’occupazione degli addetti in questa importante filiera produttiva. Senza soldi come si pagano gli stipendi? Con un simile massacro degli investitori, chi pagherà per nuovi impianti? Come si pagheranno i ricambi, le manutenzioni e tutti i servizi accessori con cui vivono oggi alcune decine di migliaia di lavoratori italiani?

La vera domanda è: perché tutto questo? Perché si vogliono scatenare i sei effetti terribili elencati sopra per ridurre le bollette di pochi euro al mese quando imponendo alle società di vendita di energia di adeguare il costo delle forniture al nuovo prezzo all’ingrosso dell’energia si potrebbero far risparmiare agli utenti italiani qualcosa come 10,5 miliardi di euro all’anno?

Sì, avete letto bene. Infatti, 35 €/MWh (la differenza fra il costo dell’energia al dettaglio pari a 80 €/MWh e il costo dell’energia all’ingrosso pari a 45 €/MWh) moltiplicato per 300.000.000 di MWh (il consumo italiano di elettricità) porta ad un risultato di circa 10,5 miliardi di euro, cioè 9 volte di più dei tagli proposti alle rinnovabili.  Non posso che concludere con una domanda classica: cui prodest?

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