Le trasformazioni energetiche in vista in Italia e in Europa

Dove dobbiamo e possiamo arrivare con le nuove misure Ue a partire dal fronte degli edifici, per passare alla mobilità elettrica, alle rinnovabili e alla disponibilità dei materiali critici per una reindustrializzazione green dei paesi membri?

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Negli ultimi mesi si è assistito ad un’accelerazione, peraltro annunciata da tempo, di una serie di misure europee su vari fronti, dagli edifici alla mobilità elettrica, dalle rinnovabili ai materiali critici per la reindustrializzazione green.

L’aggressione russa all’Ucraina ha imposto un’ulteriore spinta e in qualche caso, come per le rinnovabili, sollecitanto anche obiettivi più ambiziosi.

Riduzione dei consumi di gas in edilizia

Sul fronte della domanda di gas, complice anche il tempo mite e l’impennata dei prezzi dell’energia, si è assistito in Europa nel 2022 a un taglio di 55 miliardi di metri cubi, ovvero del 13%, il calo più marcato della storia. Un valore equivalente alla quantità di gas necessaria per rifornire oltre 40 milioni di abitazioni.

Il prezzo del gas naturale nella Ue è ormai sotto quota 45 €/MWh sui livelli di fine gennaio 2022 (al momento in cui pubblichiamo è sceso addirittura sotto ai 40 €, ndr).

Rispetto al picco di 340 €/MWh dello scorso agosto, ha perso l’87% del suo valore grazie ad un inverno mite, agli interventi di risparmio, alla diversificazione degli approvvigionamenti e alla crescita delle rinnovabili.

In Italia il settore civile assorbe 32 miliardi di metri cubi ogni anno, il 43% di quelli nazionali. Dati che fanno capire l’importanza di una riqualificazione su larga scala degli edifici che viene sollecitata dalla recente approvazione da parte del Parlamento Europeo dalla revisione della direttiva EPBD sulla prestazione energetica degli edifici.

Si prevede che i nuovi edifici siano ad emissioni zero dal 2028, e che entro il 2033 gli edifici raggiungano la classe D (2030 per quelli pubblici). L’obiettivo è di partire dal 15% di edifici più energivori classificati nei vari paesi in classe G, che in Italia si stima siano 1,8 milioni.

L’atteggiamento del governo italiano sulla proposta di direttiva sull’efficientamento degli edifici è stato difensivo, analogamente alla posizione difensiva e perdente tenuta nei confronti della mobilità elettrica.

In realtà, ricordiamo che le istituzioni comunitarie accelerano perché siamo indietro rispetto agli obiettivi climatici al 2030. I paesi Ue hanno ridotto di un quarto le emissioni climalteranti rispetto al 1990, ma dovremmo ridurle del 55% al 2030, cioè fra sette anni e mezzo. E gli effetti della siccità in molti paesi sotto i nostri occhi non sono che uno dei tanti segnali di una emergenza climatica che incombe.

In realtà c’è anche un aspetto della direttiva edifici che riguarda direttamente le esigenze dei cittadini. La spinta a rendere i nostri edifici più efficienti consente di ridurre fortemente le bollette, migliora il comfort termico degli ambienti, valorizza gli immobili (un edificio di classe A vale almeno il 30% in più di uno di classe G).

Non è un caso che l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) condivida l’impostazione della direttiva ritenendo “indispensabile” un grande piano di riqualificazione energetica degli edifici italiani e sottolineando contemporaneamente l’importanza di individuare le risorse necessarie.

Ovviamente gli incentivi ci saranno, come sono esistiti dal 2006, ma indubbiamente bisogna accelerare. Si stima infatti che dobbiamo attivare almeno 60.000 riqualificazioni l’anno. Nell’ultimo ventennio in Italia, come nel resto d’Europa, il ritmo degli interventi è stato pari all’1% della superficie costruita, mentre noi dovremmo gradualmente raddoppiare questa percentuale.

Sono molti gli elementi interessanti della direttiva ma ne ricordiamo uno e cioè lo stop agli incentivi alle caldaie dal 2024, mentre noi abbiamo continuato a sostenere con incentivi questa tecnologia. Una tempestiva eliminazione delle caldaie consentirebbe di risparmiare l’8% delle importazioni di gas dei paesi membri.

Ma quali trasformazioni ci aspettano? Sempre l’Ance sottolinea che servirebbe un grande rafforzamento del numero di muratori, idraulici, elettricisti, falegnami e incolpa un sistema formativo inadeguato.

Tutto vero, ma questa constatazione sottolinea le grandi prospettive occupazionali che si aprono in questo settore. La definizione di obiettivi ambiziosi comporterà la creazione di una quantità notevole di nuovi posti di lavoro.

In realtà, questa sfida impone anche una rivisitazione dei modelli di lavoro delle imprese del settore, fino ad arrivare ad una forte transizione, come proposto dalla industrializzazione della riqualificazione che accorcia tempi e costi secondo il modello Energiesprong, partito in Olanda e poi attecchito in altri paesi europei

Il boom delle pompe di calore

L’accelerazione della diffusione delle pompe di calore ha rappresentato una delle soluzioni per ridurre la domanda di gas.

Il mercato europeo delle pompe di calore ha battuto un nuovo record nel 2022 con 3 milioni di unità vendute, con una crescita del 38%, superiore all’aumento del 34% delle vendite dell’anno precedente. Il numero totale di pompe di calore per il riscaldamento e per l’acqua calda in Europa è ora di circa 20 milioni installate nel 16% degli edifici residenziali e commerciali. Le pompe di calore vendute nel 2022 sono in grado di sostituire 4 miliardi di metri cubi di gas naturale.

Secondo un documento pubblicato dall’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), se l’Unione europea passasse al riscaldamento con pompe di calore per le sue esigenze di riscaldamento e raffreddamento industriali, commerciali e domestiche, si taglierebbero cumulativamente circa 60 miliardi di euro dalla bolletta annuale del gas.

Non a caso l’iniziativa REPowerEU mira a ridurre circa la metà dei 150 milioni di caldaie utilizzate negli Stati membri sostituendole con le pompe di calore entro il 2030.

In Germania nel 2022 sono state vendute 236.000 pompe di calore, il 53% in più rispetto all’anno precedente, mentre le vendite delle caldaie a gas sono diminuite dell’8%. In Italia lo scorso anno ha visto la installazione di più di mezzo milione di pompe di calore, con un incremento del 37% sul 2021.

Ma crescono le iniziative anche in campo industriale. Quattro anni fa Wienerberger, il più grande produttore di laterizi al mondo, ha sostituito una caldaia a gas con una grande pompa di calore, consentendo di ridurre la bolletta energetica di oltre 400mila €/anno.

E il colosso chimico tedesco Basf ha commissionato a Man, una società di ingegneria tedesca nota per i suoi camion e autobus, la costruzione della pompa di calore più grande del mondo presso il sito di Ludwigshafen, nella Germania occidentale. Il sistema, delle dimensioni di una centrale elettrica convenzionale, sfrutterà il calore di scarto dei processi di raffreddamento per produrre 150 tonnellate di vapore all’ora.

La forte accelerazione delle rinnovabili

Grazie al continuo sostegno politico alle energie rinnovabili, nel 2022 nell’Unione europea sono stati installati circa 50 GW di energia eolica e solare, un record.

Queste aggiunte hanno evitato consumi pari a 11 miliardi di metri cubi di gas naturale nel settore elettrico.

Anche a causa dell’aggressione russa, la Ue ha deciso di alzare i propri obiettivi climatici. È stato infatti recentemente proposto di aumentare al 42,5% l’obiettivo europeo al 2030 sulla quota di consumi finali di energia elettrica da coprire con le fonti rinnovabili.

Sul fronte degli edifici, è previsto un target indicativo, pari ad almeno il 49% di energie rinnovabili al 2030. Il contributo obbligatorio sale non solo rispetto al 32% deciso nel 2018, ma anche a quanto proposto dalla Commissione nel pacchetto clima del 2021 (40%).

Questi obiettivi e la constatazione che la quota di rinnovabili nel 2021 nella Ue era solo del 21.8% fanno capire l’incredibile accelerazione necessaria. L’obiettivo del 42,5% per l’Italia implica infatti un valore attorno all’80% di elettricità verde.

In una recente analisi, Terna valutava che entro il 2030, si dovrebbero installare circa 70 GW di nuova capacità rinnovabile per raggiungere almeno il 65% di Fer sui consumi lordi di energia elettrica.

In realtà si dovrebbe puntare più in alto, come ha fatto del resto Elettricità Futura che ha presentato un Piano che prevede di allacciare alla rete 85 GW di nuove rinnovabili al 2030, portando all’84% le rinnovabili nel mix elettrico. Raggiungendo questo traguardo, nei prossimi 8 anni l’Italia potrebbe ridurre di 160 miliardi di metri cubi le importazioni di gas con un risparmio di 110 miliardi di euro e attivando oltre mezzo milione di occupati.

Del resto, al 31 dicembre 2022 Terna aveva ricevuto richieste di connessione alla Rete di trasmissione nazionale per oltre 311 GW di cui circa 74,7 GW di eolico on-shore, ben 103,7 GW di eolico off-shore e 123,7 GW di fotovoltaico.
Dobbiamo quindi aspettarci nei prossimi anni un deciso cambio di marcia. Nel 2022, dopo anni di immobilismo, sono stati installati 3 GW e quest’anno si dovrebbero superare i 5 GW.

Ci sono delle novità tecnologiche e normative che fanno ritenere che obiettivi così ambiziosi possano essere raggiunti. Pensiamo alle potenzialità dell’agrivoltaico, delle comunità energetiche, dell’eolico offshore, per fare solo alcuni esempi.

Del resto, è significativa l’accelerazione prevista da Berlino che intende arrivare a 215 GW totali di fotovoltaico al 2030, triplicando le installazioni annuali di impianti solari, dai 7 GW realizzati nel 2022 a circa 22 GW in media dal 2026 in poi.

Materie prime critiche e della necessità di una reindustrializzazione green

Le trasformazioni che ci aspettano dovranno affrontare la criticità della disponibilità di materiali critici, una trentina di minerali che vanno dalle terre rare al litio, al cobalto, dal rame al nichel.

Da qui il lancio del Critical Raw Materials Act considerato uno dei capisaldi del piano industriale del Green Deal dell’Unione europea, insieme al Net-Zero Industry Act, che fissa l’obiettivo per l’Ue di produrre il 40% delle proprie tecnologie pulite entro il 2030, come i moduli fotovoltaici.

L’innovazione tecnologica – si pensi al passaggio in atto alle batterie al litio-ferro-fosfato e l’avvio di un’industria del riciclaggio, l’insediamento di nuove industrie – delinea scenari nuovi e dalle grandi potenzialità.

L’Europa, per quanto in ritardo, intende attrezzarsi per difendersi dalla dipendenza dalla Cina e dalle ambizioni degli Stati Uniti, mostrando in questo modo di cogliere la rilevanza geopolitica delle trasformazioni necessarie.

Anche nel nostro Paese si apre così una partita di rapidissimi cambiamenti che, almeno per il momento, vede però attento più il mondo delle imprese che quello dei decisori politici.

L’articolo di G. Silvestrini è stato pubblicato sul numero di aprile di Termotecnica

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