Dal teleriscaldamento una possibile marcia in più contro il gas russo, ma i fondi Pnrr sono pochi

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Il potenziale italiano del teleriscaldamento efficiente è pari al 12% del fabbisogno termico del settore civile, ma servono più incentivi e investimenti. Lo studio Elemens presentato al convegno Airu.

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Il teleriscaldamento può contribuire in modo rilevante a diminuire le importazioni italiane di gas dalla Russia e così migliorare la sicurezza energetica nazionale.

Questo il tema su cui si è focalizzato il recente convegno “Teleriscaldamento, il calore che unisce” organizzato da Airu (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano).

In particolare, sviluppando tutto il potenziale di questa tecnologia in Italia – grazie ai nuovi impianti di quarta generazione ancora più efficienti – si potrebbero tagliare le importazioni di gas di circa 2,12 miliardi di Smc (standard metri cubi), quasi il 10% del combustibile fossile oggi acquistato da Mosca.

Il dato emerge dalla ricerca realizzata da Elemens per Airu, intitolata “Il teleriscaldamento: efficienza e rinnovabili a servizio della decarbonizzazione”, dove si evidenzia anche la possibilità di ridurre di 5,7 milioni di tonnellate/anno le emissioni di CO2.

Già uno studio realizzato nel 2020 per Airu dai Politecnici di Milano e di Torino, aveva sottolineato che in Italia esiste un potenziale di sviluppo del teleriscaldamento efficiente di quarta generazione di 38 TWh (4 volte il livello attuale), pari al 12% del fabbisogno civile: le principali fonti di energia sono il calore di scarto industriale e quella geotermica, recuperabile anche con pompe di calore.

I sistemi di teleriscaldamento innovativi di quarta generazione, infatti, lavorano a basse temperature con una produzione distribuita, reti bidirezionali e un uso esteso degli accumuli termici.

In Italia gli ostacoli al pieno sviluppo del teleriscaldamento – rimarca la nuova ricerca di Elemens – sono principalmente di natura regolatoria, economica e autorizzativa: le normative del settore non hanno ancora accompagnato l’innovazione tecnologica che lo ha investito, mentre non esistono meccanismi incentivanti per gli operatori e per i consumatori definiti appositamente per il teleriscaldamento, capaci di favorirne lo sviluppo.

Il proeblema, evidenzia lo studio, è che senza un supporto di natura economica, meno del 30% del potenziale individuato nella ricerca sarebbe effettivamente realizzabile: una soluzione potrebbe arrivare dalle nuove norme sui certificati bianchi, anche se soluzioni alternative basate sui contributi in conto esercizio e/o capitale potrebbero rappresentare un supporto più efficace.

Per quanto riguarda il Pnrr, le risorse rese disponibili dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per il teleriscaldamento ammontano a 200 milioni di euro (solo 1% delle risorse complessivamente destinate alle misure di efficienza energetica), da assegnare con un bando di gara che premierà i progetti più efficienti.

Il supporto finanziario del Recovery Fund – un incentivo in conto capitale, pari al 30% del capitale investito – sarà accessibile tramite fondi: il 65% andrà alle reti di calore e il 35% ai nuovi impianti di teleriscaldamento.

Tuttavia, queste risorse, secondo gli autori della ricerca, sono del tutto insufficienti a supportare gli investimenti richiesti per sviluppare tutto il potenziale italiano nel teleriscaldamento, pari a quasi 50 miliardi di euro.

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