Target Ue 2030, così le lobby continuano a puntare i piedi

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Mentre i produttori elettrici si sono schierati sul fronte progressista, gran parte delle associazioni industriali, green washing a parte, continuano a frenare.

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Le azioni di lobby di molti settori industriali del continente remano contro le politiche europee basate sulle evidenze scientifiche e volte all’azzeramento netto delle emissioni climalteranti.

È questa la conclusione cui è arrivata un’analisi di InfuenceMap, un’organizzazione no profit specializzata nel monitoraggio delle lobby climatiche, secondo cui esiste un divario significativo fra i percorsi perseguiti dai gruppi di pressione industriali e quelli indicati da organismi quali il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) e l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA).

Quella che si sta giocando in questi giorni fra industria e politica è una partita cruciale, poiché c’è in ballo la ridefinizione degli obiettivi europei sulla riduzione delle emissioni nocive. La Commissione europea, infatti, mercoledì 14 luglio, presenterà un pacchetto di leggi sull’energia e sul clima che mira a portare dal 40% al 55% il taglio dei gas climalteranti entro il 2030 rispetto al 1990, con l’obiettivo di raggiungere lo zero netto entro il 2050.

Il pacchetto consisterà in 13 proposte legislative, alcune nuove e altre revisioni di leggi già esistenti, su cui si basano in grandissima parte le sorti della decarbonizzazione in Europa – e con esse quelle dei modelli di business, degli investimenti e delle prospettive di molte industrie e multinazionali europee.

Le associazioni che stanno remando più contro le misure del cosiddetto pacchetto “Fit for 55” sono quelle dei trasporti e dell’industria pesante, secondo InfuenceMap.

Le società di lobby e le associazioni di settore sono finanziate da alcune delle più grandi aziende europee, tra cui Volkswagen, LafargeHolcim, TotalEnergies, Repsol e ArcelorMittal – tutte grandi imprese che nella loro comunicazione istituzionale propagandando obiettivi zero per le emissioni, sostenendo ufficialmente la scienza del clima nonché il quadro delle Nazioni Unite in vista della COP26.

Lo scollamento sostanziale tra la retorica aziendale e le azioni di lobby dei gruppi industriali mette a rischio gli sforzi dell’Ue per allineare la sua agenda politica sul clima con gli obiettivi dell’accordo di Parigi, secondo il rapporto, consultabile dal link in fondo a questo articolo.

La ricerca ha rilevato che l’opposizione a una più ambiziosa normativa a breve termine sul clima da parte delle associazioni industriali europee va di pari passo con il loro monito secondo cui un’azione accelerata e unilaterale sul clima minaccia la competitività delle imprese europee.

Tali affermazioni mettono in discussione la sostanza del cosiddetto “green deal” europeo, volto a creare un’economia che sia allo stesso competitiva e climaticamente neutra, secondo l’analisi.

Il disallineamento pone di fronte a una contraddizione le associazioni intersettoriali, tra cui Confindustria per l’Italia, oltre a Medef in Francia, Bdi in Germania, Ceoe in Spagna e BusinessEurope, trovate in gran parte a esprimere posizioni non favorevoli ai tentativi della Commissione europea di rendere più severe le normative europee sul clima.

Queste associazioni raccolgono membri di una vasta gamma di settori, e forse anche per questo sembrano adottare il principio del “minimo comune denominatore” degli interessi industriali più a rischio di un’azione accelerata della politica climatica, secondo il rapporto.

Ma proprio questa compromesso al ribasso rappresenta un ostacolo significativo al raggiungimento degli obiettivi climatici europei del 2030, visto il ruolo centrale di queste associazioni e la loro capacità di rappresentare queste posizioni per conto dell’industria in generale, ha indicato InfuenceMap.

La sua ricerca ha incluso un sondaggio di 216 associazioni industriali. Secondo il sondaggio, nonostante il sostegno quasi universale per l’innalzamento delle ambizioni climatiche al 2050, il 30% dell’industria non è d’accordo sulla necessità di un’accelerazione dell’azione per il taglio del 55% delle emissioni entro il 2030 e un altro 12% esprime posizioni ambigue, come indicato nell’illustrazione.

Una ricerca più approfondita su un gruppo di 20 associazioni chiave dell’industria, recentemente impegnatesi nel pacchetto “Fit for 55” della Commissione europea, ha mostrato che il settore elettrico è diventato il sostenitore principale di un’ambiziosa agenda europea sul clima, con Eurelectric, il principale rappresentante del settore delle utility a livello europeo, sostenuto da gruppi altamente progressisti e focalizzati sulle energie rinnovabili come WindEurope.

All’altra estremità, le associazioni industriali che rappresentano i settori dei trasporti sono fra quelle che remano più contro i tentativi della Commissione europea di implementare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Airlines For Europe e la European Community Shipowners’ Associations (ECSA) hanno esercitato pressioni per ritardare o indebolire gli sforzi volti a includere i loro settori nei regolamenti sul clima a livello europeo. Altre associazioni rappresentative del settore industriale, tra cui quello automobilistico (ACEA), del cemento (CEMBUREAU), della chimica (Cefic), della raffinazione (FuelsEurope) e dell’acciaio (Eurofer) hanno accolto con favore il sostegno aggiuntivo del governo per l’introduzione di tecnologie verdi o a basse emissioni, ma continuano a puntare i piedi contro gli approcci normativi più severi proposti dalla Commissione per accelerare la lenta riduzione delle emissioni settoriali, secondo lo studio.

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