Superbonus 90% per case unifamiliari: perché è quasi inaccessibile?

La via stretta del nuovo Superbonus non lascia molta scelta ai proprietari di case unifamiliari. Si potrebbe virare su altri bonus, complicandosi però la vita.

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D’ora in poi si potrebbe chiamarlo “Sub-bonus” o “Ipo-bonus”, perché il nuovo Superbonus ristretto al 90% risulta di fatto impraticabile per la maggior parte delle case unifamiliari.

Ai loro proprietari rimangono due possibili ma improbabili opzioni: la scelta di interventi di minore efficientamento, col rischio di non riuscire a soddisfare i requisiti di efficientamento energetico previsti dalla norma, e/o la difficile composizione di un puzzle di altri bonus minori.

I proprietari saranno costretti a limitarsi al miglioramento obbligatorio di due sole classi energetiche, ammesso che ce la facciano, anche quando potrebbero aspirare a fare un salto di tre o più classi, depotenziando la capacità di decarbonizzazione e la leva di crescita economica che il Superbonus originale intendeva attivare.

Ciò in quanto l’impossibilità di accedere allo sconto in fattura o di cedere il credito, sommata alla scarsa capienza fiscale di molti, lasciano come unica via economicamente praticabile quella della detrazione fiscale diretta dalla propria Irpef in 4 anni.

Vediamo gli scenari che si aprono per i proprietari di abitazioni unifamiliari, ricordando prima che per questo tipo di immobili l’aliquota del Superbonus sarà al 90% fino al 31 dicembre 2023 (per poi scendere al 70% nel 2024 e al 65% nel 2025) a condizione che:

  • gli immobili siano classificati come prima casa;
  • il “reddito di riferimento” familiare non superi 15mila euro, cifra che potrà essere maggiore in base al coefficiente applicabile a seconda del numero di componenti della famiglia (coefficiente per cui va divisa la somma dei redditi complessivi e formato dai seguenti fattori: 1 per il contribuente; +1 per il coniuge, convivente di fatto o civilmente; +0,5 se c’è un familiare a carico diverso dal coniuge o assimilati oppure +1 se i familiari a carico sono due; +2 se i familiari a carico sono tre o più. Il risultato deve essere sempre al massimo di 15mila euro. Vedere esempi più sotto).

I conti non tornano

L’anno scorso, il 41% dei contribuenti italiani ha dichiarato un reddito inferiore ai 15mila euro, con una media di 7mila euro ciascuno, secondo il ministero dell’Economia.

Il 13,5% dei contribuenti ha dichiarato tra i 15 e i 20mila euro. Oltre la metà dei contribuenti ha quindi dichiarato al massimo 20mila euro. Solo il 11,5% ha dichiarato redditi fra i 35 e i 75mila euro e appena l’1,3% ha dichiarato di guadagnare tra i 75 e i 100 mila euro l’anno, mentre i contribuenti che hanno dichiarato oltre 100mila euro sono l’1,4%.

Tutto ciò serve a indicare quanto bassa sia la capienza fiscale della grande maggioranza degli italiani.

Come accennato, la norma prevede che l’accesso al Superbonus 90% sia limitato a determinate soglie di reddito. Teoricamente, visti i redditi piuttosto bassi dichiarati dagli italiani, potrebbero essere molti a rientrare nelle agevolazioni. In realtà, nonostante i bassi redditi ufficiali, le regole del Superbonus, la bassa capienza fiscale degli italiani (nonché la loro bassa natalità), tendono a creare un ostacolo insormontabile.

Vediamo perché.

Per esempio, una coppia senza figli nella quale entrambi i partner lavorano, con un reddito complessivo di 40mila euro, non ha diritto al Superbonus (40.000/2 = 20.000). Anche con un figlio a carico, e un reddito complessivo di 50mila euro non si ha diritto al Superbonus (50.000/2,5 = 20.000).

A maggior ragione, anche se si hanno molti figli a carico, il Superbonus sarà inaccessibile ai contribuenti con redditi più alti.

Prendiamo allora il caso di una famiglia monoreddito di 4 persone, con due genitori, di cui uno solo lavora come dipendente, quindi con il coniuge e due figli a carico, e un reddito familiare di 30.000 euro. In questo caso, la famiglia ha diritto al Superbonus (30.000/3 = 10.000).

Ipotizziamo che, idealmente, questa famiglia voglia installare un cappotto, sostituire la vecchia caldaia a gas con una pompa di calore, mettere un impianto fotovoltaico a servizio anche della pompa di calore e sostituire gli infissi.

È presumibile che questi quattro interventi, complessivamente, costerebbero, per esempio, 140.000 euro, a fronte dei quali la famiglia in questione ha una capienza fiscale, cioè pagherà tasse annuali, pari a circa 6.500 euro. Riepilogando:

  • Detrazione del 90% su 140.000 euro di lavori = 126.000 €
  • Detrazione annuale possibile su 126.000 € suddivisi in 4 rate = 31.500 €
  • Capienza fiscale annua = 6.500 €
  • Differenza fra detrazione annua possibile e capienza fiscale annua reale = 31.500 – 6.500 = € 25.000
  • Massimo detraibile = 6.500 x 4 anni = 26.000 €
  • Mancate detrazioni = 126.000 – 26.000 = 100.000 €

Ciò vuol dire che il Superbonus, così come strutturato ultimamente (Dl 176/2022 o Decreto Aiuti Quater; Legge 197/2022 cioè la legge di Bilancio 2023; e il Dl 11/2023 o Decreto Blocca cessioni), con possibilità inesistenti o molto limitate di cedere il credito, depotenzia molto questo strumento, rendendolo di fatto quasi inservibile.

Soluzioni minime

Poiché quasi il 60% delle abitazioni in Italia è in classe G (34,3%) o F (25,4%), cioè le due peggiori, la maggior parte delle abitazioni potrebbe tecnicamente aspirare a fare salti di qualità maggiori delle due classi energetiche obbligatorie previste.

Volendo provare a rimanere nell’ambito del Superbonus, questo vuol dire che nell’ambito di uno o entrambi gli interventi trainanti obbligatori, consistenti nella sostituzione della centrale termica e/o nell’installazione di un cappotto termico, si sceglierà la soluzione minima o un mix di soluzioni minime.

Ciò in modo che la spesa complessiva risulti di solo il 10% superiore alla propria capienza fiscale quadriennale – sempre ammesso che con una spesa minima si possa migliorare l’edificio di due classi energetiche.

Già quest’anno appare un’impresa ardua, ma nel 2024 e 2025 sarà ancora più complicato trovare un equilibrio fra aliquote di detrazione che caricano sempre di più il peso degli interventi sui privati, redditi bassi e capienza fiscale cronicamente limitata. Centrare le due classi di miglioramento energetico obbligatorio con soluzioni sempre più minime potrebbe risultare l’equivalente energetico di far passare un cammello nella cruna di un ago.

In termini pratici, l’ipotetica famiglia di prima cercherà di rimanere entro i 28.600 euro di spesa complessiva, rispetto ai 140.000 euro preventivati, in modo da poter sfruttare a pieno la detrazione massima possibile di 26.000 euro.

Allora la famiglia in questione cosa farà? Tenderà a sostituire la vecchia caldaia a gas non con una pompa di calore, più costosa ed energeticamente più efficiente, ma con un’altra caldaia a gas (a condensazione), pur più moderna e di classe almeno A, che garantirà all’edificio un vantaggio climatico e una classe energetica inferiori rispetto alla pompa di calore.

La famiglia dovrà poi rinunciare al cappotto termico e probabilmente ad almeno uno fra impianto fotovoltaico e infissi nuovi.

Rimane il forte dubbio che la sola sostituzione della centrale termica, per esempio, pur con uno degli altri due interventi trainati, basti a fare un salto di due classi energetiche, mettendo quindi a rischio l’intera operazione.

Scenario puzzle

Sebbene complicata e incerta, una possibile alternativa allo scenario fin qui descritto è cercare di sfuggire alle limitazioni del Superbonus puntando sugli altri bonus, quelli del 50% (ristrutturazioni, Art. 16 bis Tuir) e del 65% (risparmio energetico, Legge 145/2018), applicabili separatamente a interventi diversi fra quelli desiderati dalla famiglia di prima e detraibili in 10 anni invece che in soli quattro.

Si potrebbe anche provare ad accedere a tutte e tre le agevolazioni (Superbonus, bonus ristrutturazioni e bonus risparmio energetico) purché applicati su interventi diversi, poiché tali incentivi non sono cumulabili fra loro per lo stesso intervento, sempre che si riesca a rispettare il requisito del miglioramento di due classi energetiche per il Superbonus.

Lo potremmo chiamare in via informale un “puzzle-bonus” fai da te.

Il vantaggio sulla carta di questa soluzione sarebbe quello di moltiplicare per 10, invece che per quattro, la capienza fiscale annuale, che nel nostro esempio, passerebbe complessivamente da 26.000 a 65.000 euro (6.500 x 10 anni), con la possibilità quindi di farci rientrare interventi più corposi. Si eviterebbe inoltre il requisito del miglioramento di due classi energetiche, nel caso si rinunciasse al Superbonus.

Lo svantaggio principale è che, poiché gli altri bonus coprono solo il 50% e/o il 65% della spesa, la famiglia in questione dovrebbe trovare autonomamente i soldi per pagare direttamente il restante 50% e/o 35% delle somme, oltre al rimanente 10% dell’eventuale Superbonus, attingendo presumibilmente ai risparmi o chiedendo un finanziamento.

L’alternativa del “puzzle-bonus” fatto in casa, là dove praticabile, è chiaramente una scelta non ottimale, che complicherebbe ulteriormente la vita delle persone, delle aziende e delle amministrazioni, moltiplicando per due o per tre gli aggravi di procedure e costi.

Rimane ovviamente l’alternativa di interventi fatti “in economia”, al di fuori cioè del Superbonus e degli altri bonus – con quello che ne consegue in termini di qualità del lavoro e di ricadute economiche.

Conclusioni

Senza la possibilità di accedere a sconti in fattura e cessioni del credito, il Superbonus per le abitazioni unifamiliari è in fin di vita, se non già morto. I numeri lo certificano, almeno per quanto riguarda le case unifamiliari.

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