Come noto, il Decreto Rilancio da poco approvato dal governo dà la possibilità di efficientare le nostre abitazioni detraendo fiscalmente il 110% della spesa.
Il provvedimento identifica però vari tipi di interventi, attuabili contestualmente ad altri, come ad esempio l’installazione di un impianto fotovoltaico, e non sempre è facile decidere quale mix di interventi convenga di più e in base a quali criteri.
A tal proposito, Andrea Brumgnach, vicepresidente di Italia Solare, in un recente webinar sulle opportunità offerte dal decreto per le aziende fotovoltaiche, ha dato alcune indicazioni su come muoversi per massimizzare i benefici economici, energetici e ambientali della norma (anche QualEnergia.it ha organizzato per i propri abbonati un approfondimento online sulla misura mercoledì 27 maggio, ndr).
Abbiamo già parlato diffusamente dei singoli dettagli del decreto in una serie di articoli, quindi qui riassumiamo solo brevemente le varie voci, per cercare di capire soprattutto come possano interagire fra loro.
In estrema sintesi, il super ecobonus del 110% ha come presupposto di accesso che si effettui uno o più di questi tre tipi di intervento: l’isolamento termico delle superfici opache, la sostituzione di vecchie caldaie (centralizzate in condominio o autonome nelle singole abitazioni) e/o lavori di adeguamento antisimico.
Le vecchie caldaie possono essere sostituite, ha spiegato l’esperto, con caldaie a condensazione, pompe di calore o impianti di (micro) cogenerazione (anche se a dire il vero il testo del decreto non è chiarissimo sull’ammissibilità delle caldaie a condensazione a gas, si veda qui, ndr).
Se poi a questi interventi base si sommano altri interventi opzionali – ad esempio l’installazione di un impianto fotovoltaico (FV), un impianto di accumulo, una stazione di ricarica per veicoli elettrici, la sostituzione degli infissi, ecc. – allora la detrazione del 110% si può richiedere anche per questi ultimi, purché l’insieme dei lavori assicuri il miglioramento di almeno due classi energetiche dell’edificio, ovvero “se non possibile, il conseguimento della classe energetica più alta”.
Torneremo sul tema delle due classi o in certi casi anche di una sola in un prossimo articolo. Qui procediamo invece a illustrare il confronto fra le varie opzioni e i vari mix.
Secondo Brumgnach, i criteri da considerare sono: il risparmio in bolletta sia per il riscaldamento che la climatizzazione; l’autonomia energetica, intesa soprattutto come riduzione o eliminazione dei combustibili fossili (gas, gasolio e GPL); e l’integrabilità con le altre tecnologie, nel senso che se si decide di aggiungere un impianto fotovoltaico è sicuramente meglio prevedere un sistema di riscaldamento a pompa di calore elettrica, così che l’energia elettrica necessaria venga in gran parte prodotta dall’impianto FV, e possibilmente anche un sistema di accumulo per aumenta ancor di più la percentuale di autoconsumo.
Altri criteri da considerare sono la salute e la sostenibilità, nel senso che, a parità di soluzioni offerte, meglio preferire le soluzioni che eliminano rischi di danno alla salute e alla sicurezza personale, legati alla combustione, all’uso di gas infiammabili ed esplosivi e che producono emissioni inquinanti; e infine l’adozione di nuove tecnologie, nel senso che le soluzioni acquistate non devono essere già superate o diventarlo a breve, considerato che dovranno durare diversi anni.
Vediamo alcuni possibili abbinamenti di interventi base con interventi opzionali, con i relativi benefici economici ed energetici, nella tabella preparata da Andrea Brumgnach.
La realizzazione di un cappotto esterno è un intervento importante che, da solo, può arrivare anche a dimezzare la spesa per il riscaldamento, riducendola come minimo, indicativamente, del 20% e se si parte dalle classi di efficienza energetica più basse può valere da solo anche il salto a piè pari di due classi energetiche.
Il cappotto, da solo, però, non consente l’eliminazione dei combustibili fossili. Stesso discorso per una caldaia a condensazione, che oltre a non eliminare il problema delle emissioni, consente risparmi in bolletta solo del 10-15% e al massimo il salto di una classe di efficienza energetica.
Le caldaie a condensazione, tutto sommato, sono quindi soluzioni tecnologicamente superate, che in un contesto di transizione energetica e decarbonizzazione dovremmo mirare a sostituire sempre di più con soluzioni rinnovabili elettriche, privilegiando sistemi di riscaldamento a pompa di calore.
Anche soluzioni ibride con l’integrazione di una pompa di calore e una caldaia, sono meno che ideali, in quanto, sebbene offrano dei risparmi un po’ maggiori rispetto alla sola caldaia a condensazione e consentano il salto di una classe d’efficienza, non risolvono il problema di eliminare i combustibili dall’abitazione e richiedono la manutenzione di due diversi apparati.
Come accennato, quindi, le soluzioni migliori sono quelle che, oltre al cappotto esterno, prevedono un impianto a pompa di calore, nelle sue varie versioni, con risparmi cumulati in bolletta davvero importanti, superiori di regola al 50% e anche maggiori, poiché possono coprire sia la climatizzazione invernale che quella estiva e funzionare in sinergia con rinnovabili come il solare fotovoltaico o la geotermia.
Se si sceglie la soluzione solo pompa di calore con impianto a radiatori o fan-coil, secondo Brumgnach, bisogna prima verificare che possa produrre acqua sopra i 65°C e che il coefficiente di prestazione (COP) garantito a 65°C sia superiore a 3.
Se la pompa di calore viene usata per l’acqua calda sanitaria, si dovrà verificare la sussistenza di un COP garantito con temperatura dell’acqua a 55°C.
Sarà insomma importante mirare più in alto possibile, cioè puntare su soluzioni ormai consolidate, come le pompe di calore, tecnologicamente e energeticamente più efficaci rispetto ad altre tecnologie molto vetuste, se vorremo riqualificare un patrimonio immobiliare italiano che, per il 78% degli edifici residenziali, è stato costruito almeno 35 anni fa, e di cui oltre il 50% è in classe energetica G o F, cioè le più basse.