Superbonus 110%, cosa non sta funzionando secondo Federesco

Tempi incerti, burocrazia e qualche speculazione rischiano di pregiudicare una grande opportunità. Intervista a Claudio Ferrari, presidente di Federesco.

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Federesco ha contribuito al dibattito in corso sul Superbonus 110% nell’ambito dei diversi seminari a cui ha partecipato o organizzato.

Convegni che però difficilmente raggiungono l’ampia platea dei cittadini, degli operatori e delle PMI che invece avrebbero tutto da guadagnare dall’essere informati su regole, vantaggi e procedure per accedere agli incentivi.

Secondo il Presidente di Federesco, Claudio Ferrari, “c’è un problema di formazione e di informazione. Come già successo con il Conto Termico, dove abbiamo speso poco più di un terzo delle disponibilità, in Italia siamo soliti predisporre delle proposte e degli incentivi anche validissimi che però non si trasformano in progetti e attività e non danno quindi i risultati auspicati”.

“Nonostante ci sia almeno un webinar la settimana in cui se ne parla – continua – il Superbonus resta un argomento di nicchia. Quello che abbiamo organizzato che ha visto la partecipazione di centinaia di operatori, non ha potuto tuttavia rispondere ai quesiti che gli addetti ai lavori si pongono quotidianamente”.

La formazione e l’informazione hanno bisogno di tempo per essere recepite e sedimentate sia dagli operatori che dai beneficiari degli interventi.

Occorre poi considerare la capacità del settore di far fronte a una considerevole richiesta di interventi, in un tempo breve e incerto. Progetti con scarsa programmazione e con un breve respiro temporale sembrano più facilmente destinati a fallire, rischiando, anche, di agevolare le speculazioni.

Presidente Ferrari, quanto incide la mancanza di un orizzonte temporale certo per far decollare i progetti coperti dal 110%?

È il problema principale. L’avvio dei progetti richiede un orizzonte temporale adeguato e noto, soprattutto se si considera la complessità delle procedure per accedere all’incentivo, giustificata peraltro dalla opportunità di gestire adeguatamente i fondi pubblici.

Quanta parte del problema risolve la proroga al 2023 entrata in vigore l’8 maggio scorso con il DL 6 maggio 2021, n. 59 per alcune tipologie di condomini, le persone fisiche e alcune tipologie di edifici di loro proprietà, oltre agli edifici dello IACP?

Risolve solo una parte del problema. Se si considera che per l’edilizia pubblica i tempi per la definizione delle gare sono biblici, si tratta semplicemente di un atto di buon senso.

Ci sono poi i rapporti con le pubbliche amministrazioni per istruire le partiche. Quali sono i problemi?

Qui il problema è quello dell’acceso ai certificati edilizi e catastali con cui la PA deve attestare la regolarità degli edifici su cui si va ad intervenire. In una situazione dove è comunque difficile recuperare documenti relativi ad immobili a volte inesistenti per il catasto, il lockdown non ha aiutato e l’aumento delle richieste ha messo in crisi le Amministrazioni locali, che non rispondono.

Certo la burocrazia non aiuta…

Giustamente la legge chiede che tutti gli immobili debbano essere urbanisticamente in regola e i Comuni, cui bisogna rivolgersi per verificare le conformità urbanistiche degli edifici, sono in perenne arretrato nelle risposte, anche di sei mesi, bloccando così l’inizio di qualsiasi percorso.

Federesco ha intrapreso delle iniziative per abbreviare i tempi e colmare il gap informativo degli operatori

Per agevolare il processo nel rispetto delle regole, per i nostri associati e i loro clienti abbiamo lanciato il progetto Federesco Condominium, certificato ISO 9001, con il quale eroghiamo “Servizi di consulenza e assistenza tecnica-operativa per la realizzazione di interventi volti all’ottenimento degli incentivi fiscali nell’ambito della riqualificazione edilizia”.

Grazie a questo servizio possiamo tutelare tutti gli stakeholder, garantendo progetti pressoché ineccepibili rispetto a tutti i requisiti necessari per il loro buon esito. Si tratta di un’iniziativa che si inserisce nel solco dei tanti nostri contributi, spesso inascoltati, ma sempre finalizzati a contribuire alla messa a terra di normative che altrimenti faticano a trasformarsi in progetti, attività e risultati.

C’è poi il problema dell’accesso al credito.

Per accedere ai contributi bisogna rivolgersi alle banche, con ulteriore dispendio di tempo e con il rischio di non avere il credito. Fanno eccezione i grandi gruppi, che hanno risorse finanziarie e non devono accedere al credito bancario, e se lo fanno dettano loro le condizioni, senza un intermediario che verifichi i progetti.

Le banche hanno reagito meglio dei Comuni all’eccesso di richiesta?

Le banche non erano certo organizzate per questa attività, nuova per loro. Hanno affidato le due diligence a famose società di consulenza omnibus che, a detta degli operatori, si sono trovate a dover rispondere ai quesiti più vari. Anche se hanno assunto centinaia di neolaureati, pur bravi ma senza esperienza, si sono creati dei ritardi anche in questo ambito.

Anche in questo caso avete preso un’iniziativa a supporto dei vostri associati?

Abbiamo siglato un accordo con il Monte dei Paschi grazie al quale i nostri associati, supportati da un nostro team interno dedicato, si rivolgono alla banca con progetti già verificati, in questo modo accelerando di molto l’iter.

Quali erano le aspettative in termini di business atteso e a che punto siamo?

La legge prevede 18 miliardi di crediti fiscali da erogare nei due anni, ma ne sono stati spesi poco più di un miliardo, peraltro divisi in 10-12mila pratiche che significa 100mila euro a pratica. Piccoli interventi, dunque, in particolare se consideriamo la complessità di cui abbiamo detto.

Poco più di una pratica per ogni Comune italiano?

Da un punto di vista geografico, potremmo considerare poco più di una pratica per Comune ma nella realtà gli interventi si sono concentrati al nord, se si esclude qualcosa a Roma. Sarà pertanto difficile arrivare a utilizzare i 18 miliardi e nel poco e incerto tempo a disposizione saranno comunque privilegiati gli interventi più piccoli, che si presume potranno essere completati in un tempo inferiore rispetto a quelli più consistenti. I piccoli impresari fanno i piccoli progetti ma non c’è la massa critica sufficiente.

Come si stanno muovendo i grandi gruppi?

Anche Enel, Eni, Snam sono in difficoltà perché faticano a trovare le imprese a cui subappaltare i lavori: le imprese strutturate hanno già il loro bacino di utenza, mentre le nuove imprese edili, molte delle quali di recente costituzione, spesso non riescono a garantire serietà e competenza.

A conti fatti, quindi, siamo in una situazione di impasse?

Considerando che un intervento in una palazzina media potrebbe valere 2 milioni e che invece fino a questo punto abbiamo fatto pratiche da 100mila euro, è chiaro che qualcosa non sta funzionando sui grandi numeri. Questo a scapito dello spirito della legge, che prevedeva un efficientamento energetico del nostro patrimonio edilizio, mentre nella maggior parte dei casi si sono fatte operazioni di cambio caldaie e di un minimo di cappotto, il 25% di quanto previsto per accedere al Superbonus.

Problemi per l’approvvigionamento dei materiali?

Si sta verificando un aumento dei prezzi di prodotti fondamentali quali i ponteggi e i materiali isolanti per i cappotti e non è chiaro se si tratti della legge di mercato o della speculazione di qualche operatore.

Qual è l’appello di Federesco al legislatore, quali le condizioni per fare atterrare i progetti, nonostante tutto?

Abbiamo scritto al Presidente del Consiglio e ai ministri interessati chiedendo la certezza della proroga almeno al 2023, se non al 2025, per tutti e alle stesse condizioni. Successivamente, per non perdere il grande interesse degli operatori e dei cittadini, abbiamo proposto che sia reso strutturale tale bonus, magari riducendolo al 95%.

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