La quantistica è una dimensione della fisica che sta coinvolgendo sempre più settori scientifici e potenziali applicazioni pratiche: fra queste c’è anche quella delle batterie.
Per quanto le batterie quantistiche siano una branca molto giovane della scienza, limitata finora ai soli laboratori di ricerca, già si intravedono delle importanti potenzialità per i principi base che la sottendono.
Ricercatori di un po’ tutto il mondo stanno cercando di individuare e definire meglio tali principi, per poterne consentire lo sfruttamento anche in ambito commerciale e industriale.
La definizione di “batteria quantistica” copre in realtà uno spettro molto ampio di possibili “fenomeni energetici” nella sfera dell’infinitamente piccolo, dove non sempre valgono le leggi della fisica classica.
Facciamo qui due esempi di studi in corso sulle batterie quantistiche: uno da parte di ricercatori italiani del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), in collaborazione con atenei come il Politecnico di Milano, e un altro da parte di studiosi dell’Università di Tokyo e di un istituto cinese.
Super-assorbimento
Tersilla Virgili dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Cnr e Giulio Cerullo del Politecnico di Milano hanno dimostrato che è possibile fabbricare un tipo di batteria quantica dove il potere di ricarica aumenta più velocemente al crescere delle dimensioni della batteria.
I ricercatori hanno definito questo fenomeno come “super-assorbimento”, e sono riusciti a dimostrarlo utilizzando non i classici materiali a cui si pensa normalmente per le batterie, come il litio, ma materiali organici a base di carbonio, energizzati non con la corrente elettrica, ma direttamente dai raggi del sole.
Non c’è bisogno di fare particolari voli di fantasia per intuire quanto potrebbe essere importante riuscire a creare una batteria elettrica basata su materiali organici invece che su minerali più o meno rari e capace di immagazzinare direttamente la luce del sole, senza l’intermediazione di una fonte di generazione di corrente, e senza cablaggi.
In altre parole, uno dei vantaggi sarebbe che non si dovrebbe usare prima, per esempio, un modulo fotovoltaico separato che produce la corrente e poi un altro apparato che la immagazzini. Qui farebbe tutto direttamente la batteria quantistica, capace di un effetto fotovoltaico suo proprio. Nell’illustrazione, una raffigurazione del dispositivo usato dal CNR e dal Politecnico.
Il materiale usato dai ricercatori italiani è ritenuto quantistico poiché la sua fisica può approssimare contemporaneamente i valori di 0 e 1.
Nello studio del Cnr e del Politecnico, ogni molecola rappresenta, cioè, un’unità che può esistere contemporaneamente in uno stato di sovrapposizione o super-posizione quantistica di due livelli di energia: fondamentale ed eccitato, al contrario di molecole funzionati in regime di fisica classica, che non possono rivestire due stati opposti nello stesso momento.
E questo è uno stato simile al modo in cui un qubit, l’unità base dell’informazione quantistica, può avere contemporaneamente un valore sia di 0 che di 1 nei computer quantistici, hanno spiegato i ricercatori.
“Mettere tante molecole insieme, caratterizzate da questa sovrapposizione, questa contemporaneità fra 0 e 1, fa sì che nel momento in cui io immetto energia nel sistema, più molecole ci sono e più velocemente il sistema assorbe energia”, ha detto Tersilla Virgili a QualEnergia.it.
“Non è un processo classico, dove ad ogni molecola corrisponde un fotone assorbito. L’accoppiamento fra i due stati delle molecole fa sì che non ci sia un rapporto uno a uno. Infatti, in particolari condizioni, se io ho 10.000 molecole, il tasso di assorbimento dei fotoni è molto più alto rispetto ad averne uno solo. Questo permette, almeno teoricamente, di avere batterie con un caricamento quasi istantaneo”, ha aggiunto.
In altre parole, le batterie quantiche studiate dal Cnr, i cui risultati sono stati pubblicati su Science Advances, “presentano una proprietà contro-intuitiva in cui il tempo di ricarica è inversamente correlato alla capacità della batteria e cioè alla quantità di carica elettrica immagazzinata”, ha spiega Virgili.
Paradossalmente, quindi, più grande è la batteria, più velocemente si ricaricherebbe. “Ciò porta all’idea intrigante che il potere di carica delle batterie quantiche sia super-estensivo e cioè che aumenti più velocemente delle dimensioni della batteria”, secondo la ricercatrice.
Una batteria quantica costruita in modo che le unità possano esistere in sovrapposizione può comportarsi collettivamente, consente cioè alle unità di agire in modo cooperativo, dando origine a una carica iper-veloce che dipende dal numero delle molecole-unità.
Il gruppo italiano, dopo aver dimostrato il super-assorbimento di cui potrebbe essere capace questo tipo di batteria quantistica, sta cercando di chiudere il cerchio studiando l’altra funzione chiave di una batteria, e cioè il rilascio dell’energia, per capire che tipo di durata e cicli potrebbe avere.
Ordine causale indefinito
Spostandosi in Asia, per la prima volta, alcuni ricercatori dell’Università di Tokyo, hanno sfruttato un processo quantistico poco intuitivo che ignora la nozione convenzionale di causalità per migliorare le prestazioni delle batterie quantistiche, avvicinando un po’ di più questa potenziale tecnologia alla realtà.
Anche Yoshihiko Hasegawa e Yuanbo Chen, del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e della Comunicazione dell’Università di Tokyo, stanno studiando come caricare una batteria quantistica, basandosi su princìpi generali simili a quelli usati dai loro colleghi italiani, pur declinati in maniera molto diversa.
“Le attuali batterie per dispositivi a bassa potenza, come gli smartphone, utilizzano tipicamente sostanze chimiche come il litio per immagazzinare la carica, mentre una batteria quantistica utilizza particelle microscopiche come atomi posizionati in serie“, ha detto Chen.
Lo scienziato giapponese si è detto particolarmente interessato al modo in cui le particelle quantistiche possono lavorare per violare una delle esperienze umane più fondamentali, quella del tempo.
In collaborazione con Gaoyan Zhu e Peng Xue del Centro di ricerca sulle scienze computazionali di Pechino, il gruppo di lavoro ha sperimentato come caricare una batteria quantistica usando apparecchi ottici come laser, lenti e specchi.
I ricercatori hanno sperimentato un nuovo effetto quantistico che hanno chiamato “ordine causale indefinito”, o ICO, che si basa a livello puramente concettuale su alcune delle peculiarità quantistiche sfruttate anche dai ricercatori italiani.
Nella fisica classica, la causalità segue un percorso chiaro: se l’evento A porta all’evento B, allora la possibilità che B causi A è esclusa. Tuttavia, su scala quantistica, l’ICO consente l’esistenza contemporanea di entrambe le direzioni della causalità, simile concettualmente alla super-posizione quantistica incontrata prima fra stato fondamentale (0) ed eccitato (1) delle particelle, dove due stati opposti possono essere contemporaneamente veri.
Anche i ricercatori giapponesi sembrano aver riscontrato un effetto inversamente proporzionale nella dinamica di funzionamento della loro batteria quantistica.
L’intuizione comune suggerisce che un caricabatterie più potente si traduca in una batteria con una carica più forte. Tuttavia, la scoperta derivante dall’ICO introduce un’inversione in questa relazione: è cioè possibile caricare una batteria più energetica con una potenza significativamente inferiore.
“Con l’ICO abbiamo dimostrato che il modo in cui si carica una batteria composta da particelle quantistiche può avere un impatto drastico sulle sue prestazioni“, ha dichiarato Chen.
“Abbiamo visto enormi guadagni sia nell’energia immagazzinata nel sistema che nell’efficienza termica. E, in modo un po’ controintuitivo, abbiamo scoperto l’effetto sorprendente di un’interazione che è l’inverso di quello che ci si potrebbe aspettare: un caricatore a bassa potenza può fornire energie più elevate con maggiore efficienza rispetto a un caricatore a potenza comparabilmente più elevata che utilizza lo stesso apparecchio”, ha detto il ricercatore.
Il fenomeno dell’ICO potrebbe trovare impiego anche al di là della ricarica di una nuova generazione di dispositivi a bassa potenza.
I principi sottostanti, compreso l’effetto di interazione inversa, potrebbero migliorare le prestazioni di altri processi che coinvolgono la termodinamica o che implicano il trasferimento di calore. Un esempio è quello dei moduli fotovoltaici, dove gli effetti del calore possono ridurne l’efficienza, e dove l’ICO potrebbe essere usato per mitigarli e portare a un aumento dell’efficienza, hanno concluso i ricercatori nipponici.
Tempi di sviluppo
Viste le potenzialità che emergono dalla ricerca nelle batterie quantistiche, quando è che la sperimentazione potrebbe uscire dai laboratori e cominciare il viaggio verso lo sviluppo di prototipi e poi la vendita di prodotti commerciali veri e propri?
“Dipende anche dai fondi che avremo per sviluppare queste tecnologie, ma ci vorranno come minimo 5-10 anni prima di arrivare a un telefonino con una batteria quantistica. Non è qualcosa per adesso. Poi magari saremo molto fortunati e becchiamo l’effetto giusto, però non è semplice. Nel momento in cui ti rendi conto che hai sbagliato qualcosa, devi ricominciare daccapo”, ha concluso Tersilla Virgili.