Sul clima Fiat Chrysler e grandi gruppi auto predicano bene e razzolano male

Secondo un'inchiesta del Guardian, FCA è la più contraria alle misure per la riduzione delle emissioni nocive.

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Quando si tratta di adottare provvedimenti concreti ed efficaci per la lotta alla crisi climatica, i grandi gruppi automobilistici predicano bene e razzolano molto male. È questa la conclusione cui è arrivato The Guardian in un’inchiesta.

Secondo il quotidiano britannico, le case automobilistiche, prima fra tutte Fiat Chrysler, continuano a opporsi con forza alle misure volte a regolare e ridurre le emissioni del settore trasporti – responsabile del 15% delle esalazioni mondiali di gas serra – e a rallentare la transizione ai veicoli elettrici.

Se da una parte, infatti, l’industria automobilistica rilascia dichiarazioni pubbliche a sostegno di molte iniziative per il clima, dall’altra, società come Fiat Chrysler, Ford, Daimler, BMW, Toyota e General Motors, negli ultimi quattro anni, hanno investito milioni di dollari, attraverso enti di settore e attività di lobbying, per mettere i bastoni fra le ruote ai tentativi di limitare il surriscaldamento a 1,5° C, come deciso nell’accordo di Parigi.

Lo studio è stato condotto da InfluenceMap, un gruppo di ricerca indipendente, nell’ambito del progetto giornalistico The Polluters (gli inquinatori) avviato da The Guardian.

Le evidenze si basano sulla valutazione di decine di migliaia di dichiarazioni, annunci e campagne di lobbying da parte delle 250 maggiori società industriali e associazioni di categoria.

“Le società hanno un profondo impatto sull’agenda dei cambiamenti climatici non solo attraverso le emissioni fisiche ma influenzando le agende politiche sui cambiamenti climatici introdotte dai governi di tutto il mondo,” ha detto Edward Collins, autore di The Carbon Policy Footprint.

“Il settore ha puntato i piedi contro la limitazione delle emissioni dei veicoli e gli standard di risparmio di carburante. Con la loro attività di lobbying, le case automobilistiche hanno ritardato la transizione di un settore che assorbe un’enorme percentuale della domanda di petrolio a livello globale.”

Fiat Chrysler è stata classificata la più contraria alle normative e alle iniziative sul cambiamento climatico, ha detto Collins. La società è un “attore chiave” negli sforzi del settore per indebolire gli standard statunitensi sulle auto pulite, noti come standard CAFE, stabiliti da Barack Obama, che quasi raddoppierebbero il risparmio di carburante dei veicoli entro il 2025.

Fiat Chrysler ha infatti sostenuto la revisione al ribasso degli standard CAFE, ora al vaglio dell’attuale presidente USA, Donald Trump. Anche General Motors e Ford hanno adottato comportamenti analoghi, secondo lo studio.

Fiat Chrysler, interpellata in merito da The Guardian, ha risposto che “FCA sostiene la scelta politica a favore dei continui miglioramenti del risparmio di carburante, ma tale politica deve basarsi sulle realtà di mercato per come si sono evolute dal 2012. Aziende e governi prendono decisioni sulla base delle migliori informazioni a disposizione in un certo momento, ma devono anche essere abbastanza agili da modificare i propri piani quando cambia la realtà sul campo “.

In generale, tutte le case automobilistiche sentire da The Guardian hanno risposto di essersi impegnata a ridurre le emissioni e a spostare le proprie flotte verso modelli a emissioni ridotte, ma che la transizione ha dovuto tenere conto di altri fattori, come le realtà di mercato, le preferenze dei clienti e lo stadio di sviluppo delle infrastrutture.

Le emissioni medie delle auto europee dovranno scendere a 95 g/km entro il 2021, con sanzioni previste di 95 euro per g/km, per auto, per le aziende che non raggiungono tali obiettivi. Ma i dati della UE mostrano che l’industria automobilistica è ancora lontana da tale obiettivo: le emissioni di CO2 delle nuove auto sono infatti aumentate nel 2018 dell’1,6% a 120,4 g/km.

Tale incremento è coinciso con l’aumento delle vendite europee di SUV, che generano emissioni maggiori rispetto ad altri veicoli più piccoli. I SUV rappresentano un terzo delle auto nuove vendute in Europa, rispetto al 7% nel 2008.

Secondo Julia Poliscanova, direttrice della ONG Transport & Environment, l’industria automobilistica sta cercando di spremere gli ultimi profitti dalle motorizzazioni tradizionali, frustrando gli obiettivi di riduzione delle emissioni e mettendo in discussione ogni aspetto della tecnologia elettrica, usando come argomenti le preoccupazioni circa l’accessibilità economica per i consumatori e i dubi sulla rapidità nello sviluppo delle infrastrutture elettriche.

“L’industria automobilistica ha sempre massimizzato i suoi profitti dai suoi modelli e prodotti esistenti il ​​più a lungo possibile per fare soldi, ritardare e aggirare i regolamenti”, ha detto Poliscanova a The Guardian.

“Conoscono da anni – dal 2013 – gli standard sulle emissioni per il 2021. Hanno avuto anni per prepararsi, ma non lo hanno fatto. Hanno invece continuato a spingere i SUV, massimizzato le vendite di quel tipo di veicoli altamente inquinanti per trarre profitto da questi modelli ad alto margine il più a lungo possibile, e ora si trovano in affanno nel rispettare le regole, accampando ragioni su quanto sia difficile raggiungere gli obiettivi. In realtà la colpa è solo loro.”

InfluenceMap ha identificato 33 società come i maggiori oppositori alle azione per ridurre i cambiamenti climatici. Sei sono case automobilistiche e il resto principalmente compagnie petrolifere e del gas, nonché aziende energetiche.

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