Viviamo in questi anni un profonda e diffusa trasformazione del settore lighting – illuminazione di ambienti interni ed esterni – dovuta principalmente all’avvento della tecnologia LED. La nuova generazione dei diodi luminosi sta gradualmente subentrando alle sorgenti luminose convenzionali, a filamento incandescente e a scarica, in tutti i possibili ambiti della progettazione illuminotecnica. Recenti studi (rapporto della McKinsey & Company “Lighting the way: perspectives on the global lighting market” pubblicato nel luglio del 2011) prevedono che nel 2016 la penetrazione dei LED nel mercato del general lighting arriverà al 43%. Attualmente, a livello mondiale, gli impianti a tecnologia LED coprono circa il 7% di tutto il mercato.
C’è dunque da chiedersi quali siano le cause di questo incremento: perché il diodo luminoso si sta diffondendo con tanta forza? La risposta sta nei vantaggi offerti. In sintesi, rispetto ai prodotti tradizionali – vale a dire le lampade a filamento incandescente, a ciclo di alogeni, fluorescenti e a scarica – si riduce sensibilmente la quantità di materiali, le risorse e l’energia impiegati nella fabbricazione del prodotto. A parità di flusso luminoso reso la differenza negli ingombri e nei pesi rispetto alle lampade tradizionali è sempre rilevante. Questo drastico ridimensionamento dell’artefatto industriale agevola e semplifica l’approvvigionamento delle materie prime, il ciclo della fabbricazione (completamente automatizzato, senza alcun intervento manuale), la movimentazione, l’imballaggio, il trasporto, la distribuzione commerciale, l’immagazzinaggio, la logistica, la dismissione.
Altra positiva novità: il LED non emette radiazioni ultraviolette e infrarosse ma solo radiazioni visibili. Al suo interno non ci sono sostanze tossiche e nocive all’uomo e all’ambiente, come mercurio, piombo, cadmio, sostanze che invece sono presenti in lampade tradizionali molto diffuse.
Benefici consistenti si hanno per quanto riguarda i consumi energetici, grazie all’efficienza elevata. In pratica è sufficiente poca potenza elettrica per avere molta luce. Molto lunga è la durata media di vita; il ciclo di vita di un prodotto LED è circa cinque volte superiore a quello delle migliori lampade attualmente sul mercato. Infine, le basse potenze e i minimi ingombri aprono il campo all’uso modulare della fonte luminosa con positive ripercussioni sulla flessibilità d’uso dell’impianto di illuminazione (facilità di parzializzazione, customizzazione, regolazione del flusso luminoso, gestione del colore).
Ma come funziona il diodo luminoso? Nel quadro generale delle sorgenti luminose il LED è considerato una sorgente “allo stato solido”. In altre parole l’elemento che genera luce è un piccolo corpo solido (il cosiddetto “chip”), una sorta di minuscolo dado costruito in materiale semiconduttore opportunamente trattato (soggetto a processi di drogaggio). Il chip è composto da due parti o regioni: una ricca di elettroni (regione N) e un’altra che invece presenta molti vuoti, o lacune, al posto degli elettroni (regione P) (Figura 1).
Figura 1 – Schematicamente l’interno del chip è composto dalle due regioni P e N.
Le due parti sono unite e ciascuna di esse è collegata a un elettrodo (Figura 2).
Figura 2 – Prima di immettere corrente nel chip gli elettroni migrano dalla regione N alla P creando la zona di svuotamento.
Applicando una piccola differenza di potenziale elettrico agli elettrodi (poche unità di volt) si ottiene un transito di elettroni dalla regione N alla P (Figura 3).
Figura 3 – Applicata una differenza di potenziale si ottiene il flusso di elettroni che genera radiazioni luminose.
Cadendo nelle lacune della regione P gli elettroni provenienti dalla regione N perdono energia sotto forma di radiazioni visibili che si propagano intorno al chip. Le radiazioni emesse sono monocromatiche, ossia appaiono di un certo colore (rosso, arancio, ambra, verde, ciano, blu) in funzione del tipo di materiale semiconduttore impiegato nella costruzione del chip (Figura 6 – Diagramma degli spettri per LED a banda stretta (monocromatici, linee colorate) e LED a luce bianca – linea nera).
Per ottenere luce di tonalità bianca, utile per illuminare gli ambienti, di solito si utilizza un chip che emette luce di colore blu che viene trasformata in un mix di radiazioni visibili da un sottile rivestimento a base di fosfori che ricopre il chip.
Per funzionare correttamente e dare tutti i vantaggi che abbiamo indicato, il diodo luminoso deve essere alimentato in bassissima tensione, con corrente continua costante e mantenendo all’interno del chip, nella zona di giunzione delle due regioni, la minore temperatura possibile (Figura 7 – Sistema LED composto da alimentatore, collegamenti elettrici, circuiti stampati, LED, ottiche).
Un eventuale surriscaldamento, dovuto all’accumulo di calore, altera l’emissione di luce oltre a ridurre la durata di vita del LED. A questo scopo è necessaria l’adozione di componenti capaci di dissipare il calore prodotto dal flusso di elettroni (Figura 8).
Figura 8 – Sezione di un Power LED con evidenziata la base che svolge il ruolo di primo dissipatore termico.
Indicativamente rispetto a un livello termico normale per un ambiente abitato (25 – 30 °C in ambienti interni), la temperatura della giunzione del chip dovrebbe mantenersi nell’intervallo tra 70 e 90 °C.
Il LED, a differenza delle sorgenti citate, è sicuramente più influenzato dalle condizioni di alimentazione e al contorno. Come si vedrà, sono molti i parametri fisici da controllare. Sotto questo aspetto il LED richiede al progettista maggiore attenzione nell’individuare le condizioni effettive in cui si troverà a rendere il proprio servizio e nell’imporre e mantenere quelle più adatte.
Tale dipendenza del LED dal contesto implica l’impiego di una serie di componenti che vanno a comporre un aggregato coerente a cui si può dare la definizione di “sistema LED”. Si parla di “sistema” giacché sia le componenti che le loro interrelazioni possono variare nell’ambito di una logica che è finalizzata a trarre dalla sorgente le prestazioni attese. In pratica, il LED deve il suo corretto funzionamento ai rapporti reciproci che si instaurano tra specifiche componenti del sistema. Ciò che veramente conta, evidentemente, sono le prestazioni che il diodo luminoso è in grado di esprimere e, pertanto, ogni componente svolge un ruolo determinante nell’ambito del sistema.
In modo schematico, il sistema LED è composto da:
- la sorgente LED per l’emissione del flusso luminoso;
- il circuito stampato per il supporto e l’ancoraggio meccanico, per la distribuzione dell’energia elettrica fornita dall’alimentatore, per il primo contributo alla dissipazione termica;
- uno o più alimentatori per la fornitura di corrente elettrica a un dato valore di tensione;
- uno o più dissipatori termici per lo smaltimento del calore prodotto dal LED;
- i dispositivi ottici, o semplicemente le “ottiche” (“primarie” all’interno del packaging e “secondarie” all’esterno), per la formazione del solido fotometrico.
4. LE PRESTAZIONI DI MAGGIORE INTERESSE
Quanta luce producono i diodi luminosi? L’efficienza luminosa, ossia il flusso luminoso reso per ogni watt assorbito, si attesta attualmente su valori compresi tra circa 60 lm/W e 120 lm/W. Ma si tratta di dati molto indicativi che variano in incremento con notevole rapidità. Importanti case produttrici di semiconduttori stimano che tra circa quattro anni saranno raggiunti valori di efficienza ben superiori, intorno ai 150 lm/W (Figura 9). Si può dire che già oggi il LED si colloca nella fascia delle lampade a luce bianca con ottima efficienza.
Figura 9 – Il diagramma mostra l’incremento anno per anno dell’efficienza luminosa di LED monocromatici e bianchi (documentazione Seoul Semiconductor).
Una delle caratteristiche più interessanti dei LED è data proprio dal comportamento energetico. Tutte le lampade tradizionali, e in particolare quelle a filamento (a incandescenza e a ciclo di alogeni) erogano calore sotto forma di radiazioni infrarosse. Anche il LED produce calore ma si tratta di energia termica che dal chip si trasmette per conduzione alla base del LED. Questo calore interessa le parti meccaniche del LED ed è un calore che deve essere attentamente controllato per evitare danni alle piccole componenti di materiale plastico (le micro ottiche primarie) e di materiale metallico per la conduzione della corrente elettrica.
Ma questo riscaldamento non riguarda gli oggetti illuminati: ciò che viene illuminato, infatti, si riscalda se è investito da radiazioni infrarosse. La luce del LED, dunque, potrebbe essere definita luce fredda ed è praticamente priva di radiazioni ultraviolette. L’emissione è contenuta nell’intervallo di lunghezze d’onda compreso tra 380 e 780 nm.
La luce a basso contenuto termico è molto utile, come si è detto, in tutte le situazioni in cui l’oggetto da illuminare non può tollerare alcun tipo di riscaldamento: pensiamo agli alimenti, a tutto ciò che è fatto con materiali di origine organica (vegetazione, animali), ma anche ai beni culturali in esposizione che si deteriorano a causa dell’innalzamento di temperatura.
Stando alle dichiarazioni dei costruttori, la durata del LED è molto lunga, ben oltre quella delle migliori lampade a scarica: 100 000 ore con una riduzione del flusso, a fine vita, di circa il 50%. Questo dato è frutto di estrapolazioni ed è comunque riferito a condizioni ideali di funzionamento che ben difficilmente si verificano nelle comuni installazioni, specialmente quelle in ambienti esterni. In pratica si riscontrano valori intorno alle 50 000 – 60 000 ore con la sorgente in condizioni di lavoro ottimali, con una riduzione del flusso del 30% (Figura 10).
Figura 10 – Il diagramma mostra l’andamento della durata media di vita in funzione della temperatura di giunzione e del decadimento del flusso luminoso (documentazione Cree).
Molte sono le variabili che determinano l’effettiva durata di vita del LED. Il mancato smaltimento del calore generato dal chip provoca surriscaldamenti che penalizzano pesantemente la durata di vita. Inoltre, un cambiamento dei valori della corrente di alimentazione può ridurre notevolmente questo dato. Forti variazioni di corrente possono causare lo spegnimento nel volgere di poche ore. Pertanto è assolutamente necessario stabilizzare i parametri dell’alimentazione elettrica insieme a quelli termici utilizzando appositi dissipatori alla base del LED. Si consideri poi che il materiale plastico che ricopre il chip tende a opacizzarsi per gli effetti del piccolo residuo di raggi ultravioletti emesso dal chip. Il LED non si spegne ma il flusso luminoso subisce un decadimento. Molta importanza, dunque, riveste il montaggio del LED, o packaging.
Si può dire, in conclusione, che tutto ciò che attualmente i nuovi LED promettono si ottiene solo alla condizione di gestire con grande cura tutti i parametri del loro corretto funzionamento che abbiamo analizzato in rapida sintesi. Le marcate differenze (dimensionali, di funzionamento e di gestione) con le lampade tradizionali (a filamento e a scarica) richiedono specifiche competenze sia ai progettisti di apparecchi e di impianti, sia agli installatori.
6. LA TIPOLOGIA DEI PRODOTTI LED
La diffusione del diodo luminoso ha determinato in pochi anni una notevole diversificazione dell’offerta. Oggi assistiamo a un continuo ampliamento della gamma e all’avvento di nuove configurazioni del cosiddetto “sistema LED”, vale a dire quell’aggregato coerente di componenti intorno alla vera e propria fonte di luce: alimentatori, driver, circuiti stampati, dissipatori termici, ottiche. Molti progressi sono stati fatti dai tempi del LED a capsula semisferica (diametri 5 o 3 mm) con i tipici elettrodi filiformi, destinati ad essere inseriti in fori praticati su un circuito stampato. Il LED THT (Through Hole Technology), il tipo originario risalente agli 60 (Figura 4), è destinato ad essere usato prevalentemente come spia luminosa o come piccola fonte luminosa per display, cruscotti, schermi di vari formati. La funzione principale è dunque segnaletica, non illuminotecnica.
Figura 4 – Tipico LED THT di segnalazione con capsula da 5 mm di diametro.
Il vero rinnovamento, per quanto attiene all’illuminazione di ambienti, si è avuto negli anni Novanta con un tipo di diodo dalle dimensioni più ridotte rispetto al tipo THT e con diversa struttura. Ci riferiamo al LED SMT (o SMD), acronimo da Surface Mounted Technology (Figura 11).
Figura 11 – LED SMT in modulo a striscia luminosa (documentazione e produzione Osram).
Si distingue per il corpo molto compatto con la base piatta, adatta per il posizionamento sulla faccia superiore di un circuito stampato. Gli elettrodi sono in posizione laterale. Diventa possibile utilizzare circuiti stampati su base isolante di ridotto spessore ed effettuare le micro-saldature non più manualmente ma con macchinari automatizzati, rendendo in tal modo l’assemblaggio più veloce e meno costoso. Il tutto si presenta come un minuscolo box o una striscia con una faccia da cui viene emessa la luce e la faccia opposta, o laterale, che funge da base di appoggio e di dissipazione termica.
Questa forma molto compatta si presta bene per realizzare moduli lineari, strisce luminose o light strip, composte da micro-aree luminose disposte a intervalli regolari, generalmente senza componenti ottiche applicate. Le potenze assorbite per singolo diodo SMT sono generalmente inferiori all’unità di watt.
Un indirizzo dell’attuale ricerca tecnologia tra i più seguiti tende a conciliare le piccole dimensioni del chip con la generazione di radiazioni di alta potenza. Ma estrarre molti lumen da un corpo minuscolo comporta l’incremento di energia termica nel semiconduttore. L’accumulo di calore riduce il flusso erogato a parità di corrente elettrica. Occorre, dunque, corredare il LED ad alto flusso di un efficace sistema di dissipazione termica.
Un modo alternativo per affrontare tale problematica è rappresentata dai LED in array, cioè da matrici o serie di piccoli chip inseriti in un packaging fornito di un solo rivestimento piano a fosfori (Figura 12 – Array LED – documentazione e produzione Bridgelux) e Figura 13 – I disegni mostrano le dimensioni di due array LED – documentazione Bridgelux).
Si perdono così le ridotte dimensioni del LED SMT, ma si guadagna una bassa resistenza termica complessiva, nei casi migliori dell’ordine dei decimi di °C/W, e flussi maggiori rispetto a quelli dei comuni LED. La resistenza termica dei LED array è minore sia per la conformazione a matrice, sia per il piccolo spessore del packaging.
Un LED a 3000 K di temperatura di colore, con indice di resa cromatica (CRI) pari a 82 e potenza assorbita di circa 20 W può erogare un flusso di circa 1200 lm a 60 °C di temperatura del corpo del LED, con un’efficienza luminosa di 60 lm/W che arriva a 80 lm/W quando le temperatura sale a 4100 K (mentre l’indice CRI scende a 80).
Se cresce l’estensione del corpo che emette luce la sorgente reale non è più assimilabile al modello della sorgente puntiforme. Diventa quindi complesso disegnare un’ottica che ottimizzi il rendimento luminoso. Si consideri, tuttavia, che paragonando il LED array a sorgenti convenzionali di pari flusso il calcolo della superficie emittente resta a favore del primo. Sono molti i casi in cui è necessario avere una sorgente che diffonde luce con un ampio angolo di apertura del fascio. Il LED array viene installato nel corpo delle vecchie lampadine a filamento incandescente a ciclo di alogeni con ottica incorporata. Sono prodotti proposti per il relamping: ricambio delle sorgenti tradizionali alle stesse condizioni di alimentazione elettrica con lampade integrate forniti dello stesso attacco.
Con il termine Power LED (o LED di potenza) si indica un diodo luminoso alimentato a bassissima tensione, con potenza generalmente uguale o superiore a 1 W, che è in grado di trasformare l’energia elettrica in luce e calore (Figure 14 e 15). Sono impiegati nell’illuminazione di ambienti interni ed esterni. I flussi luminosi resi oscillano solitamente tra i 50 e i 300 lumen, in funzione della potenza assorbita.
Figura 14 – Power LED di ultima generazione, potenza 1 W. Il diametro della base misura 8 millimetri. Le parti metalliche più lunghe sono gli elettrodi, quelle più corte contribuiscono alla dissipazione termica.
Figura 15 – Power LED multichip (documentazione e produzione Osram).
L’incremento della potenza è legato alla corrente elettrica che attraversa il chip (corrente di pilotaggio) e alla caduta di tensione, che a loro volta causano lo sviluppo di calore. I bassi valori dei flussi luminosi erogati pongono la necessità di aggregare vari LED per far crescere il totale dei lumen disponibili e ottenere così gli illuminamenti richiesti. Questa duplice esigenza è alla base della diversificazione tipologica dei Power LED.
A partire dal chip il fabbricante costruisce una sorgente luminosa che nasce dall’integrazione tra gli elettrodi, l’ottica primaria, una base o substrato riflettente, una piastra di base saldata alla prima con sostanze silicone a bassa resistenza termica con funzione di dispersione di calore, un ricoprimento o calotta di chiusura di materiale trasparente. L’insieme coerente di questi minuscoli elementi è chiamato packaging.
Il Power LED viene, dunque, messo sul mercato come dispositivo pronto per il collegamento elettrico con l’alimentatore/convertitore e gli ancoraggi meccanici con il dispersore termico e con l’eventuale ottica secondaria.
Attualmente si distinguono:
- il LED a singolo chip, o LED monochip, a luce monocromatica o a luce bianca, fornito di lente, oppure con semplice rivestimento protettivo;
- il LED multichip, a luce bianca;
- il LED multichip, a luce bianca ricavata da sintesi additiva RGB (Red, Green, Blue) a sei elettrodi;
- il LED multi chip RGBW (Red, Green, Blue, White), quattro chip per i colori primari e il bianco.
I tipi di LED analizzati fino ad ora sono alimentati a bassissima tensione e a corrente continua. Dunque, per il loro corretto funzionamento, è necessaria la presenza nel sistema dell’alimentatore/convertitore. Un’alternativa è offerta dai diodi luminosi alimentati a tensione di rete, o a bassa tensione. Il principale vantaggio che si ottiene è dovuto alla semplificazione del sistema in cui viene a mancare l’alimentatore con il relativo assorbimento di potenza elettrica. L’adattamento dei parametri elettrici al LED è operato dalle micro-componenti elettroniche inserite generalmente in parte nel packaging dello stesso LED, in parte nel circuito stampato (ponte raddrizzatore e resistenze elettriche). Le versioni attualmente disponibili sono tre:
- LED per alimentazione a tensione compresa tra 100 V e 110 V;
- LED per alimentazione a tensione compresa tra 220 V e 230 V;
- LED per alimentazione a tensione di 55 V.
Il LED a bassa tensione trova impiego nelle lampade integrate (le “lampadine” che sostituiscono i vecchi modelli a filamento incandescente) (Figura 20) e, in genere, negli apparecchi di piccolo formato, dove non è possibile reperire lo spazio necessario per l’installazione dell’alimentatore/convertitore. Venendo a mancare nel bilancio energetico il consumo di questa componente, l’efficienza della sorgente nelle condizioni indicate diventa il dato reale da assumere nella valutazione del consumo.
Figura 20 – Lampade LED integrate con attacchi a vite E2 e E14 (documentazione e produzione Philips).
Frutto recente dell’evoluzione del PowerLED il tipo High Flux LED (Figura 16), o LED ad alto flusso, si propone per applicazioni in cui è necessario avere una sorgente molto luminosa (alta luminanza del die, ossia elevato flusso erogato rispetto alla superficie emittente) ma di piccole dimensioni con un dispositivo primario di dissipazione termica (integrato nel packaging) a bassa resistenza termica, ossia con una grande capacità di scambio termico.
Figura 16 – High Flux LED, potenza 32 W, flusso 2100 lm, corrente di pilotaggio 9 A (documentazione e produzione Luminus).
Per ottenere tali prestazioni è necessario usare correnti di pilotaggio di alcuni ampere, con potenze assorbite nell’ordine di grandezza delle decine di watt. Si superano abbondantemente, a questo riguardo, i valori energetici caratteristici dei Power LED pur mantenendosi elevata l’efficienza luminosa.
Dovendo essere alimentati con alti valori di corrente anche le connessioni elettriche devono essere in grado di sopportare le più severe sollecitazioni, anche a garanzia della sicurezza d’uso. Di conseguenza tutta la struttura del packaging assume una configurazione specifica con maggiorazioni nel dimensionamento delle componenti ottiche e termiche.
Ad eccezione dell’ultimo tipo descritto i diodi luminosi presentano potenze elettriche e flussi luminosi di modesta entità. Usato come unica fonte di luce, il LED può rischiarare spazi di ridotte dimensioni. Per superare tale problema, quando si è iniziato a promuovere il loro utilizzo nell’ambito del lighting design, vale a dire come sorgenti per illuminare gli ambienti, si è reso necessario aggregare più LED e disporre così di maggiore potenza luminosa. Sono nati i moduli LED (Figura 17) per alimentazione in serie oppure in parallelo, aggregazioni di un certo numero di sorgenti di piccolo formato disposte a distanze regolari su una base comune che svolge tre funzioni:
- ancoraggio (funzione meccanica);
- distribuzione dell’energia elettrica (funzione elettrica);
- dissipazione termica (funzione termica).
Figura 17 – Modulo LED su circuito stampato di forma circolare.
Il modulo LED può essere considerato una versione del sistema LED che assume un significato analogo a quello del cosiddetto “semilavorato” in molti ambiti della produzione industriale. Si tratta, in altre parole, di un prodotto composto. Concettualmente è il risultato di una logica sistema di aggregazione (sistema di primo livello). Questo prodotto composto si pone, a sua volta, come elemento di un’aggregazione di ordine superiore che chiamiamo “apparecchio” di illuminazione, oppure “oggetto luminoso”.
Soluzioni di tal genere consentono di ottenere dal diodo luminoso le migliore prestazioni grazie all’ottimizzazione del sistema di primo livello. Una parte dell’industria produttrice di sorgenti LED e di componentistica per LED propone oggi moduli LED pronti all’uso sgravando in questo modo il fabbricante di apparecchi dell’onere del progetto e della realizzazione secondo il concetto di sistema complessivo, comprensivo di entrambi i livelli indicati.
Nel caso del modulo LED gli elementi aggregati svolgono le funzioni descritte. Rimangono però al di fuori del sistema di primo livello i dispositivi di alimentazione e gestione della luce (convertitori, driver, dimmer). Da alcuni anni, tuttavia, sono apparsi prodotti che estendono le funzioni del sistema modulare. Ci riferiamo ai prodotti “integrati”, in cui sono presenti tutte le componenti funzionali (Figura 18).
Figura 18 – Modulo LED, con dissipatore termico e ottiche, costituito da 4 Power LED per 4 W complessivi di potenza elettrica assorbita (documentazione e produzione Philips).
Di particolare interesse, nell’ambito dell’offerta di prodotti integrati, è il sistema a camera di luce (Figura 19) che inaugura l’avvento, nel novero delle varie componenti a sistema, dell’elemento ottico che converte parzialmente – al pari di un filtro – le radiazioni di alta frequenza (colore blu) in radiazioni di minore frequenza (colore giallo). L’intercambiabilità di questa componente apre il campo alle variazioni della tonalità della luce bianca con la semplice sostituzione di una componente.
Figura 19 – Modulo LED integrato con il relativo alimentatore (modello Fortimo, documentazione e produzione Philips).
Qualora, nell’ambito della costruzione dell’impianto di illuminazione, sia possibile inserire tali prodotti in vani compatibili con le esigenze tecnico-funzionale e, generalmente, sia possibile nascondere alla vista tutto l’apparato, non è più presente un vero e proprio corpo o involucro protettivo, cioè viene a mancare l’apparecchio di illuminazione nella sua accezione tradizionale.
È difficile prevedere oggi che cosa cambierà nell’illuminazione di ambienti interni ed esterni quando i LED troveranno maggiore diffusione e miglioreranno ulteriormente le loro caratteristiche tecniche e funzionali. Concentrando l’attenzione sugli ingombri minimi e sull’aggregazione modulare in infinite composizioni, si è indotti a immaginare nuove forme di integrazione tra la fonte luminosa e gli elementi costruttivi o di arredo, aprendo inediti orizzonti all’industrial design. Con i LED è possibile, per esempio, creare pannelli luminosi di ridotto spessore, quindi molto leggeri, in funzione di cortine divisorie sui piani verticali (pareti) e orizzontali (soffitti, pavimenti). Nella stessa lastra di vetro delle finestrature, o dei piani divisori in un interno, è possibile incorporare i punti luminosi (Figura 24).
Figura 24 – Lastre di vetro stratificato con LED incorporati (documentazione e produzione AGC Flat Glass).
Ogni oggetto che sia in grado di ricevere energia elettrica in ridotte quantità (e a tensione bassissima di sicurezza) può diventare un corpo luminoso.
Tra le applicazioni più promettenti, intorno alle quali è in atto un’ampia sperimentazione, citiamo quelle relative all’esposizione di beni artistici, gli apparecchi in uso in ambito chirurgico e odontoiatrico (apparecchi scialitici) e, in generale, l’illuminazione di tutti gli oggetti di valore che subiscono danni a causa delle radiazioni ultraviolette (UV) e infrarosse (IR). Abbiamo segnalato il caso degli articoli di oreficeria e di gioielleria, insieme all’esposizione di prodotti alimentari o di origine organica. Ed è proprio l’assenza di UV e di IR che rende il LED così apprezzato.
Inoltre, con la semplice regolazione dei singoli contributi cromatici è possibile avere luce di diversa tonalità (cambia il valore in kelvin della temperatura di colore). Si aprono qui nuove prospettive per il progettista: infatti, per ogni opera o oggetto da illuminare si lavora a una calibratura della composizione dei tre primari in modo da dare più o meno potere riflettente e resa cromatica alle superfici illuminate. Le prime esperienze in corso, in ambito museale, mostrano un rilevante potere di restituire gamme cromatiche, contrati, sfumature, dettagli e particolari. Sorge, pertanto, con queste nuove e raffinate tecniche espositive a disposizione, il problema delle corrette letture e interpretazioni delle opere d’arte e dei beni culturali.
Basta sfogliare i cataloghi dei principali fabbricanti europei di apparecchi di illuminazione per rendersi conto che ormai il LED è diventato la sorgente luminosa di riferimento, quella che sicuramente sta suscitando il maggior interesse impegnando rilevanti investimenti in tutto il mondo industrializzato. L’innovazione passa oggi dall’uso sempre più diffuso non solo del diodo luminoso ma anche di tutte le componenti e i dispositivi che servono al suo corretto funzionamento. Molti comparti produttivi, dunque, traggono beneficio dall’innovazione optoelettronica penetrata nel mondo dell’illuminazione.
Non è un cambiamento che riguarda solo alcuni tipi di prodotti o di ambienti. Dai piccoli spazi interni rischiarati con apparecchi dagli ingombri ridotti, fino alle grandi aree in esterni che richiedono apparecchi capaci di fornire grande potenza luminosa (molti lumen), ogni tipo di luogo può essere trattato con la luce di buona qualità, a basso consumo e a lunga durata offerta dall’ultima generazione di LED.
Quanto può convenire la sostituzione di un vecchio impianto di illuminazione con uno nuovo a tecnologia LED? Le variabili in gioco sono molte e quindi non è possibile fare una valutazione precisa. Tuttavia, definendo un caso abbastanza tipico si può arrivare a una stima dei vantaggi che ha un valore indicativo.
Si abbia, per esempio, un negozio con una vetrina illuminata per 10 ore al giorno da un impianto composto da 10 apparecchi proiettori equipaggiati con lampade alogene dicroiche da 35 W per un totale di potenza assorbita di 400 W (compreso l’assorbimento dei trasformatori). L’esercente del negozio esprime l’intenzione di cambiare questo impianto divenuto obsoleto.
L’impianto esistente funziona per 300 giorni all’anno con un consumo annuo di 1200 kWh (300 giorni x 10 ore x 400 W). Considerando un costo al kWh di 0,2 €, abbiamo una spesa totale all’anno di 240 €. Le lampade alogene hanno una durata media di vita di 3000 ore. Questa durata comporta che ogni anno sia necessario l’acquisto e il ricambio delle 10 lampade.
Si propone il rifacimento di questo impianto, mantenendo la stessa quantità di luce nella vetrina (a parità di flusso luminoso), con un nuovo impianto a tecnologia LED realizzato con 10 apparecchi proiettori per una potenza elettrica complessiva di 100 W (10 W ciascuno) e gli stessi tempi di utilizzo. Ogni apparecchio costa circa 240 €, il 30% in più rispetto al costo dell’apparecchio con lampada alogena dicroica (180 €).
Il consumo elettrico sarà di 300 kWh (300 giorni x 10 ore x 100 W) per una spesa annua di soli 60 €. Il risparmio all’anno sarà di 180 €. Con il contenimento delle spese per l’acquisto e il ricambio lampade si può affermare che in poco più di 3 anni si ammortizza la spesa iniziale che è superiore a quella sostenuta per l’acquisto degli stessi apparecchi del vecchio impianto (2400 € contro 1800 €). Negli anni successivi si risparmia sia sulla spesa energetica sia sulla spesa dovuta alla manutenzione.
11. IL QUADRO NORMATIVO. LE DIRETTIVE EUROPEE
Nell’ Europa comunitaria il comparto produttivo delle sorgenti luminose è stato oggetto di attente valutazioni comparative in ordine ai consumi energetici. Si è ritenuto che una serie di interventi rivolti al ridimensionamento dell’offerta dei tipi di sorgenti di vecchia concezione (principalmente le lampade a filamento incandescente normali e a ciclo di alogeni) a bassa efficienza luminosa, alto consumo energetico, ridotta durata di vita, potesse contribuire in modo significativo al risparmio di energia e al contenimento delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera.
In questa prospettiva, a partire dal 2005, sono stati varati dei provvedimenti (in particolare la Direttiva Europea Eco-Design EUP, Energy Using Products, con i relativi Regolamenti attuativi) che tendono a contrarre con gradualità, fino a giungere alla completa estinzione (messa fuori produzione nel territorio dell’Europa Unita), la produzione delle lampade “energivore”. In Italia la Direttiva è stata pienamente recepita con il Decreto Legislativo n. 201 del 6 novembre 2007. I programmi attuativi prevedono il divieto di fabbricazione delle lampade nell’arco di 7 anni (dal 2009 al 2016), iniziando dalle potenze maggiori (uguali o superiori a 100 W), secondo varie caratteristiche tecniche e classi energetiche, anch’esse definite in documenti comunitari. In un futuro non lontano, pertanto, i LED insieme ad altre sorgenti ad alta efficienza e lunga durata andranno a sostituirsi ai tipi obsoleti non più reperibili sui mercati.
12. LE NORME CEI SPECIFICHE SUI LED
Negli ultimi anni il CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano) si è attivato per la pubblicazione di norme specifiche sui LED. Considerando che il diodo luminoso è comunque una sorgente luminosa destinata a funzionare all’interno di apparecchi di illuminazione, la Norma principale di riferimento rimane CEI EN (Norme Europee) 60598-1 “Apparecchi di illuminazione. Parte 1: Prescrizioni generali e prove” e successive norme ad essa collegate. Questa prima parte specifica le prescrizioni generali per gli apparecchi di illuminazione che incorporano sorgenti luminose che funzionano con tensioni di alimentazione fino a 1000 V; le prescrizioni e le relative prove riguardano la classificazione, la marcatura, la costruzione meccanica ed elettrica. La Norma prende in considerazione tutti gli aspetti della sicurezza (elettrica, termica e meccanica). Suo scopo è di fornire una serie di prescrizioni e di prove considerate generalmente applicabili alla maggior parte dei tipi di apparecchi
Le Norme Tecniche pubblicate dal CEI permettono di valutare la sicurezza e le prestazioni elettriche, elettroniche, termiche, meccaniche e ottiche dei prodotti LED e moduli LED, dei connettori per LED e delle unità di alimentazione. In particolare sono pubblicate:
- Norma CEI EN 62031 (34-118), Edizione Ia, 02/2009 (moduli LED)
- Norma CEI EN 60838-2-2 (34-112), Edizione Ia, 01/2007 (connettori)
- Norma CEI EN 61347-2-13 (34-115), Edizione Ia, 09/2007 (unità di alimentazione)
- Norma CEI EN 62386-207, (34-128), Edizione Ia, 04/2010 (interfacce digitali)
- Norma CEI EN 62471 (76-9), Edizione Ia, 01/2010 (sicurezza fotobiologica)
In particolare la Norma, la “62471”, fornisce i criteri e i metodi di valutazione della sicurezza fotobiologica di tutte le fonti di luce in commercio (lampade di ogni tipo o versione, sistemi di lampade, apparecchi di illuminazione). L’obiettivo fondamentale della Norma è l’analisi valutativa unita al controllo dei rischi fotobiologici dovuti a tutte le fonti di luce a spettro incoerente che emettono radiazioni nel range di lunghezze d’onda comprese tra 200 nm e 3000 nm. Sono specificati i limiti di esposizione alle radiazioni, le tecniche di misurazione e lo schema di classificazione dei prodotti.
In conclusione si può affermare che i nuovi LED si presentano come i prodotti illuminotecnici più efficienti, duraturi, sicuri ed ecocompatibili attualmente sul mercato. I provvedimenti legislativi per razionalizzare l’uso dell’energia nell’illuminazione stanno certamente favorendo la loro diffusione. Come abbiamo dimostrato, i reali benefici si ottengono rispettando le caratteristiche tecniche e i principi di funzionamento di un prodotto che deriva dal mondo dell’elettronica di consumo, valutando attentamente le condizioni di impiego e utilizzando le componenti del sistema LED con attenzione e impegno professionale.
Le figure dello Speciale sono tratte dal libro: Gianni Forcolini, “Illuminazione LED”, Hoepli, Milano 2010.