Lo shale oil americano perde colpi e il clima mondiale potrebbe guadagnarne

Il punto sulla crescita del petrolio e gas di scisto e cosa significa per la lotta alla crisi climatica

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Il petrolio e il gas di scisto americani, dopo il boom produttivo degli anni scorsi, stanno iniziando a perdere colpi e ad avvantaggiarsene potrebbe essere la lotta contra la crisi climatica.

Il cosiddetto “fracking,” cioè la fratturazione idraulica della crosta terrestre con getti ad alta pressione che liberano gli idrocarburi imprigionati nella roccia, ha consentito agli stati Uniti di realizzare in buona misura l’obiettivo a lungo perseguito dell’indipendenza energetica – in una fase storica caratterizzata da rischi geopolitici molto rilevanti.

Il boom dello shale oil e dello shale gas nei bacini del Texas e del Nord Dakota ha trasformato da un giorno all’altro agricoltori e allevatori in milionari, attirando investimenti da ogni angolo del mondo per anni.

E le previsioni spesso fatte in passato che questioni finanziarie e ingegneristiche avrebbe presto messo fine al boom non si sono avverate, grazie anche al basso costo del credito e alla capacità del settore di tagliare i costi lungo la catena di approvvigionamento.

Adesso però, sembra tirare un’aria diversa. I finanziamenti non scorrono più a fiumi come in passato per un settore che nell’ultimo decennio ha ricevuto quasi $200 miliardi. Gli investitori si sono fatti irrequieti. I grossi volumi di produzione hanno assottigliato gli utili e l’indice settoriale S&P 500 Oil & Gas Exploration ha perso il 21% negli ultimi 10 anni, rispetto a un balzo del 177% dell’indice generale.

“Non credo che i pessimisti sullo scisto siano più forti quest’anno”, ha dichiarato Ed Morse, responsabile globale della ricerca sulle materie prime presso Citigroup Global Markets Inc., a Bloomberg News. “Ma hanno argomenti più dettagliati“.

La produzione è cresciuta ad un ritmo di circa il 3% quest’anno, dopo aver guadagnato quasi il 21% dal 2017 al 2018, secondo i dati dell’Energy Information Administration degli Stati Uniti. Le stime per il 2020 variano, ma anche secondo i più ottimisti la crescita sarà ben lontana da quella dei bei tempi del settore. Ormai, anche i più convinti sostenitori dello shale oil hanno cominciato a esprimere dubbi.

“Vedremo un significativo calo in Texas”, ha detto agli analisti Scott Sheffield, Amministratore Delegato di Pioneer Natural Resources Co., in una teleconferenza ad agosto. “La maggior parte di noi assisterà probabilmente a una crescita zero.”

Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE), anche con prezzi del greggio che rimangono costanti sopra i $52 al barile, la produzione mondiale di petrolio è rimasta praticamente invariata a 12 milioni di barili al giorno nei primi sette mesi di quest’anno.

Secondo alcuni trader e analisti, il rallentamento è il risultato di eventi come il maltempo, destinato a passare e a riportare il sereno anche sui giacimenti di petrolio e gas di scisto statunitensi. Prova ne sia, dicono, che due delle maggiori compagnie petrolifere USA si stanno espandendo nella zona dello shale oil americano.

Molti investitori, però, sembrano averne avuto abbastanza. Stanno chiedendo infatti alle aziende di spendere meno e di pagare più dividendi. Gli azionisti più attivi stanno costringendo le aziende a mettere il cartello “Vendesi” sulla porta. E anche i finanziamenti bancari si stanno assottigliando, secondo un sondaggio della Federal Reserve Bank di Dallas.

L’accesso agevole ai capitali è particolarmente importante per le trivellazione degli scisti, a causa dei rapidi tassi di declino dei pozzi. La produzione petrolifera da fracking scende infatti del 70% nel primo anno, rispetto al 5% della perforazione verticale convenzionale. Ciò significa che sono costantemente necessari nuovi pozzi. Se si prosciugano i finanziamenti, si prosciugano molto presto anche i pozzi esistenti e con loro la produzione.

Cosa può voler dire tale prospettiva per il futuro del greggio in generale e per la lotta contro la crisi climatica?

Al momento, le previsioni per il 2020 variano, ma tutti ritengono che la crescita nella produzione mondiale di petrolio sarà debole, anche a causa della stagnazione dello shale oil. Secondo l’AIE, la produzione mondiale di greggio del prossimo anno si espanderà di meno di un milione di barili al giorno – la metà rispetto alla crescita del 2018.

Sul fronte del surriscaldamento dell’atmosfera, secondo i ricercatori della Cornell University, il boom del gas e del petrolio di scisto americano potrebbe aver innescato un significativo balzo a livello globale delle emissioni di metano, un gas capace di accelerare la crisi climatica più della CO2.

Secondo i ricercatori, infatti, le “impronte chimiche” dei crescenti livelli globali di metano indicano come probabile fonte il petrolio e il gas di scisto.

Robert Howarth, autore dello studio, pubblicato sulla rivista Biogeosciences, ha detto che la percentuale di metano con una “firma del carbonio” legata ai combustibili fossili tradizionali è in calo, mentre è in aumento il metano con una composizione del carbonio leggermente diversa.

I ricercatori avevano precedentemente ipotizzato che tale metano “non tradizionale” provenisse da fonti biologiche, come mucche e zone umide, ma le ultime ricerche suggeriscono che petrolio e gas non convenzionali, cioè quelli derivanti dal fracking, potrebbero svolgere un ruolo significativo.

Tale teoria sostiene una correlazione o addirittura una vera e propria causazione tra l’aumento del metano nell’atmosfera e il boom del fracking negli Stati Uniti nell’ultimo decennio.

“Questo recente aumento di metano è enorme“, ha detto Howarth a The Guardian. “È significativo a livello globale. Ha contribuito in parte all’aumento del riscaldamento globale che abbiamo visto e lo shale gas è uno dei principali attori “.

Secondo la comunità scientifica, però, permangono “significative incertezze” su tale teoria, che non è stata ancora dimostrata in maniera definitiva.

Questa ipotesi è “molto controversa nella comunità accademica e sono necessari ulteriori studi per ridurre l’incertezza, prima che conclusioni come questa possano essere sostenute da dati certi”, ha detto Grant Allen, del Center for Atmospher Science dell’Università di Manchester.

“Tuttavia, questo studio offre un contributo molto importante”, ha detto Allen a The Guardian. “Il controllo delle emissioni causate dal fracking e dai combustibili fossili in generale rappresenta una soluzione potenzialmente rapida per ridurre ulteriormente le emissioni di metano.”

Howarth ha infatti sottolineato come, a differenza della CO2, se si smettesse di emettere nell’atmosfera grandi quantità di metano, questo si dissolverebbe.

Il metano “va via abbastanza rapidamente, rispetto al biossido di carbonio. È la cosa più semplice, più efficace e rapida da fare per rallentare il riscaldamento globale,” ha concluso.

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