Sempre più rigassificatori in Europa, sempre più dipendenti

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Nonostante l'emergenza energetica il rischio del moltiplicarsi dei progetti di rigassificatori nei paesi europei ci potrebbe legare al gas per altri decenni. E poi ci sono gli effetti in Usa dell'aumento dell'offerta.

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È vero, siamo in emergenza. Le ultime mosse della Russia che pare aver chiuso il gasdotto North Stream 1, che portava attraverso il Baltico 55 miliardi di mc di metano l’anno, un terzo del’import europeo dalla Russia, renderà ancora più complicato prepararci per superare l’inverno con adeguati rifornimenti per riscaldamento ed elettricità.

Viene però da chiedersi se certi frenetici tentativi per tamponare queste mancate forniture, differenziando le fonti di approvvigionamento, installando rigassificatori e immaginando di costruire nuovi gasdotti che colleghino l’Europa, per esempio, con i giacimenti di metano scoperti di fronte ad Israele o all’Egitto, non produrranno effetti deleteri ben peggiori rispetto a passare qualche inverno razionando il gas.

È anche vero che, insieme all’annuncio di nuove infrastrutture per importare più metano, si promettono grandi quantità di rinnovabili, e il lancio di iniziative per lo storage. Ma se ci riempiremo di strutture per il gas, che richiedono decenni per essere ammortizzate, liberarcene con uno schiocco delle dita quando non serviranno più non sarà così facile.

Non sarà che la crisi causata dall’eccessiva dipendenza di gas naturale del nostro continente, finisca per produrre il paradossale effetto di renderci ancora più dipendenti dalla stessa fonte?

Al momento Germania, Italia, Grecia, Francia, Paesi Bassi, Croazia, Estonia, Finlandia, Lettonia, Slovenia e Regno Unito, hanno annunciato la costruzione di 20 terminali galleggianti per ricevere gas naturale liquefatto, Gnl, da altri paesi.

Queste navi, più alte di condomini e lunghe oltre 300 metri, possono immagazzinare in media 170mila metri cubi di Gnl a volta, rigassificarlo, scaldandolo con l’acqua di mare, e immetterlo nella rete. La loro scelta è stata resa quasi obbligata dal fatto che possono essere velocemente installate, anche ormeggiandole nei porti (come vogliono fare a Piombino), e poi collegate ai gasdotti esistenti. Lo svantaggio però è che il loro uso è più costoso dei terminali a terra, così come il gas che vi arriva.

L’Europa si è gettata a corpo morto nella costruzione di queste strutture per il Gnl”, ricorda John Sterman, climatologo presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT). “Ognuna di quelle navi si stima costerà una media di 500 milioni di dollari. Siamo sicuri che spendendo quelle stesse risorse in miglioramenti dell’efficienza e nel risparmio, che possono dare dei frutti subito, e poi sul medio periodo in impianti solari ed eolici, non si sarebbe ridotta la stessa quantità di energia che la Russia esportava in Europa, invece di sostituirlo?”.

Forse sarebbe stato meglio, anche perché qui in Europa non ci si rende conto degli effetti delle nostre decisioni negli Usa, i maggiori fornitori del futuro Gnl bruciato da queste parti.

Negli Stati Uniti l’estrazione di metano da shale (con la tecnica del fracking), molto dannosa da un punto di vista ambientale e climatico, è stata rilanciata al massimo per soddisfare la nuova domanda europea. Lungo la costa del Golfo del Messico i terminali di esportazione dell’Lng si stanno moltiplicando ed espandendo, e grazie ai prezzi del gas in Europa questi investimenti riescono a superare i problemi di finanziamento che li avevano frenati di recente.

Una corsa che sta allarmando i residenti, molti dei quali si oppogono a questi progetti per l’aumento dell’inquinamento, la distruzione del suolo e gli effetti dei cambiamenti climatici.

“Negli Usa sono oggi in costruzione tre nuovi terminali di esportazione; altri 11 sono in fase di progetto e quattro di ampliamento. Rio Grande LNG, un terminale di esportazione proposto da Next Decade a Brownsville, in Texas, ad esempio, l’anno scorso sembrava in stallo di fronte alle proteste dei cittadini. Ma questa primavera, una società francese, Engie, ha firmato contratti a lungo termine per acquistare GNL dal terminale e il progetto è ripartito”, spiega Sterman.

Anche se è meglio bruciare metano che carbone, visto che emette la metà della CO2, bisogna rammentare che il metano è un gas serra, 30 volte più potente della CO2, e ogni volta che si scavano nuovi pozzi e costruiscono nuovi gasdotti, abbiamo anche notevoli perdite di questo gas in atmosfera: circa 40 milioni di tonnellate l’anno, secondo stime IEA, una delle ragioni per cui le concentrazioni di metano in atmosfera sono aumentate di 2,5 volte dal XIX secolo, con una veloce crescita dal 2007, dopo dieci anni in cui erano rimaste costanti.

“Uscire dall’uso del metano sarebbe indispensabile per evitare una catastrofe climatica – afferma il climatologo – ma la costruzione di questa immensa infrastruttura GNL in Europa e Usa vincolerà il mondo nella continua dipendenza dal gas naturale, con i conseguenti danni climatici per i decenni a venire”.

Susanne Ungrad, portavoce del ministero dell’Economia e dell’Energia tedesco, ha osservato che si stanno compiendo sforzi per ridurre le emissioni di metano dalle nuove infrastrutture, e che comunque si tratta di una situazione temporanea, ma Greig Aitken, analista di Global Energy Monitor, ha fatto notare che per esempio un rigassificatore che aprirà vicino a Danzica, in Polonia, ha già firmato contratti con i fornitori americani di GNL che si estendono ben oltre il 2030.

“Tutto ciò potrebbe rendere problematico per l’Unione europea raggiungere l’obiettivo di ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030”, dice Kim Cobb, climatologo della Brown University. “È scoraggiante vedere l’Europa, per tanti anni capofila in tema climatico, raddoppiare le proprio infrastrutture per i combustibili fossili, quando da anni l’Ipcc avverte che già l’utilizzo delle infrastrutture esistenti è incompatibile con l’obbiettivo di non superare i +1,5 °C entro il 2100”.

Unica consolazione, si sente dire, è che i rigassificatori galleggianti, una volta che le rinnovabili avranno reso inutile anche il gas, potranno essere smantellati.

“In realtà, almeno in Germania, si pensa che i terminali galleggianti spianeranno la strada a impianti di rigassificazione a terra, più capienti ed economici, che dureranno 30 o 40 anni. E anche le navi rigassificatrici, non saranno certo demolite, ma rivendute ad altri paesi. Tutto ciò non farà altro che perpetuare l’uso e la dipendenza del mondo dal gas naturale, con conseguenze inevitabili sul clima”, conclude Sterman.

E, se così andrà a finire, questo forse sarà l’effetto più devastante della guerra in Ucraina.

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