Rinnovabili, no ai limiti per il fotovoltaico su terreni agricoli inattivi

Il Gis (Gruppo impianti solari) chiede di correggere alcuni aspetti della bozza del decreto sulle aree idonee, affermando che il consumo di suolo è "un falso problema".

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Continua a far discutere, attirando diverse critiche delle associazioni delle rinnovabili, il decreto sulle aree idonee, la cui bozza ricordiamo è circolata a luglio, innescando una prima tornata di reazioni negative in particolare sui limiti massimi di utilizzo dei suoli agricoli ai fini del fotovoltaico.

Il provvedimento attua il decreto legislativo 199/2021, stabilendo le regole per individuare le aree idonee e non idonee in cui installare nuovi impianti Fer.

Secondo il Gis (Gruppo impianti solari), associazione che riunisce dieci aziende e oltre 500 addetti del settore FV, “con questo decreto il governo sta facendo a livello nazionale quello che negli anni scorsi diverse Regioni hanno tentato di fare con regolamenti o leggi regionali”, ma senza successo “perché non avevano il potere di introdurre limitazioni alla realizzazione di nuovi impianti andando in contrasto con la legge nazionale”.

Se ogni Regione, scrive il Gis in una nota, “stabilisse un’obbligatorietà per tutti i Comuni di dedicare il 3% del loro territorio all’istallazione di rinnovabili, si risolverebbero molti problemi autorizzativi all’origine”, perché ogni comune “indicherebbe le aree non idonee per questioni di vincoli archeologici, paesaggistici, faunistici e su tutte le altre aree si applicherebbe l’iter semplificato di autorizzazione”.

In particolare, scrive l’associazione, il consumo di suolo delle energie rinnovabili è “un falso problema”.

Ipotizzando, ad esempio, di fare 5 GW/anno di fotovoltaico  a terra (nel primo semestre 2023 le nuove installazioni FV sono state quasi 2,4 GW tra tutti i segmenti), “servirebbe una superficie di 10.000 ettari da dedicare agli impianti”, mentre l’attuale superficie agricola totale in Italia è pari a 16,5 milioni di ettari.

Per fare questi 5 GW di fotovoltaico “basterebbe impiegare lo 0,06% della superficie agricola totale. In 10 anni si tratterebbe dello 0,6% del territorio agricolo nazionale”. Quindi, “sarebbe sufficiente andare a coinvolgere solamente i terreni attualmente incolti e inattivi che in Italia sono 3,5 milioni di ettari”.

Dove possibile, invece, “l’agrivoltaico permette di coniugare la produzione agricola – solo per certi tipi di colture – con la produzione di energia, azzerando il consumo di suolo”.

Ecco perché “è privo di senso” prevedere restrizioni sulla percentuale massima di estensione dell’impianto (ad esempio 10% o 20%) su un terreno agricolo non coltivato, sostiene il Gis.

Difatti, “una volta individuati terreni agricoli inattivi e su cui non pendono vincoli, l’impianto che ha ricevuto approvazione deve poter essere realizzato senza ulteriori limitazioni”.

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