A che punto siamo nel liberare il potenziale delle rinnovabili in Italia, dal punto di vista burocratico? Quanto forte sarà per il fotovoltaico residenziale il colpo dato con lo stop alla cessione del credito? Cosa aspettarsi dall’autoconsumo diffuso? E dall’agrivoltaico? E ancora: quanto deve crescere la filiera italiana delle rinnovabili per raggiungere gli obiettivi 2030?
Di questo e di altro abbiamo parlato con Alessando Marangoni, ceo di Althesys e docente di materie che riguardano l’economia della transizione energetica alla Bocconi.
Una video intervista che anticipa alcuni dei temi che verranno trattati durante la fiera K.EY 2023, in programma dal 22 al 24 marzo a Rimini Fiera (per partecipare all’evento si segua questo link):
“Contando che a gennaio, dai dati Terna, sono stati installati 300 MW e ipotizzando in astratto di mantenere questo passo, potremmo arrivare per fine anno intorno ai 3,5 GW: rispetto agli anni precedenti un progresso significativo”, ha spiegato tra le altre cose Marangoni nell’intervista.
In questa crescita aiuteranno senz’altro gli ultimi provvedimenti di semplificazione, tra cui il cosiddetto decreto Pnrr 3, fresco di pubblicazione in Gazzetta, “anche se sono un po più timidi rispetto alle ipotesi iniziali, ad esempio sul ruolo delle Soprintendenze”, per il ceo di Althesys.
Tra i progetti su cui c’è più interesse ci sono i grandi parchi agrivoltaici utility scale: “da agosto 2021 ad oggi sono state presentate in Commissione Via Pnrr (impianti sopra ai 10 MW, ndr) quasi 20 GW di richieste per progetti di agrivoltaico, a fronte di meno di otto di tradizionale”, riporta Marangoni.
Un’altra spinta, soprattutto per fare FV nei centri urbani, verrà dalla normativa ormai completa su comunità energetiche e autoconsumo collettivo, osserva (decreto con incentivi è in dirittura d’arrivo, come abbiamo scritto), osserva.
Dove ci sarà un rallentamento sarà probabilmente nel FV residenziale, che sconterà lo stop a cessione del credito e sconto in fattura per le detrazioni fiscali: “grazie al Superbonus nel 2022 sono stati realizzati circa 130.000 impianti, per più di un gigawatt, facendo quindi all’incirca la metà della potenza fotovoltaica installata nell’anno”, ricorda l’esperto citando i dati di recente diffusi dal Gse.
Sul medio termine, la prospettiva è quella di un settore che deve crescere tantissimo: oggi in Italia ci sono 800 imprese attive nella filiera elettrica delle rinnovabili e della smart energy – ha ricordato il professor Marangoni rimandato al recente report curato da Althesys assieme ad Elettricità Futura ed Enel Foundation: “Stiamo parlando di quasi 12 miliardi e mezzo di fatturato negli ultimi anni”.
E se invece passiamo dal presente al futuro? “Immaginando uno sviluppo al 2030 della capacità rinnovabile in linea con gli obiettivi del RepowerEu e in astratto la possibilità che tutto il fabbisogno tecnologico possa essere soddisfatto dall’industria italiana, avremmo ben 263 miliardi di euro di ricadute complessive sul sistema socio-economico italiano, con oltre mezzo milione di occupati”.
Una stima che, come precisa Marangoni, è però solo teorica: il potenziale per fare reshoring delle filiere strategiche per la transizione c’è, ma non sarà un’impresa facile. “In Europa e in Italia su alcune tecnologie abbiamo già delle posizioni consolidate, penso all’eolico in Germania e Danimarca o al nostro paese in cui su inverter, cavi e in alcuni aspetti delle infrastrutture elettriche abbiamo molti casi di eccellenza, ma in generale l’Europa è indubbiamente in ritardo”.
Anche il piano per l’industria verde che l’Ue sta preparando, emerge dall’intervista, per Marangoni difficilmente avrà la stessa efficacia dell’Inflaction Reduction Act Usa: “mentre gli Stati Uniti sono una realtà unitaria, in Europa si fa fatica a fare una politica comune, con una competizione all’interno della stessa Unione tra i diversi Paesi per avere gli insediamenti delle nuove gigafactory; ci sono poi posizioni diverse rispetto a tutto il tema degli aiuti di Stato”, osserva.
Quello che nel vecchio continente conviene fare per provare a competere sulle filiere delle tecnologie pulite, conclude, è “puntare più sulle prestazioni e sul valore aggiunto piuttosto che sui bassi costi assicurati dalle produzioni di massa”.
In altre parole, “noi non possiamo competere con la Cina sul costo del pannello, ma siamo competitivi nel momento in cui il pannello che produciamo a casa nostra è di qualità più alta e ha un’efficienza, una resa maggiore”.