Ricarica auto elettriche, un’Italia a due velocità

Domani entra in vigore il regolamento europeo: il nostro paese è in regola, ma solo perché i mezzi elettrici sono ancora pochi e il 60% delle colonnine è presente in 5 Regioni. L'analisi di T&E.

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L’Italia oggi è in linea con il Regolamento europeo sulla rete di ricarica, ma il 60% dei punti è concentrato in sole 5 regioni. E da qui al 2030 i punti di ricarica dovranno crescere di quasi sette volte rispetto al numero attuale.

A mostrarlo è un’analisi realizzata da Transport & Environment alla vigilia dell’entrata in vigore dell’AFIR, il Regolamento europeo approvato all’interno del pacchetto Fit for 55, che richiede agli Stati Membri di dispiegare un livello minimo di punti di ricarica sul proprio territorio per assicurare sufficiente infrastruttura ai cittadini e alle imprese che vogliono passare all’elettrico.

Per garantire che diffusione della mobilità a zero emissioni e disponibilità di ricarica crescano di pari passo, il Regolamento prevede sia un obiettivo “fisso”, di infrastrutturazione delle principali dorsali stradali ed autostradali, che un obiettivo parametrato al crescere delle auto elettriche e ibride plug-in immatricolate, che richiede agli Stati Membri di installare 1,3 kW di potenza per ogni veicolo leggero elettrico puro (BEV) immatricolato e 0,8 kW per ogni veicolo ibrido plug-in (PHEV).

Rete di ricarica: Italia in linea con gli obiettivi Ue

L’analisi di T&E mostra lo stato attuale della rete di ricarica italiana e verifica il suo grado di compliance con la normativa; presenta inoltre una modellizzazione di quella che potrà essere la crescita e la diffusione della rete da qui al 2030.

Secondo i ricercatori di T&E, l’Italia dispone oggi di un’infrastruttura che soddisfa largamente quanto richiesto dalla normativa europea: con oltre 42 mila punti di ricarica pubblica e poco più di 1,5 GW di potenza installata corrispondente, le colonnine presenti lungo lo stivale – in rapporto agli ECV (Electric Chargeable Vehicles) circolanti – rappresentano il 261% di quanto previsto dal regolamento.

La potenza dovrà cresce di 4,5 volte entro il 2030

Tuttavia, per la natura “dinamica” degli obiettivi AFIR, la potenza di ricarica attualmente installata sarà sufficiente a rispettare i target solo fino al 2026. Per il 2027, T&E stima una diffusione di poco meno di 2 milioni di veicoli leggeri ECV; in base a questa proiezione, l’attuale rete di ricarica soddisferebbe solo il 67% dell’obiettivo.

Al 2030, quando la quota di ECV sulle strade dovrebbe salire a oltre 5,7 milioni, l’attuale rete di ricarica soddisferà solo il 22% d ell’obiettivo. In base a queste previsioni, si delinea una roadmap per cui l’Italia dovrà far crescere la potenza installata delle colonnine di ricarica sul suo territorio di circa una volta e mezzo entro il 2027 e di circa 4,5 volte entro il 2030.

Questo, in base alla diversa potenza dei punti di ricarica sul territorio, si tradurrebbe in circa 90 mila punti di ricarica al 2027 e in circa 280mila al 2030, quasi sette volte il numero attuale.

Rischio Italia a 2 velocità

Nell’installare i punti di ricarica aggiuntivi, Transport & Environment raccomanda di fare attenzione a non creare “un’Italia a due velocità”: a oggi, infatti, in sole 5 regioni – Lombardia, Piemonte, Lazio, Veneto ed Emilia-Romagna – si concentra il 60% dei punti di ricarica, nonostante queste rappresentino il 35% del territorio e poco meno del 50% della popolazione e degli ECV circolanti.

La crescita dell’infrastruttura dovrà avvenire in modo omogeneo, capillare e democratico su tutto il territorio nazionale, per garantire che la rete sia un vero elemento abilitante per la mobilità a zero emissioni.

La sfida: coprire il territorio in modo omogeneo

“La percezione tra molti italiani – commenta Carlo Tritto, policy officer per T&E Italia – è che la rete di ricarica attualmente disponibile sia insufficiente a garantire serenamente il passaggio all’elettrico. Ma è una percezione da correggere.

L’Italia ha già un buon livello di diffusione delle colonnine, e l’entrata in vigore del regolamento AFIR garantirà ulteriore crescita. Sarà tuttavia fondamentale assicurare che la rete si sviluppi in modo omogeneo. A oggi è concreto il rischio di un’Italia ‘a due velocità’, con un Nord dove la ricarica pubblica è già piuttosto capillare e un Centro-Sud, invece, dove la rete è chiaramente insufficiente e la sfida appare più difficile”.

Lunghi viaggi, logistica e turismo

La ricerca di T&E analizza anche il grado di compliance con il regolamento AFIR della rete di tutte le 20 Regioni italiane, mostrando una grande differenza nel grado di sviluppo dell’infrastruttura. Se dispiegare un numero maggiore di punti di ricarica nelle zone dove il parco elettrico è più grande è per molti aspetti una scelta corretta, oltre che ovvia in termini economici, rimane imprescindibile garantire sufficiente capacità di ricarica su tutto il territorio.

Deve infatti essere alla portata di tutti i cittadini e le imprese della logistica poter ricaricare ed effettuare viaggi di lunga distanza, nonché garantire anche a territori poco interessati da attività industriali e logistiche, spesso poco densamente abitati ma a forte vocazione turistica stagionale, la possibilità di una mobilità efficiente e pulita.

Il Regolamento AFIR chiede inoltre agli Stati Membri di realizzare un piano per lo sviluppo della rete di ricarica, da consegnare alla Commissione Europea entro il 31 dicembre 2024.

In quest’ottica, T&E ritiene fondamentale che questo piano coincida con un aggiornamento del Pnire (il Piano nazionale delle infrastrutture di ricarica, la cui ultima versione risale al 2016, quando la mobilità elettrica era ancora una tecnologia di nicchia); e raccomanda che i target nazionali siano declinati a livello regionale, per assicurare omogeneità alla rete, garantendo che la transizione della mobilità su strada sia democratica e socialmente giusta.

Le proposte di T&E

T&E individua alcune misure di sostegno all’espansione della rete di ricarica che dovrebbero essere presto adottate: tra queste, l’estensione del meccanismo di credito all’elettricità rinnovabile erogata dalle colonnine (come realizzato in Olanda), la messa a bando di lotti per la realizzazione della rete (come fatto in Germania), che raggruppa punti a maggior profittabilità per gli operatori con altri meno redditizi ma di interesse strategico per il regolatore.

Del resto, secondo l’organizzazione ambientalista, lo sviluppo di una rete di ricarica pubblica capillare, omogenea e capace di spostare i consumatori verso le tecnologie a zero emissioni è una condizione imprescindibile per raggiungere i target che lo stesso Governo si sta prefiggendo per il 2030 all’interno della revisione del Pniec, vale a dire i 6,3 milioni di veicoli ECV circolanti al 2030 e i 963 ktep di rinnovabili elettriche, sempre per quella data, nei trasporti stradali.

“I dati – conclude Tritto – mostrano che l’attuale livello di infrastruttura è più che sufficiente, se rapportato al numero di veicoli elettrici sulle nostre strade. Ma questo numero è tuttavia uno dei più bassi in Europa. Potenziare fin d’ora la rete di ricarica, assicurando uno sviluppo capillare della stessa, non è solo indispensabile per conseguire gli obiettivi sul clima fissati dal Governo; è necessario per riportare l’Italia sui binari della transizione nel settore trasporti. Un piano capace di dotare il Paese di una rete di ricarica abilitante gioverebbe non solo al pianeta ma anche al mercato, che potrebbe risollevarsi dallo stato di crisi in cui si trova.”

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