Una politica per l’energia rinnovabile è una politica per la pace

Sapevamo tutto da decenni: dobbiamo liberarci dalle fonti fossili e dal nucleare. I nodi di un vecchio modello energetico ed economico vengono al pettine. Ma come uscirne?

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In questa fase storica di grande confusione e di contraddizioni, dentro una tragedia che ci lascia impotenti e che ci fa intravedere, forse per la prima volta, i pericoli di una catastrofe più ampia, dobbiamo riprendere alcuni dei valori e dei punti fermi che da anni continuiamo, inascoltati, a ripetere: dobbiamo uscire dalle fonti fossili e dal nucleare.

Puntare sulle energie rinnovabili, sulla generazione distribuita, sulla sufficienza energetica e su un modello economico più equo e sempre meno basato sulla crescita creerebbe quei “fondamentali” per evitare i conflitti e i danni alla biosfera e quindi all’umanità.

Non è una strada in discesa, ma anzi piena di ostacoli e anche con dure contrapposizioni. Ma se guardiamo avanti e proviamo anche a vederci da fuori, quasi come degli osservatori di un altro pianeta, capiremmo che è l’unica strada da percorrere.

In queste settimane tocchiamo con mano, oltre all’angoscia per quello che sta avvenendo in Ucraina, quegli effetti perversi sul rincaro dei prezzi energetici che incidono pesantemente su famiglie e imprese.

Dentro il rumore di fondo di ministri che confondono la diversificazione delle fonti di energia con l’indipendenza dalle fonti fossili e mancano del necessario coraggio per spronare ad un profondo cambiamento della politica energetica, ancorati come sono alle lobby delle energie convenzionali, si alzano voci che tornano a ricordare proprio quei valori e quelle strategie che ci potranno, forse, portare fuori da questa assurda oscenità della guerra e dall’accelerazione della crisi climatica.

Marco Morosini, che insegna al Politecnico federale di Zurigo, ci ricorda in un suo articolo, che i conflitti futuri saranno sempre più per le risorse: combustibili, minerali, idriche, aree costiere, fondali marini, terre fertili.

“E se l’umanità andrà oltre i nove cosiddetti ‘confini ecologici planetari’ (come ha già fatto per quattro di essi), i conflitti militari per le risorse ci colpiranno molto prima di quanto faranno gli sconvolgimenti ecologici”, dice Morosini.

Questo è il motivo, spiega, per il quale da decenni una conversione ecologica radicale è sempre più urgente per preservare non solo la natura, ma anche la pace.

Politica dell’energia è politica della pace, diceva Hermann Scheer, che viene giustamente citato da Morosini. Il politico e sociologo tedesco si è battuto contro tutte le guerre e per una ‘civiltà solare’. Morosini ricorda che uno dei suoi libri più importanti, L’imperativo energetico”, è un precetto pacifista, oltre che ecologico.

L’autore dell’articolo parla diEuropa solare, quella pensata da Scheer anche su scala globale, dove tutto il nostro fabbisogno verrebbe soddisfatto dalle diverse forme di energia solare, diretta e indiretta: non solo solare termico e fotovoltaico, ma anche energia eolica, idroelettrica e delle biomasse, alla cui origine c’è appunto l’energia solare.

Una “Europa solare” – scrive – non comprerebbe più dalla Russia (e da altri Paesi) quei combustibili fossili la cui esportazione le permette ora di finanziare un enorme apparato militare.

Insomma, sapevamo tutto da tempo, abbiamo avuto mezzo secolo per realizzare questa transizione energetica e ora pensiamo di farla in poche settimane, e magari con la regia di chi ha sempre finora ostacolato questo processo?

Morosini chiude il suo articolo scrivendo che ora dovremmo fare questa transizione in meno di 20 anni: “solo se capiranno questa impellenza e se agiranno di conseguenza, i politici meriteranno il rispetto dei loro figli e nipoti. Si rimbocchino le maniche e comincino a correre”.

Controfirmiamo queste affermazioni, come quelle recenti del Comitato Scientifico di ASPOItalia, l’associazione per lo studio del picco del petrolio, che da un paio di decenni ci ripete che è arrivato il momento di programmare rapidamente l’uscita dai combustibili fossili.

Aspo Italia spiega perché bisogna abbandonare l’uso dei fossili come fonte di energia primaria e perché ciò potrebbe avere effetti positivi:

  1. si riduce fino ad azzerarlo il rischio della dipendenza dalle forniture di paesi instabili
  2. ci lega a risorse energetiche, quelle rinnovabili, solare ed eolico, che sono diffuse e ormai economicamente competitive anche nel quadro attuale
  3. è l’unico modo onesto di affrontare il problema del cambiamento climatico, che ormai decine di conferenze internazionali hanno messo in agenda, ma che nessuno sta affrontando seriamente.
  4. affronta il problema impellente dell’esaurimento delle fonti fossili, che non è mai realmente entrato nell’agenda politica, ma che con il picco del petrolio convenzionale avvenuto nel 2008 vi è entrato di fatto.

Per l’associazione non è una via facile, perché percorrendola emergeranno vecchi e nuovi problemi che dovremo affrontare, ma la via della vera transizione deve essere imboccata subito e senza indugio.

Come? Puntando soprattutto su eolico e fotovoltaico, liberando i cittadini e le imprese dai vincoli che impediscono e rallentano, con una burocrazia vessatoria, ad esempio la copertura dei tetti degli edifici con pannelli solari.

Superando lungaggini e opposizioni ai nuovi impianti eolici e FV o al repowering di quelli esistenti, accelerando il processo di individuazione delle aree idonee assegnato alle regioni.

Le Amministrazioni Pubbliche, a tutti i livelli, dovrebbero al più presto introdurre nei loro bilanci specifici capitoli di spesa d’investimento, obbligatoria, per una larga applicazione nei loro edifici di impianti fotovoltaici e rifacimento degli impianti di riscaldamento e condizionamento, con passaggio alle pompe di calore.

L’ordine di grandezza del necessario sviluppo è quello di installare 20-30 GWp ogni anno, da oggi al 2030. Sviluppando nel contempo diversi sistemi di stoccaggio dell’energia per compensare la variabilità stagionale e giornaliera delle rinnovabili.

Oltre all’efficienza diffusa in tutti i settori, occorre promuovere una cultura del risparmio e di un uso accorto e intelligente dell’energia volto a minimizzare gli sprechi. Va inoltre definitivamente abbandonato, dice il comitato scientifico di Aspo, il mito novecentesco delle “grandi opere” come generatrici di benessere.

“Il decennio che ci attende è quello in cui si deciderà il destino dell’umanità, e la via di fuga non è la vecchia strada dei combustibili fossili o del nucleare”, chiude il comunicato di Aspo Italia.

Temiamo che la guerra e la crisi energetica possano rallentare la transizione energetica, con i governi occupati a trovare nuovi fornitori di gas e petrolio, e ad investire sempre di più risorse pubbliche in armamenti (aumento al 2% del Pil come chiede la Nato, per arrivare in Italia a 38 mld di euro all’anno), sfilando via denaro ad un’economia della pace che può passare solo attraverso una massiva diffusione delle fonti di energia rinnovabili.

È arrivato il momento di decidere se puntare ad una democrazia energetica e a un modello di convivenza che miri alla qualità della vita di tutti oppure continuare a sottostare ai ricatti dei guerrafondai, dei fossili e della natura (che di certo non collabora se gli remiamo contro come stiamo facendo).

E se provassimo a non delegare tutto questo alla politica per sentirci un po’ meno inermi?

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