Il presidente americano, Joe Biden, ha deciso di riaprire i rubinetti delle riserve strategiche di petrolio dopo oltre un decennio, autorizzando il rilascio di 50 milioni di barili dalla Strategic Petroleum Reserve nel tentativo di abbassare i prezzi del greggio.
Una mossa del genere non veniva fatta dal 2011, quando Barack Obama autorizzò il rilascio di 30 milioni di barili dalle riserve. In quel caso, era stata la crisi libica a spingere in alto i prezzi internazionali del petrolio.
Oggi la causa del caro-petrolio è da attribuire principalmente alla ripresa economica post-Covid, una ripresa particolarmente sostenuta proprio negli Usa, tanto da aver portato a uno squilibrio tra domanda e offerta di oro nero.
Una nota della Casa Bianca evidenzia che altri Paesi immetteranno barili aggiuntivi sul mercato, tra cui Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Gran Bretagna, frutto di un lavoro internazionale di consultazione con gli Usa durato settimane.
E quando i contorni di questa operazione sono diventati pubblici, sottolinea la Casa Bianca, i prezzi petroliferi sono scesi del 10%.
Ma il mercato resta volatile e molto dipenderà da come reagiranno i Paesi Opec+ che a inizio novembre avevano intanto confermato, in linea con quanto stabilito nei mesi precedenti, di voler aumentare la produzione di 400.000 barili giornalieri anche a dicembre. Quindi senza cedere alle richieste di garantire un output maggiore per abbassare i prezzi.
Il petrolio che andrà sul mercato dalla riserva strategica, chiarisce infine Biden, sarà diviso in due tranche.
La quantità maggiore, di 32 milioni di barili, verrà immessa tramite lo strumento di “exchange” (scambio): in pratica, il petrolio rilasciato dovrà tornare nelle riserve negli anni successivi.
La seconda tranche di 18 milioni di barili, invece, è una accelerazione di vendite di greggio già autorizzate dal Congresso.