Obiettivi Ue 2040, l’Italia chiede più flessibilità

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Il ministro Pichetto sostiene l'idea di utilizzare anche i crediti internazionali di CO2 per raggiungere il target di riduzione delle emissioni. Intanto al 2030 si prospetta un calo europeo dei consumi di gas.

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Realismo, pragmatismo, flessibilità, apertura alle differenti tecnologie: tante parole d’ordine definiscono l’approccio attuale della Commissione europea nel fissare l’obiettivo 2040 per tagliare le emissioni di CO2 (-90% rispetto al 1990).

Obiettivo che molto probabilmente includerà la possibilità, criticata dal panel consultivo di scienziati che supporta Bruxelles, di utilizzare i crediti internazionali della CO2 per progetti in Paesi terzi.

Una spinta decisiva verso questa direzione arriva anche dall’Italia.

Ieri, 17 giugno, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, riferendosi al target 2040 ha dichiarato che “non è accettabile separare il negoziato sul livello di ambizione del target da quello su flessibilità e condizioni abilitanti. È essenziale conoscere con chiarezza gli strumenti di cui potremo disporre per dare attuazione a tale impegno”.

Secondo Pichetto, intervenuto a margine del Consiglio Ambiente in Lussemburgo (nella foto la riunione di ieri), bisogna “consentire di realizzare e contabilizzare le riduzioni riconducibili a progetti di decarbonizzazione realizzati in paesi terzi con costi più efficienti”.

Opzioni e negoziati

Secondo le indiscrezioni riferite da Politico.eu basate su fonti interne alla Commissione Ue, si sta discutendo una bozza proposta dall’esecutivo comunitario che prevede un utilizzo limitato dei crediti internazionali di CO2 per raggiungere gli obiettivi climatici al 2040.

Quanto limitato? Politico parla di un possibile tetto al 3% sul target complessivo, proposto dalla Germania.

I crediti, ricordiamo in breve, consentirebbero ai singoli Stati membri di realizzare progetti per abbattere la CO2 in Paesi terzi extra Ue, calcolando poi le riduzioni ottenute come se fossero “domestiche”.

Questa soluzione è stata recentemente bocciata dai 15 esperti scientifici indipendenti che formano l’European Scientific Advisory Board on Climate Change, che Bruxelles ha consultato in vista della sua proposta sul target 2040 (dovrebbe essere annunciata ufficialmente il 2 luglio).

Gli esperti ritengono che l’obiettivo sia raggiungibile con misure esclusivamente “interne”; il rischio di utilizzare i crediti di CO2 è distogliere risorse da investimenti nazionali e indebolire le misure ambientali, date le difficoltà nel gestire correttamente i crediti, ad esempio riguardo alla contabilizzazione precisa, obiettiva e certificata delle emissioni evitate.

Ci sono poi differenti posizioni su quali tipi di progetti ammettere: la Germania, in particolare, vorrebbe includere solamente le iniziative che permettono di ridurre le emissioni in modo “permanente”, indicando quindi la sua contrarietà alle misure cosiddette “nature-based” come la forestazione/riforestazione (perché appunto gli alberi possono assorbire e stoccare la CO2 in via temporanea e variabile nel tempo).

Intanto il ministro danese per il Clima, Lars Aagaard, ha dichiarato che il target 2040 sarà una priorità per la prossima presidenza del Consiglio Ue, in capo alla Danimarca da luglio.

“L’Europa dovrebbe fissare un obiettivo ambizioso e in linea con la scienza”, secondo Aagaard (fonte agenzia Euractiv), mentre Copenaghen chiederà alle altre capitali europee “chiarezza e flessibilità” per “trovare un accordo in tempi molto stretti”.

Ruolo del gas nei Pniec 2030

Intanto altre discussioni vertono sugli obiettivi europei al 2030, in particolare sul ruolo futuro del gas (si veda anche Clima: obiettivi Ue 2030 vicini, incertezza sul 2040).

Secondo le analisi pubblicate ieri (17 giugno) dal think tank Ember sui Piani nazionali per l’energia e il clima, trasmessi nelle loro versioni definitive a Bruxelles, il consumo di gas nel blocco comunitario diminuirà del 7% al 2030 rispetto al 2023, anche se con differenze rilevanti tra diversi Paesi, come mostra la tabella sotto.

Di conseguenza, scrive Ember, sviluppare nuovi impianti e infrastrutture per il gas potrebbe portare a una sovraccapacità produttiva e a molti stranded asset (impianti inutilizzati, messi fuori mercato dalle energie rinnovabili).

Le rinnovabili, stando ai Piani nazionali, produrranno il 66% dell’energia elettrica Ue al 2030.

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