La presa di posizione pro-nucleare della nuova presidenza di Confindustria si è arricchita di ulteriori prospettive, che il neo presidente Emanuele Orsini ha tracciato nel suo intervento di venerdì scorso, 25 ottobre, all’assemblea generale “Facciamo il futuro. Brindisi”.
Premettendo che “serve la responsabilità di tutti, perché il nucleare di oggi non è più quello di prima e seconda generazione”, ma quello dei piccoli reattori modulari, gli Smr o Amr, Orsini ha lanciato un’idea sul problema di dove mettere le nuove centrali.
“Siamo disponibili a trovare la location all’interno delle nostre industrie. Capisco che per un sindaco trovare un posto sia complicato: ve li troviamo noi i posti”, ha detto Orsini.
Il presidente di Confindustria ha poi aggiunto: “Credo che presto verrà costituita una società dove capofila ci siano Enel, Ansaldo e Leonardo. Io credo che questo sia il primo passo ed è una cosa positiva, perché vuol dire investire in questo Paese nel nucleare”.
Di “una newco italiana con partnership tecnologica straniera per produrre a breve i reattori di terza generazione”, ricordiamo, aveva parlato a settembre il ministro del Made in Italy Urso, mentre il 9 ottobre in audizione il titolare del Mase Pichetto Fratin aveva auspicato “una catena del valore che graviti intorno a un soggetto industriale nazionale di riferimento, di dimensioni e competenze opportune, che si interfacci alla pari con i Paesi europei e internazionali e che preveda gran parte della catena produttiva non solo italiana, ma realizzata in Italia” (Enel, contattata da QualEnergia.it, per il momento non commenta).
Quanto ai reattori nelle fabbriche, l’idea era già stata ventilata dai due dicasteri. Pichetto, nella stessa audizione dello scorso 9 ottobre, ad esempio, spiegava che “l’iniziativa per la realizzazione ed esercizio di un piccolo reattore o di un microreattore sarà lasciata a dei proponenti che potranno essere privati, pubblici o misti”, chiarendo che “può quindi trattarsi dello Stato stesso, ma anche di distretti industriali, di grandi impianti energivori quali quelli per la produzione di acciaio, ferro, cemento e ceramica, solo per citarne alcuni”.
In quell’occasione, il ministro aveva ribadito l’intenzione di presentare un disegno di legge delega per “l’abilitazione della produzione di energia da fonte nucleare” nei primi mesi del 2025. Questo ddl, oltre a stabilire le procedure autorizzative, conterrà i necessari incentivi o, meglio, “la creazione di un quadro finanziario stabile e sostenibile che sia in grado di promuovere investimenti privati nel settore nucleare”.
I reattori di cui fantasticano Governo e Confindustria, ricordiamo, sono impianti che potrebbero entrare in funzione non prima del 2035 o 2040, sempre che i prototipi si dimostrino fattibili, cioè quando la quota di copertura delle rinnovabili elettriche, che ha già costi più bassi delle fonti convenzionali attuali, sarà tra l’80 e il 90%.
Questo solo a una serie di condizioni: che tra le ruote del nucleare non arrivi il bastone di un referendum, che i sussidi siano abbastanza generosi da far realizzare impianti al di là di qualche pilota e che il problema della localizzazione si riveli davvero così banale come lo dipinge Orsini; cosa, quest’ultima, di cui è lecito dubitare, guardando a quel che accade per i più semplici impianti Fer o per il deposito nazionale per le scorie.
L’esplicitazione di Pichetto sugli incentivi spiega forse un po’ meglio l’interesse per questa impresa, al momento economicamente molto rischiosa.
L’Smr più avanzato, lo statunitense NuScale, ha visto la marcia bloccata per i rischi finanziari.
Nell’acronimo Smr, il termine “modular” implica una produzione in serie ma oggi siamo ancora ai prototipi e non è possibile prevedere se e quando ci sarà una produzione su vasta scala.
Gli Smr sono ancora troppo costosi e lenti da costruire per svolgere un ruolo significativo nella transizione energetica, almeno nei prossimi 10-15 anni e non è detto che ciò cambierà (si veda, ad esempio, il report Ieefa “Small Modular Reactors: Still too expensive, too slow and too risky” o il nostro articolo Nucleare, perché non c’è futuro per i piccoli reattori modulari).
L’esperienza con i pochi Smr in funzione e con quelli proposti dimostra, infatti, che i reattori continueranno a costare molto di più e a richiedere molto più tempo per essere costruiti rispetto a quanto promesso dai proponenti (I Piccoli Reattori Modulari, l’ultimo inganno nucleare).
Gli “osti” di questo nuovo vino, cioè Edison, Ansaldo Nucleare e TEHA Group, in un report pubblicato a settembre, prevedono che con 20 Smr o Amr si possa coprire circa il 10% della domanda elettrica annuale entro il 2050 e ripetono che non si avranno gli extra costi e i ritardi che hanno afflitto i grandi reattori più recenti, come l’EPR di Flamanville, con 9 miliardi di sforamento e 12 anni di ritardo, o quello di Olkiluoto, 14 anni e 8 miliardi più del previsto.
Tuttavia, per tutte e tre le principali soluzioni oggi in campo (NuScale, X-Energy e GE-Hitachi BWRX-300), come mostra la ricerca Ieefa citata sopra, dal 2015 al 2023 tempi e costi previsti si sono impennati anziché ridursi.
Da Confindustria, in tema di energia, ci si aspetterebbe una visione magari non progressista, ma concreta e indirizzata a soluzioni già realizzabili e con un rapido impatto sui prezzi dell’energia; come noto, croce delle aziende nazionali. Difficile, dunque, capire perché si schieri a favore di un tale azzardo economico e di una prospettiva che verosimilmente non si concretizzerà mai.