“Entro la fine dell’anno” sarà definito il disegno di legge per il rilancio del nucleare in Italia.
A dare l’annuncio è stato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, durante il Forum Ambrosetti tenutosi a Cernobbio nel weekend (video dell’intervento in basso).
L’intenzione è quella di “chiudere entro il 2024; se poi si slitta a metà gennaio non cambia nulla”, ha dichiarato il ministro, precisando che successivamente sarà il Parlamento a stabilire i tempi per l’esame del provvedimento. “Spero che entro il 2025 si possa concludere il processo di valutazione normativa”, ha aggiunto Pichetto Fratin ammettendo, sollecitato dalle domande, che a ciò potrebbe seguire un referendum.
Nel suo discorso, d’altra parte, il titolare del Mase ha ribadito la sua visione, che ripone una fiducia sul ritorno al nucleare a nostro avviso preoccupante, perché manifestamente irrealistica.
Senza l’atomo, ha detto, “il nostro sistema Paese non potrà reggere la concorrenza internazionale”, sostenendo poi che il raddoppio della domanda elettrica previsto da vari analisti “non è raggiungibile solo con fotovoltaico ed eolico, nemmeno aggiungendo tutti gli accumulatori che vogliamo”.
Nel Pniec, ricordiamo, il governo ha tracciato scenari in cui l’atomo potrebbe produrre fino al 20% del fabbisogno elettrico al 2050, 140 TWh, nello specifico con tecnologia Smr (Small Modular Reactors).
Nucleare, “serve meno spazio delle rinnovabili”
Fotovoltaico ed eolico, ha sottolineato Pichetto, hanno un grosso problema di “occupazione del territorio” che non ci sarebbe con il nucleare. Un impianto Smr richiede “200 volte meno spazio di un parco fotovoltaico a parità di potenza”, ha detto.
Un dato che, immaginiamo, convincerà ad accogliere a braccia aperte le centrali nucleari in territori come la Sardegna, teatro di una forte opposizione ai grandi progetti delle rinnovabili, nonché una delle aree in cui si pensa di localizzare le nuove infrastrutture atomiche. Intanto la giunta Todde ha già annunciato una levata di scudi antinucleare. Ma forse solo perché non sa ancora quanto poco spazio occupino i nuovi mini reattori della fantasia ministeriale?
Questi mini-reattori “che saranno prodotti in Italia”, d’altra parte saranno addirittura “installati dove richiesto dalle imprese, ovunque nel mondo e certamente anche in Italia” ha dichiarato, sempre a Cernobbio, un altro ministro, quello delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso (video in basso). Quest’ultimo ha rilanciato l’idea di “una newco italiana, con una partnership tecnologica straniera, per produrre a breve reattori di terza generazione”, che sarà presentata “tra qualche mese”.
Ottimismo e realtà
Il contesto di queste dichiarazioni era la presentazione di uno studio sul vino buono condotto dagli osti Edison e Ansaldo Nucleare, assieme a Teha Group.
Nel report (“Il nuovo nucleare in Italia per i cittadini e le imprese: il ruolo per la decarbonizzazione, la sicurezza energetica e la competitività”, link in basso) si spiega che con 20 Smr o Advanced Modular Reactor (AMR), capaci di coprire circa il 10% della domanda elettrica annuale entro il 2050, si potrebbe generare un impatto economico complessivo superiore a 50 miliardi di euro, pari a circa il 2,5% del Pil italiano del 2023. Inoltre, si potrebbero creare fino a 117mila posti di lavoro diretti, indiretti e indotti tra il 2030-35 e il 2050.
Che questa visone sia ottimistica, per usare un eufemismo, specie per il contesto italiano, lo abbiamo spiegato in diversi articoli.
Il nostro paese non riesce nemmeno a individuare un sito per il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi e ha grossi problemi di Nimby anche solo per parchi eolici e fotovoltaici. Ammesso che il sogno nucleare del governo Meloni non sia interrotto da un referendum, fa sorridere pensare solo al processo decisionale necessario per cercare i siti dove costruire 20 nuove piccole centrali.
C’è poi la questione della maturità e della competitività della soluzione su cui il governo punta così tanto, almeno a parole: c’è chi pensa che le favole nucleari servano più da distrazione, per ritardare il cambiamento necessario da fare ora e magari costringerci, in attesa degli Smr, a rallentare l’abbandono del gas.
Tempi e costi
Nell’acronimo Smr, il termine “modular” implica una produzione in serie: ma oggi siamo ancora ai prototipi e non è possibile prevedere se e quando ci sarà una produzione su vasta scala.
Gli Smr sono ancora troppo costosi e lenti da costruire per svolgere un ruolo significativo nella transizione energetica, almeno nei prossimi 10-15 anni e non è detto che ciò cambierà (si veda ad esempio il report Ieefa “Small Modular Reactors: Still too expensive, too slow and too risky” o il nostro articolo Nucleare, perché non c’è futuro per i piccoli reattori modulari).
L’esperienza con i pochi Smr in funzione e con quelli proposti dimostra, infatti, che i reattori continueranno a costare molto di più e a richiedere molto più tempo per essere costruiti rispetto a quanto promesso dai proponenti (I Piccoli Reattori Modulari, l’ultimo inganno nucleare).
Gli “osti” di questo nuovo vino ripetono che non si avranno gli extra costi e i ritardi che hanno afflitto i grandi reattori più recenti, si veda l’EPR di Flamanville, con 9 miliardi di sforamento e 12 anni di ritardo, o quello di Olkiluoto, 14 anni e 8 miliardi più del previsto.
Tuttavia, per tutte e tre le principali soluzioni oggi in campo (NUScale, X-Energy e GE-Hitachi Bwrx-300), mostra la ricerca Ieefa citata sopra, dal 2015 al 2023 tempi e costi previsti si sono impennati anziché ridursi.