Il settore siderurgico italiano punta sul nucleare per la propria decarbonizzazione.
Il principale produttore e distributore di energia in Francia, Edf, insieme a Edison, Ansaldo Energia, Ansaldo Nucleare e Federacciai, ha annunciato la sottoscrizione di un memorandum d’intesa per promuovere l’utilizzo dell’energia nucleare “al servizio della competitività e dell’abbattimento delle emissioni del settore”.
In base all’accordo, si apprende da una nota, i soggetti coinvolti si impegnano a valutare le opportunità di coinvestimento nel nuovo nucleare e, in particolare, nella realizzazione in Italia di piccoli reattori modulari (SMR) nel prossimo decennio.
Verranno esplorate e valutate le opportunità di approvvigionamento di medio-lungo termine di energia nucleare utilizzando in via prioritaria la capacità sull’interconnector già operativo tra Italia e Francia.
I firmatari riconoscono nell’energia nucleare “un ruolo fondamentale per il conseguimento degli obiettivi ambiziosi di decarbonizzazione che l’Ue si è posta al 2050 e per migliorare la competitività dell’industria”.
Guardando all’Italia, la riapertura di una discussione sull’opportunità dell’impiego del nuovo nucleare è ritenuta per questo gruppo di imprese “un passo decisivo”.
“Questo nuovo step nella cooperazione franco-italiana nell’ambito della produzione di elettricità decarbonizzata di origine nucleare evidenzia il forte impegno di Edf nello stabilire e nel consolidare una relazione di lungo termine, destinata ad accompagnare l’esordio del nuovo nucleare in Italia e a rinforzare la cooperazione industriale tra i due Paesi”, ha dichiarato Xavier Ursat, vicepresidente di Edf.
Il Pniec italiano inviato a Bruxelles a inizio luglio, ricordiamo, delinea uno scenario secondo il quale il nostro Paese dovrebbe produrre il 20% del fabbisogno della sua energia elettrica al 2050 tramite nucleare, 140 TWh, nello specifico con SMR.
Una soluzione che non convince
“Pensare di decarbonizzare il settore dell’acciaio puntando sui piccoli reattori modulari è un’affermazione ad oggi priva di significato concreto”, spiega a QualEnergia.it Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia ed esperto di energia nucleare.
“Gli SMR al momento non esistono – aggiunge – tranne un prototipo di seconda generazione usato come propulsore navale e due reattori di quarta generazione in Cina usati per generare calore. Per il resto è una tecnologia che non c’è”.
La startup americana NuScale ha abbandonato il suo progetto lo scorso novembre dopo aver stimato che, anche solo sulla carta, i costi al kW installato fossero eccessivi. Oggi è pure oggetto di una class action da parte degli investitori.
Il “nuovo nucleare” produce elettricità a costi svariate volte superiori a quelli di rinnovabili come il solare o l’eolico che rimangono competitive anche quando associati a batterie industriali.
“Questo significa che anche l’idrogeno da nucleare, elemento chiave per decarbonizzare l’acciaio, è fuori mercato. Se il futuro dell’acciaio è nelle mani di una tecnologia di cui si discute da quasi quarant’anni e che non ha finora prodotto nulla, il comparto non è messo bene per il futuro”, conclude Onufrio.
Come abbiamo più volte scritto, questa tecnologia non è attuabile per i costi, ma anche per tempi di realizzazione che portano a ritardare la transizione sottraendo risorse a tecnologie rinnovabili già mature.
La versione di Federacciai
Contattato da QualEnergia.it, il presidente di Federacciai Antonio Gozzi ha spiegato il perché di questa decisione. “Dietro questo accordo c’è un disegno strategico per rendere la siderurgia italiana la prima al mondo ad essere totalmente decarbonizzata”, spiega.
Il settore italiano è già tra i meno impattanti al mondo, con l’85% della produzione che avviene in forni elettrici. Per completare questo gap, aggiunge Gozzi, non bastano le rinnovabili: “Il settore ha 8mila ore di esercizio. Con le rinnovabili ne copriamo il 30 o 40%. Poi restano 5-6mila ore in cui serve energia baseload decarbonizzata, che può essere soddisfatta con un PPA nucleare”.
“Piaccia o no – insiste – il nucleare è nella tassonomia europea, e il 25% dell’elettricità del Continente viene prodotta così. Se qualcuno trova un’alternativa ce lo dica, ma che non siano gli accumuli, perché per noi non sono utilizzabili”.
Federacciai, ci viene riferito, ha fatto svolgere un’indagine dalla quale è emerso che un forno come quello di San Zeno, in provincia di Brescia, necessiterebbe sistemi di accumulo che occupino una superficie di 120 campi da calcio.
“Questi sistemi possono andar bene per le abitazioni, ma non per le grandi fabbriche come le nostre. Qui non ci sono negazionisti, i siderurgici italiani sono all’avanguardia per quanto riguarda la decarbonizzazione. Però vogliamo farla in maniera sensata e senza slogan”.
Federacciai ha intenzione di partecipare al capitale per lo sviluppo degli SMR in Italia: “Accompagneremo i nostri partner. Ci sarà un tema normativo da affrontare, poi quello economico e di comunicazione. Sarà un percorso lungo, di circa dieci anni. Il primo SMR ci aspettiamo possa arrivare nel 2033-2034”.
Il patto Federacciai-Gse per l’efficienza
Lo scorso maggio Federacciai aveva sottoscritto un altro protocollo di intesa, con il Gse, per incentivare l’efficientamento energetico del patrimonio immobiliare e degli asset produttivi delle imprese associate e la promozione di configurazioni di autoconsumo per la condivisione dell’energia rinnovabile.
I patti prevedevano inoltre “la sperimentazione di modelli di economia circolare che contribuiscano al contenimento dei costi energetici, al perseguimento degli obiettivi indicati nel Pniec e all’attuazione delle misure Pnrr”.
L’obiettivo è arrivare alla fine del decennio con il 100% dell’acciaio prodotto attraverso la tecnologia Dri, il processo di produzione sostenibile di ferro a riduzione diretta che avviene rimuovendo l’ossigeno contenuto nelle varie forme di minerale di ferro facendolo reagire direttamente con l’H2 producendo ferro e acqua all’interno di un forno a temperature relativamente basse (circa 1000 °C).