Nostalgie nucleari? La chiusura tedesca e l’appello contro il suo “Rinascimento” in Francia

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Perché per ora in Germania la chiusura degli ultimi tre reattori non è rimpianta da nessuno? E perché 851 scienziati e ricercatori francesi firmano un appello contro il piano di rinascita nucleare di Macron?

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Il nucleare è indispensabile per la transizione energetica?

Le due posizioni antitetiche in questo interminabile dibattito sono ben rappresentate da Francia e Germania, con la prima decisa a insistere sull’energia dell’atomo, che già gli fornisce il 70% dell’elettricità, e con la seconda che invece ha proseguito senza ripensamenti sulla sua linea di mollare quella fonte a favore delle energie rinnovabili.

A prima vista sembra che la decisione francese sia perfettamente razionale, vista l’apparente compatta fiducia del paese per l’atomo, mentre quella tedesca sia frutto di una ideologia rigida e un po’ autolesionista, visti i possibili danni causati dall’aumento del costo dell’energia e dell’uso del carbone, che molti hanno paventato con la chiusura degli ultimi tre reattori ad aprile.

In realtà la mancanza dei 7 TWh che fra aprile e giugno dell’anno scorso erano stati forniti dal nucleare non ha causato particolari problemi in Germania.

Lo fa notare il Fraunhofer Institute per l’energia solare, ISE, snocciolando i dati della prima metà del 2023: la produzione tedesca di elettricità è in effetti passata da 252 a 225 TWh, un calo di ben 27 TWh, ma anche i consumi sono calati di 16 TWh, arrivando a quota 234 TWh.

Nove terawattora sono dunque arrivati dall’import, ma, a smentire la fosca profezia dei nuclearisti, i 7 TWh mancanti da fonte nucleare non sono stati sostituiti dal carbone: lignite e carbon fossile hanno prodotto 11 TWh in meno nella prima metà del 2023, trascinando verso il basso anche le relative emissioni di CO2.

Ma allora chi ha sostituito il nucleare? Non il gas, il cui consumo è rimasto costante, ma sole e vento, che nei primi sei mesi del 2023 hanno addirittura aumentato l’output del 51% sul 2022, con 67 TWh dall’eolico e 30 TWh dal solare, arrivando a coprire il 57,7% della domanda tedesca.

E il Pun tedesco è andato alle stelle per colpa della mancanza di nucleare? Al contrario è sceso dai 181 €/MWh della prima metà del 2022 ai 100 €/MWh nello stesso periodo 2023, naturalmente soprattutto per il crollo del prezzo del gas, che fissa il prezzo nazionale nelle aste.

Insomma, in Germania per ora il nucleare non lo rimpiange nessuno.

Intanto in Francia c’è chi invece rimpiange che il paese non abbia seguito la strada dei tedeschi: 851 scienziati e accademici hanno firmato un appello al governo perché sospenda il programma di “Rinascimento Nucleare”, lanciato nel 2022 dal Presidente Emmanuel Macron.

Inizialmente Macron aveva parlato di 14 nuovi reattori nucleari, un quarto degli attuali 58, da mettere in linea da qui al 2050, per raggiungere la neutralità carbonica nel paese.

Il piano è stato poi ridimensionato a sei-otto reattori, di cui il primo, quello di Penly sulle coste della Manica, due EPR da 1600 MW ciascuno, dovrebbero cominciare ad essere costruiti a breve, dopo che il Parlamento ha varato lo scorso 21 giugno una legge per semplificare le procedure autorizzative.

A rompere l’apparente unanimità del paese (in Parlamento a favore avevano votato anche buona parte delle opposizioni) sul Rinascimento Nucleare è arrivato però l’appello degli 850 scienziati.

I firmatari fanno notare come la fonte nucleare non solo è a rischio di gravi incidenti, la cui probabilità è aumentata in Francia per l’invecchiamento del parco reattori, ma che la guerra in Ucraina ha messo anche in luce come in tempi di possibili conflitti ospitare centrali nucleari sia particolarmente pericoloso.

Un impianto nucleare colpito da ordigni convenzionali o, peggio ancora, atomici, è un eccezionale moltiplicatore di danno, che può rendere inabitabili per decenni vaste aree del paese che lo ospita.

Basti considerare che una bomba atomica contiene solo poche decine di chili di uranio 235 o plutonio, e in essa la reazione a catena che produce gli isotopi radioattivi si sostiene solo per una frazione di secondo, mentre in una centrale nucleare ci sono tonnellate di materiale fissile, zeppo di isotopi radioattivi, in quanto esposto per mesi o anni alle reazioni a catena.

Oltre a questa ragione che dovrebbe spingere a evitare l’atomo, i ricercatori francesi ne ribadiscono un’altra già nota, ma resa ancora più attuale dagli impatti del cambiamento climatico: i reattori sono i terzi consumatori di acqua dolce in Francia, dopo agricoltura e industria; riuscire a raffreddare quelli situati lungo i fiumi sta già diventando un problema a causa dell’eccezionale siccità che ha colpito il paese.

Il nuovo Epr di Penly sarà sul mare e quindi non avrà questo handicap, ma sicuramente alcuni degli altri futuri reattori dovranno essere realizzati nell’interno, pesando non poco sui consumi di acqua dolce.

C’è poi l’eterno problema delle scorie radioattive: la Francia ne ha accumulate 2 milioni di tonnellate (senza considerare quelle che restano intorno alle miniere d’uranio all’estero), di cui 200mila tonnellate di lunga vita, le più pericolose.

È vero che per ospitarle è stata decisa la costruzione di un deposito geologico nello Champagne, ma nei suoi 300 km di tunnel, che si prevede costeranno circa 35 miliardi di euro, seppellirà solo il 3% del volume dei rifiuti radioattivi, anche se quasi tutti quelli più pericolosi. Aumentare la produzione di nuove scorie, prima di aver risolto il problema di quelle più vecchie non pare molto saggio.

Nell’appello non manca il riferimento al fatto che il nucleare ha interminabili tempi di costruzione: il primo Epr francese, a Flamanville, deve ancora aprire, ha 10 anni di ritardo e ha quadruplicato i costi).

Sarà già tanto se il primo reattore “rinascimentale” aprirà nel 2037,  molto al di là della prima tappa di decarbonizzazione del 2030 fissata dall’Unione Europea, senza considerare i probabili intoppi e ritardi, rendendo impossibile completare il piano di azzeramento delle emissioni entro il 2050.

È pur vero che Macron ha ribadito anche il suo sostegno all’espansione delle rinnovabili, ma se il paese investirà 65 miliardi (al netto delle quasi certe revisioni al rialzo sui futuri costi) per questa manciata di reattori, resteranno solo le briciole per il sostegno delle altre fonti.

E poi si sa che il nucleare, per la sua esigenza di recuperare il suo enorme costo iniziale, funzionando a piena potenza e il più a lungo possibile, non si incastra molto con solare ed eolico.

Già adesso le centrali francesi sono costrette a ridurre la potenza nelle ore centrali della giornata, sia per la concorrenza delle rinnovabili che per l’impossibilità di export, visto che tutti i loro vicini hanno ormai una rilevante produzione eolica e solare nelle stesse ore.

Fra 20 anni, quando nel continente, e forse nella stessa Francia, le potenze FV ed eoliche si saranno moltiplicate per cinque o sei volte, la convivenza economica dell’atomo con queste fonti diventerebbe decisamente problematica.

Per non parlare del fatto che in futuro, con il previsto continuo calo del costo di pannelli, turbine, batterie e altri sistemi di accumulo, l’energia da rinnovabili diventerà programmabile quanto quella da nucleare, ma a prezzi molto più bassi.

Insomma, quel Rinascimento Nucleare rischia di diventare una zavorra economica per la Francia.

“Di fronte a tutti questi problemi, è assurdo che una decisione epocale sia stata presa senza un serio dibattito pubblico sulle sue conseguenze e sulle possibili alternative”, chiosano gli 850 scienziati.

Ovviamente questi sono stati immediatamente criticati dai nuclearisti per il fatto che fra essi quasi nessuno sia veramente esperto di energia o di nucleare.

Rispondono i firmatari a questa obiezione: “oggi ogni critica alla tecnologia nucleare, soggetta al segreto industriale e militare, è diventata molto difficile nelle scuole, nei laboratori e negli istituti ad essa collegati”.

“E comunque – continua la loro risposta – le scienze ingegneristiche non hanno il monopolio della conoscenza o delle decisioni sul futuro di tutti. Questo è il motivo per cui noi, donne e uomini scienziati, medici, insegnanti, ingegneri, accademici e ricercatori lanciamo questo appello per rifiutare qualsiasi nuovo programma nucleare, una scelta imposta, che impegnerebbe il nostro futuro a lunghissimo termine”.

E noi sottoscriviamo.

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