Quanto potrebbe costare il “non agire” contro il cambiamento climatico?
Una cifra enorme, stimata in 178 trilioni di dollari (178 mila mld $) a livello globale nei prossimi 50 anni, secondo il nuovo rapporto del Deloitte Center for Sustainable Progress, pubblicato durante il World Economic Forum che si è chiuso ieri (giovedì 26 maggio) a Davos.
Questa cifra corrisponde a un taglio del 7,6% del prodotto interno lordo globale nel solo anno 2070.
È una stima basata su uno scenario in cui il riscaldamento globale raggiungerà circa +3 °C a fine secolo; inoltre, il bilancio delle vite umane potrebbe essere significativo, con un impatto sproporzionato sulle popolazioni più vulnerabili e portando a perdita di produttività e occupazione, scarsità di cibo e acqua, peggioramento della salute e del benessere.
Il rapporto, intitolato “Global Turning Point”, si basa su una ricerca condotta dal Deloitte Economics Institute, che ha analizzato 15 aree geografiche tra Asia-Pacifico, Europa e Americhe.
Se i leader globali si unissero per realizzare una transizione del sistema energetico-economico orientata al traguardo net-zero (azzeramento delle emissioni), nei prossimi 50 anni si potrebbero ottenere nuovi guadagni per circa 43 trilioni di $ (43mila mld $), con una spinta al Pil globale del 3,8% nel 2070.
“Il tempo del dibattito è finito. Abbiamo bisogno di una azione rapida, audace e diffusa ora, in tutti i settori”, ha affermato Punit Renjen, amministratore delegato di Deloitte Global. Ci vorrà un investimento significativo da parte della comunità imprenditoriale globale, dei governi e del settore non profit, ma “non agire è una scelta molto più costosa”. Lo stesso concetto espresso dalle analisi di Nicholas Stern tra il 2006 e il 2012, l’economista inglese della Banca Mondiale.
Trasformare il mix economico per un futuro a basse emissioni di carbonio richiederà un ampio coordinamento e una collaborazione globale in tutti i settori e le aree geografiche, evidenzia il rapporto.
Secondo Pradeep Philip, del Deloitte Economics Institute, “abbiamo già le tecnologie, i modelli di business e gli approcci politici per combattere contemporaneamente la crisi climatica e sbloccare una crescita economica significativa, ma abbiamo bisogno che governi, imprese e comunità a livello globale si vadano ad allineare su un percorso verso lo zero netto [di emissioni di CO2]”.
Gli analisti qui stanno toccando un punto fondamentale, già sottolineato dal rapporto Ipcc sul clima uscito ad aprile.
Senza la volontà politica e la volontà delle grandi aziende fossili, sarà sostanzialmente impossibile tenere il passo degli annunci net-zero e impegnarsi seriamente per mitigare il cambiamento climatico.
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, nel presentare il volume Ipcc, aveva affermato che contiene “una litania di promesse climatiche infrante”, perché “alcuni governi e dirigenti di aziende dicono una cosa, ma ne fanno altre” (vedi anche “Senza rinnovabili non ci può essere futuro”: dall’Onu 5 principi per velocizzare la transizione“).
Infatti, molti governi e molte aziende “stanno mentendo”, sosteneva Guterres, rimarcando il vuoto tra quel che si è fatto finora per il clima (poco) e quel che si dovrebbe fare (tantissimo).
Secondo gli scienziati Ipcc, i flussi finanziari globali sono da 3 a 6 volte inferiori rispetto ai livelli necessari per investire nella transizione energetica pulita. I capitali ci sono, sulla carta, ma bisogna spostarli dalle industrie fossili alle tecnologie a basso impatto ambientale.
Nel settore energetico, in particolare, ridurre le emissioni richiede profonde trasformazioni del mix delle fonti, tra cui una “sostanziale riduzione” dei combustibili fossili, oltre al solito ricorso a soluzioni controverse come la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS, carbon capture and storage). E poi elettrificazione diffusa, uso di combustibili alternativi come idrogeno e biocarburanti sostenibili, misure di efficienza energetica.
Peccato che diversi studi recenti mostrano che le compagnie fossili stanno andando nella direzione contraria a quella indicata da Deloitte, Ipcc e Guterres.
Gli impegni climatici delle principali società oil&gas sono “gravemente insufficienti” secondo Oil Change International, e restano incompatibili con i traguardi fissati dagli accordi di Parigi (limitare a +1,5 °C il surriscaldamento globale) e con le strategie “net zero” per azzerare le emissioni di CO2 entro metà secolo.