No a gas e nucleare nella tassonomia verde: Greenpeace verso un’azione legale contro Bruxelles

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La Commissione europea ha respinto la richiesta dell'associazione ambientalista di rimuovere atomo e gas fossile dalla lista degli investimenti considerati sostenibili.

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Ieri, giovedì 9 febbraio, la Commissione europea ha respinto la richiesta di Greenpeace di rimuovere gas e nucleare dalla tassonomia degli investimenti verdi.

Per questo, ad aprile 2023, Greenpeace presenterà un’azione legale presso la Corte di Giustizia europea.

Anche il governo austriaco sta andando nella stessa direzione, promuovendo una causa contro la Commissione per il greenwashing sul gas e il nucleare.

A darne notizia è una nota stampa dell’associazione ambientalista, che lo scorso 8 settembre ha fatto partire da otto suoi uffici in vari Paesi (tra cui Germania, Francia, Spagna, Italia, Belgio, Lussemburgo) una richiesta formale di revisione interna (Request of Internal Review), per chiedere alla Commissione europea di tornare indietro sulla sua decisione di includere gas e nucleare nella tassonomia verde (vedi anche Tassonomia verde: Greenpeace chiede la revisione perché gas e nucleare non sono green).

La motivazione è che l’inclusione di gas e nucleare nella tassonomia viola contemporaneamente: il regolamento sulla tassonomia (Reg. EU 2020/852), la legge europea sul clima (Reg. EU 2021/1119) e gli obblighi dell’Ue definiti dall’Accordo di Parigi del 2015.

Per l’associazione, chiamare il gas fossile “sostenibile” nega infatti ogni fondamento della scienza del clima. Al momento, il gas fossile è la maggior fonte di emissioni nella generazione elettrica in Europa, mentre l’International Energy Agency ha avvisato che nuovi impianti a gas impediranno di raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Non solo. Grazie a un recente studio firmato da ReCommon, sappiamo che l’Italia è in cima alla classifica degli impatti sulla salute generati dalle centrali a gas, che oggi coprono circa metà del fabbisogno elettrico del Paese (vedi anche Il gas uccide, in Europa e soprattutto in Italia).

Il rischio sanitario della combustione di gas fossile, come evidenzia il rapporto appena citato, è molto alto. Solo nel 2019, la combustione di gas fossili per la generazione di energia o calore ha causato nell’Ue e nel Regno Unito oltre 2.800 decessi prematuri da inquinamento dell’aria (PM2.5, NO2 e ozono).

Inoltre, la dipendenza dell’Ue e del Regno Unito dall’energia generata da gas fossili ha prodotto, sempre nel 2019, costi sanitari pari a circa 8,7 miliardi di euro, con impatto maggiore a carico di Italia, Germania, Regno Unito, Francia, Paesi Bassi e Spagna.

Parallelamente, l’energia nucleare – ricorda Greenpeace – genera scorie radioattive pericolose e usa notevoli quantità di acqua dolce per raffreddare gli impianti, con impatti ambientali considerevoli. Inoltre, i tempi lunghi per realizzare le centrali nucleari in Occidente (10-15 anni) e i costi crescenti escludono ogni loro utilità nella risposta alla crisi climatica, che richiede invece interventi urgenti (si veda anche Fusione nucleare, a chi serve veramente?).

Una transizione energetica basata sulle fonti rinnovabili e l’efficienza energetica, commenta infine l’associazione ambientalista, è l’unica soluzione alla crisi climatica ed energetica e la tassonomia deve far confluire quante più risorse possibili in questa direzione.

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