Il gas uccide, in Europa e soprattutto in Italia

Enipower emette il 20% delle emissioni di ossidi di azoto di tutto il parco elettrico a gas italiano. Nel complesso, l'inquinamento atmosferico diminuisce a un ritmo troppo lento. Alcune proposte di Legambiente, HEAL, ISDE e ReCommon per combattere questo nemico invisibile.

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L’Italia è in cima alla classifica degli impatti sulla salute generati dalle centrali a gas, che oggi coprono circa metà del fabbisogno elettrico del Paese.

Nella lista degli inquinatori che bruciano gas fossile in Italia, Enipower, parte del gruppo Eni, controllato per circa  il 30 % dallo Stato, è al primo posto. Le centrali di Enipower emettono infatti il 20% delle emissioni di ossidi di azoto di tutto il parco elettrico a gas italiano.

Sono alcuni dei dati emersi dal rapporto “False fix: the hidden health impacts of Europe’s fossil gas dependency”,  lanciato da HEAL, ISDE e ReCommon, che per la prima volta analizza gli effetti sulla salute della combustione di gas fossili.

Il rischio sanitario della combustione di gas fossile, evidenzia il rapporto, è molto alto. Solo nel 2019, la combustione di gas fossili per la generazione di energia o calore ha causato nell’Ue-27 e nel Regno Unito oltre 2.800 decessi prematuri da inquinamento dell’aria (PM2.5, NO2 e ozono).

Non solo. La dipendenza dell’Ue e del Regno Unito dall’energia generata da gas fossili ha prodotto – sempre nel 2019 – costi sanitari pari a circa 8,7 miliardi di euro, con impatto maggiore a carico di Italia, Germania, Regno Unito, Francia, Paesi Bassi e Spagna.

Questi costi – spiega il documento – sono dovuti a conseguenze dirette sulla salute dell’inquinamento dell’aria originato dalla combustione dei gas, che ha provocato oltre 2.800 decessi prematuri, circa 15mila casi di problemi respiratori in adulti e bambini, oltre 4.100 ricoveri ospedalieri e più di 5 milioni di giorni di produttività persi per malattia.

Le Ong che hanno firmato il rapporto chiedono quindi, con urgenza, l’adozione di un calendario ambizioso per il completo abbandono di tutti i combustibili fossili, compresi i gas fossili.

Una richiesta che, almeno in Italia, difficilmente verrà accolta, o almeno non in tempi brevi, perché la politica energetica e industriale del nostro Paese messa in atto dal governo Meloni non sembra voler prendere le distanze dal gas – prima proveniente in gran parte dalla Russia, ora principalmente da Algeria e Libia – e anzi continua a inseguire il traguardo, sempre più anacronistico, di diventare un centro europeo per i flussi di gas (si veda Da una dipendenza all’altra, il delirio pro-metano del governo e L’Italia rincorre il gas africano: accordo in Libia per nuovi pozzi offshore).

Ma in fondo il nostro Paese, nonostante abbia assistito negli ultimi 10 anni a un miglioramento della qualità dell’aria, ha sempre fatto fatica a intraprendere politiche di lunga durata e che potessero generare un netto passo avanti nella lotta all’inquinamento atmosferico. Lo dimostrano le tre procedure di infrazione europee che negli anni sono state aperte a carico dell’Italia, per i livelli di tre inquinanti come il PM10, PM2.5 e il biossido di azoto (NO2).

Lo scorso anno, le valutazioni effettuate dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), e raccolte nell’edizione 2022 del rapporto di Legambiente “Mal’aria”, è emerso come l’esposizione al particolato fine causi ancora circa 400mila morti premature all’anno nei 41 Paesi europei, di cui circa 50mila solo in Italia.

Pochi giorni fa, pubblicando l’edizione 2023 dello stesso rapporto, Legambiente ha denunciato che decresce troppo lentamente l’inquinamento atmosferico nelle città italiane” e questo mette a rischio la salute dei cittadini che cronicamente sono esposti a concentrazioni inquinanti troppo elevate.

“Nonostante tutti gli sforzi messi in atto e le tangibili riduzioni delle emissioni avvenute, aggiunge l’associazione ambientalista, un sistematico e costante calo delle concentrazioni non si è registrato in praticamente nessuna città”.

Nel rapporto (allegato in basso) si legge infatti che il tasso medio di riduzione delle concentrazioni a livello nazionale è solo del 2% per il PM10 e il 3% per l’NO2. Lento. Troppo lento per sperare di rientrare nei limiti del 2030 se non si cambierà la marcia.

Un dato che è stato commentato anche dall’attuale ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Pichetto Fratin, che vede nelle risorse Pnrr una opportunità per intervenire in modo più incisivo sulla qualità dell’aria. In particolare il ministro ha ricordato che “nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza abbiamo quasi due miliardi destinati alla produzione di biometano, che può sia alimentare gli impianti di riscaldamento che sostituire il metano per l’automotive con una fonte pulita e rinnovabile”.

“L’obiettivo – ha aggiunto il ministro – è incrementare nei prossimi anni in maniera significativa la quota del parco mezzi italiano, sia pubblico che privato, che usa il biometano. E i mezzi pesanti che utilizzano il gas naturale liquefatto potranno viaggiare in maniera ecologica con il bio-GNL. Sempre il settore dei trasporti è destinatario delle azioni contenute nel decreto ‘Aiuti Quater’, che promuove l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili nel settore dei trasporti”.

Il ministro ha inoltre ricordato che, sempre con le risorse Pnrr, verrà inoltre promosso il trasporto elettrico, con un investimento sulle stazioni di ricarica da 740 milioni, per oltre 21 mila colonnine da realizzare in centri urbani e superstrade. Verranno inoltre supportate, con quasi 14 miliardi di euro, le misure ‘superbonus’ e ‘sismabonus’ per l’efficienza energetica e la sicurezza degli edifici.

Ma queste misure di carattere nazionale per Legambiente non bastano e l’associazione si concentra sul ruolo delle città “come promotrici del cambiamento necessario”.  Pur sapendo – ovviamente – che ci sono altre importanti azioni da introdurre che vedono altri soggetti attuatori coinvolti, come le Regioni o il Governo nazionale, e consapevoli che le emissioni inquinanti vedono settori come l’agricoltura o le attività industriali come causa prevalente di inquinamento in alcuni territori.

Di seguito un breve sintesi delle proposte avanzate da Legambiente alle città italiane e che potrebbero permettere di affrontare il problema complesso della qualità dell’aria con un approccio trasversale:

  • Dalle ZTL alle ZEZ (Zero Emissioni Zone)

Le città, grandi e piccole, dovranno tendere a definire limiti alle emissioni (inquinanti e climalteranti) in ampie zone della città (Low Emission Zone).

  • LEZ (Low Emission Zone) anche per il riscaldamento

Serve un grande piano di qualificazione energetica dell’edilizia pubblica e privata, incentivare una drastica riconversione delle abitazioni ad emissioni zero grazie alla capillare diffusione delle misure strutturali (come i bonus), dismettendo tutte le caldaie e le combustioni (anche a metano) a vantaggio di sistemi più efficienti alimentati da fonti rinnovabili (solare, pompe di calore elettriche, cucine, scaldabagni).

  • Abbonamenti al Trasporto Pubblico e Trasporto Rapido di Massa (TRM)

L’Italia con gli investimenti previsti nel Pnrr prevede di iniziare a colmare il ritardo di offerta di treni pendolari, metropolitane, tram veloci, filovie e autobus elettrici, anche e soprattutto nelle aree metropolitane e lungo le coste: dovremmo moltiplicare per 4 l’offerta di linea. Promuovere gli abbonamenti integrati: in Germania, dopo l’ottimo lancio nell’estate 2022 (post Covid) a 9 euro al mese a tutti i trasporti regionali, si è deciso di perseverare per tutto il 2023 con abbonamenti integrati a 49 euro/mese. La crisi ha diminuito i viaggi degli italiani, aumentato la percentuale di popolazione immobile, il trasporto pubblico è la risposta universale, l’incentivo all’auto privata è più costoso e divisivo. In Italia un’analoga misura costerebbe 2 miliardi all’anno, si possono attingere le risorse dai bonus auto a combustione e dai buoni benzina e dell’autotrasporto.

  • Sharing mobility. Incentivare la mobilità elettrica condivisa (micro, bici, auto, van e cargo bike) anche nelle periferie e nei centri minori.
  • Ridisegnare lo spazio pubblico urbano a misura d’uomo: “città dei 15 minuti”, in cui tutto ciò che serve sta a pochi minuti a piedi da dove si abita.
  • Tutto elettrico in città, anche prima del 2035, grazie alla progressiva estensione delle ZEZ (Zero Emission Zone), alla triplicazione dell’immatricolazione di autobus elettrici per il trasporto pubblico, già oggi più convenienti nel costo totale (acquisto + gestione). Indispensabile istituire distretti ZED (Zero Emissions Distribution).

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