Fusione nucleare, a chi serve veramente?

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Dopo gli annunci "strabilianti" sui passi avanti nella ricerca, vediamo un po' di problemi, quasi irrisolvibili, della fusione e soprattutto a chi giova investire così tanto tempo e denaro.

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Ora che il clamore sullo “storico risultato che cambierà il mondo”, si è un po’ calmato, forse si può ragionare sull’importanza di quanto conseguito negli esperimenti di fusione nucleare ai Lawrence Livermore National Laboratory (LLNL).

Esperimenti realizzati comprimendo una capsula contenente deuterio e trizio (isotopi di idrogeno con uno e due neutroni nel nucleo) con l’energia emessa da 192 potenti laser.

La compressione ha istantaneamente trasformato la capsula in plasma a decine di milioni di gradi, e i due gas all’interno si sono trasformati in elio attraverso reazioni di fusione nucleare, simili a quelle che avvengono nel nucleo solare, con il rilascio di più energia di quella assorbita dalla capsula.

Il risultato è stato presentato da Omar A. Hurricane, direttore scientifico del programma come un “momento fratelli Wright”, cioè simile alla svolta rappresentata dal decollo nel 1903 del primo velivolo più pesante dell’aria, che di lì a pochi anni avrebbe aperto l’era dell’aviazione.

Questo però non avverrà nel caso della fusione sviluppata ai Llnl: gli stessi ricercatori hanno poi ammesso che per mettere a punto la tecnologia serviranno ancora almeno 30 anni di lavoro.

Ma forse anche questa previsione è molto ottimistica, visto che il metodo che gli Llnl hanno sviluppato, in realtà, per simulare per scopi militari le esplosioni nucleari senza far detonare bombe, sembra particolarmente poco pratico per mandare avanti una centrale energetica (Fusione nucleare, perché la svolta annunciata non è quello che sembra).

Inoltre, il “guadagno” di energia ottenuto, circa 0,2 kWh, è molto discutibile: la fusione ha prodotto più energia di quella assorbita dalla capsula, ma per alimentare i laser è servita decine di volte più energia di quella ottenuta. Va detto anche che l’energia da fusione è rilasciata sotto forma di neutroni, e convertire questi in elettricità richiederà altri passaggi complicati e dall’efficienza bassissima.

Insomma, altro che guadagno di energia! Per averlo con quel metodo bisognerà moltiplicarne l’efficienza di centinaia di volte.

Più che al “momento Wright”, siamo al “momento pietra focaia”, se pensiamo che questa tecnologia dovrebbe alimentare la rete elettrica mondiale. Per fare un’altra similitudine è come se Orwille Wright, appena atterrato sulla spiaggia di Kitty Hawk, avesse dichiarato: “sono quasi pronto per i viaggi interstellari”.

Va bene, diranno molti a questo punto, “quell’annuncio era un po’ un’americanata, buona per attirare fondi, ma la tecnologia seria per la fusione nucleare non si basa sui laser, ma sul confinamento magnetico. Tutti gli sforzi, privati e pubblici, a cominciare dai 12 miliardi investiti finora sul progetto internazionale Iter, contano sull’uso di potenti campi magnetici per tenere compresso il plasma deuterio-trizio, così che al suo interno si verifichino reazioni di fusione”.

È vero, ma il punto è che la fusione nucleare ha alcuni “bachi” di base, che al momento non si sa bene come risolvere, ammesso siano risolvibili (consigliamo di leggere gli articoli correllati in fondo).

Ne abbiamo presentati diversi a una ricercatrice dell’Enea impegnata in Iter: necessità di elio per raffreddare i magneti, radioattività indotta dai neutroni in tutto il reattore, materiali che resistano a urti di particelle a temperatura elevatissime, eccetera. La ricercatrice ci ha sostanzialmente confermato come in effetti in alcuni di quei casi si spera che prima o poi qualcuno inventi ciò che serve per superare tali ostacoli.

Ma ce n’è anche un altro punto molto problematico di cui si parla poco.

In questi giorni abbiamo sentito frasi come “con un bicchiere di acqua si potrà alimentare una casa per un anno”: vero per quanto riguarda il deuterio contenuto nei mari, ma la fusione richiede anche trizio, gas che non esiste in natura perché dimezza la sua quantità ogni 12 anni, essendo radioattivo.

Il gas mancante dovrebbe venire prodotto esponendo del litio ai neutroni rilasciati dalla fusione, che lo trasformeranno in trizio rilasciando anche calore prezioso per produrre elettricità.

Tutto molto bello, peccato però che di litio ci siano due isotopi stabili il Li 6 e il Li 7, e quello utile per la fusione è solo il 6, che costituisce appena il 5% circa del litio naturale.

Il resto è litio 7, che si trasforma in trizio raramente e assorbendo molta energia: se lasciato nel litio dei reattori quindi li raffredderà e produrrà troppo poco “combustibile” per mandarli avanti.

Un bello scherzetto che ci ha fatto la natura, perché vuol dire che, prima di usare il litio nei reattori a fusione, bisognerà arricchirlo fino al 90% nell’isotopo 6, con un processo, complesso e costoso, simile a quello con cui si arricchisce l’uranio nell’isotopo 235 per fare combustibile per centrali e bombe nucleari a fissione.

Visto che il litio 6 oggi viene prodotto solo per farlo trasformare in trizio nelle bombe H, questo vuol dire che la “pacifica” fusione nucleare potrebbe ripresentare gli stessi problemi, quelli di facilitare la costruzione di armi atomiche, esattamente come il nucleare da fissione!

Di fronte a questo quadro così complicato e non privo di insidie, viene proprio da chiedersi perché stiamo buttando così tanto tempo e soldi nell’energia da fusione, quando ci sono tecnologie molto più semplici e collaudate, come le rinnovabili, che con una frazione di quegli sforzi scientifici e finanziari, potrebbero risolvere gli ultimi loro problemi, primo fra tutti quelli dell’accumulo stagionale, e alimentare il pianeta facendola finita in un colpo con inquinamento, produzione di scorie radioattive, alterazione del clima, guerre per le risorse energetiche, enormi potentati economici, e via continuando.

Per le migliaia di ricercatori impegnati nella filiera della fusione nucleare, probabilmente la ragione è “nobile”: sono affascinati dalla sfida scientifica e ingegneristica di riuscire a imitare il Sole sulla Terra, sia che conduca o meno a ricadute pratiche.

Con l’attenuante che, forse, da tutti questi sforzi, anche se non “l’energia perfetta”, qualche innovazione tecnologica utile alla fine arriverà, come accaduto, per esempio, con l’altro enorme sforzo tecnico-scientifico, affascinante, ma non proprio direttamente utilissimo a fini pratici, che è spedire uomini nello spazio.

Discorso meno elevato è quello per i dirigenti della ricerca nei vari programmi sulla fusione e dei loro referenti politici, che a colpi di annunci mirabolanti riescono a rastrellare miliardi di denaro pubblico e privato, alimentando il proprio potere.

E, nel caso dei Llnl, quei soldi aiutano anche a sostenere la parallela ricerca militare, così come la filiera civile del nucleare a fissione rende sostenibile quella costosissima delle armi atomiche.

E poi ci sono i “soliti sospetti”: tre delle maggiori startup private nel campo della ricerca sulla fusione nucleare,  Commonwealth Fusion Systems, Tae Technologies e Zap Energy, sono finanziate rispettivamente da Eni, Chevron-Kuwait, Chevron-Shell. La fusione nucleare piace così tanto ai produttori di fonti fossili…

Queste multinazionali invece di investire in banali tecnologie rinnovabili, che hanno il grave difetto di funzionare da subito e di far perdere terreno al loro business, puntano massicciamente alla futuristica “energia delle stelle”.

La ragione di questa “passione per la fusione” si comprende bene leggendo le strabilianti dichiarazioni fatte da Eni, secondo cui la “sua” startup produrrà un primo prototipo funzionante nel 2025 e un reattore commerciale nel 2030. Affermazioni che fanno alzare gli occhi al cielo e scuotere la testa a qualunque esperto del settore che conosca le enormi difficoltà della fusione nucleare.

Insomma, sembrano suggerisci i signori del petrolio: a che serve investire nel solare e nell’eolico, quando fra 8 anni arriverà la magica energia da fusione che risolverà tutti i nostri problemi?

Certo, sarebbero assai più credibili se cominciassero a disinvestire nei giacimenti di greggio e gas, destinati a diventare inutili appena i loro meravigliosi reattori si accenderanno.

Visto che invece perseverano in investimenti pluridecennali e multimiliardari in petrolio e metano (e CCS) ci viene il dubbio che neanche loro credano veramente che la fusione produrrà qualcosa di utile entro il secolo.

Investire nella fusione nucleare è denaro ben speso per la loro strategia: quelle macchine forse non produrranno un kWh, ma di certo tanti bei dubbi nell’opinione pubblica e in alcuni decisori politici. Un altro modo di ostacolare e ritardare i veri competitor di petrolio e gas, le fonti rinnovabili.

E mentre il mondo attende fiducioso che la magica soluzione energetica arrivi, continueremo a produrre energia con i buoni, vecchi, redditizi combustibili fossili, invece che con la centrale a fusione che brilla gratuitamente da miliardi di anni sopra la nostra testa.

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